Georges Vriz: un artista di origina carnica, che vive in Francia famoso in tutto il mondo

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Intervista di Ermes Dorigo
in occasione della esposizione della sua Divine comédie a Palazzo Frisacco.

 

Georges Vriz è nato nel 1940 in Francia, da padre italiano, Attilio, ivi emigrato da Raveo nel 1920 a Champigny-sur-Marne, dove ancora risiede, e da madre francese. Mantiene, comunque un rapporto affettivo con la Carnia per lui ‘culla’, “berceau de toute ma première enfance“. 
Tra il 1956 e il 1960 svolge l’apprendistato in intarsio ed ebanisteria a Parigi e intanto studia disegno, pittura e scultura negli ateliers Zadkine e Braver. Tra il 1975 e il 1980 dirige uno studio di disegni di mobili e ne realizza  per 70 ambasciate e consolati francesi.

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Dal 1979 si dedica esclusivamente all’arte contemporanea, utilizzando il suo materiale prediletto, il legno. Nel 1986 realizza un affresco nella sede della F.A.O. a Roma. Tra il 1984 e il 1990 diffonde la sua nuova concezione dell’intarsio nell’ambito della politica della cultura della città di Parigi. Oltre a numerosi artisti e artigiani francesi, tanti stranieri vanno a Parigi, per seguire il suo insegnamento ed apprendere la nuova tecnica dell’intarsio, chiamata appunto ‘tecnica Vriz’, “le vrizou“, come la definiscono affettuosamente i suoi allievi. Nel 1988 fonda i R.I.M. (Rencontres Internationales de la Marqueterie contemporaine). Nel 1989 riceve la medaglia di Vermeil (argento dorato) della Città di Parigi; in questo stesso anno esce una monografia sulla sua opera (‘Vriz: un marqueteur rebelle. Voyage lyrique au pays de la marqueterie contemporaine‘). Dal 1990 diviene Presidente della commissione professionale nella regione Ile de France e riveste diverse cariche nazionali (presidente di commissioni d’esame) e di nomina ministeriale: Consigliere dell’Insegnamento Tecnologico nell’educazione nazionale Dal 1996 assume la presidenza di una compagnia teatrale ‘Le pain d’Orge‘ a Champigny-sur-Marne e disegna scenografie e costumi per una commedia musicale di Guy Bontempelli, presentata al festival d’Avignone. La televisione francese, oltre a varie interviste, ha realizzato un video di 26’ sulla sua opera, conosciuta, grazie alle tante esposizioni – Parigi, Tolosa, Rouen, Strasburgo, Dallas, New York, Manchester, Ginevra, Cracovia – in tutto il mondo.

Champigny sur Marne

Marc Lechien così scrive della sua tecnica: “Un quadro di Georges Vriz non ricorda in nulla la messa a punto laboriosa di un’opera di lungo respiro, come richiede l’intarsio. Le impiallacciature di legno sembrano essere state incollate con l’impeto, la leggerezza o con la forza del pennello, come per incantesimo ed illusione: qui si avverte la differenza e il passaggio dall’artigiano al creatore, che ha imitato la pittura col legno, utilizzando la cosiddetta ‘perce‘ (la riapparizione del supporto): egli ha trasformato un errore d’apprendista in una bellezza espressiva”.

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Fu contentissimo di allestire una sua Mostra nella città, Tolmezzo, dov’è nato suo padre. Inizialmente ebanista nella bottega del padre nel Faubourg Saint-Antoine (“J’aime le bois. J’aime le toucher, le sentir, le caresser. J’éprouve à son contact une sensualité troublante. Pénétrer cette matière, c’est comme la violer, la posséder. L’arbre avec ses racines ancrées dans la terre et ses branches qui s’élancent vers le ciel n’est-il pas une merveilleuse symbole de la vie ? “), irrequieto e creativo, decide di dedicarsi totalmente all’arte (ha esposto in tutto il mondo), inventando una tecnica di pittura, “le vrizou “, che così egli descrive: “Come premessa ricordo che prima di affrontare questa tecnica, la padronanza delle tecniche tradizionali dell’intarsio è indispensabile così come la conoscenza della tavolozza delle essenze dei legni, molto bene nelle loro qualità estetiche e meccaniche. L’innovazione di questa tecnica consiste nel sovrapporre delle impiallacciature differenti e di far apparire (all’occhio) quelle di sotto con una pomiciatura estremamente calibrata e dosata: questa tecnica, definita della ‘perce’, e che è l’ossessione degli ebanisti, per i quali essa costituisce un errore, è utilizzata da me come un mezzo per la realizzazione totale dell’opera: nella mia tecnica la ‘perce’ non è mai accidentale” (per maggiori informazioni sulla sua biografia e sulle sue opere: www.marvel.it/glock ).

Incuriosito dalla realizzazione di tale opera coraggiosa –  avevo esaminato il Catalogo della Mostra di Parigi, 100 tavole di illustrazione della Divina commedia -, dopo una serie di scambi epistolari finalmente, in una delle sue rarissime discese a Raveo, ho potuto incontrarlo e cercare di capire più a fondo questa sua impresa, nella quale si sono cimentati tutti i più grandi artisti del ‘900.

Catalogo

“Nel 1994 – mi dice -, quando mi vinse il desiderio di realizzare la Divina commedia, rimasi come folgorato. Non ebbi il minimo dubbio che mi apprestavo a vivere un’avventura, che sarebbe durata più di tre anni. Ero completamente preso, dissolto in questo magnifico poema. Prima ancora della modernità di questo testo, mi prese la brama incontenibile di realizzarne una illustrazione: alcune illustrazioni, inizialmente. In forma quasi naïve, con candore e semplicità e naturalezza: io non avevo assolutamente l’intenzione di realizzare l’immensità teologico-filosofica dell’opera dantesca. Man mano che procedevo nella mia impresa la mia incertezza e ritrosia a illustrare tutto diveniva sempre più evidente: però sentivo che dovevo andare a fondo a tutti i costi. Sì, ma come? Accademicamente?… sicuramente no. Completamente figurativo?… non più. Astratto? Perché no? Io volevo andare il più vicino possibile alla interpretazione di Dante: ero diventato suo amico e non volevo assolutamente tradirlo. Lavoro e impegno gravoso e oneroso, quasi velleitario e senza umiltà. A furia di leggerlo e di rileggerlo, io ridiventai un bambino, mi meravigliavo, non comprendevo più bene ciò che emanava e mi arrivava dall’opera.

“A questo proposito – intervengo – nella Gazette Drouot si parla proprio di una figurazione onirica e allusiva”.

“Decisi – continua – di farne una illustrazione, la cui lettura potesse essere compresa da un bambino, in una forma, in una illustrazione, appunto, quasi naïve. I bambini sentono e comprendono la poesia spesso meglio degli adulti. Ma non bisognava cadere in una forma espressiva troppo infantile per rispetto e in relazione all’altezza del meraviglioso poema di Dante.”

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“Infatti – lo interrompo – come scrive Jacqueline Risset, la maggior dantista francese, nella presentazione del Catalogo: Le immagini dell’Inferno s’inscrivono in un quadrato, quelle del Purgatorio in un triangolo, e quelle del Paradiso in un cerchio. … Il quadrato è forma ‘normale’ di un quadro. Esso autorizza una rappresentazione equilibrata del male dell’universo. Il triangolo è il 3 – il numero, la cifra stessa di Dante, sulla quale è costruita la ‘Commedia’ – figura ascendente. Il Paradiso è un cerchio – figura perfetta e forma delle sfere celesti. Georges Vriz  è legato a Dante come Dante a Virgilio…. E’ questo legame che dà alla sua interpretazione una grande libertà, libertà che è allo steso tempo fedeltà e rigore.”

“Esattamente – risponde -. Scelsi, per ‘incorniciare’ le mie illustrazioni, tre figure geometriche: il quadrato, il triangolo e il cerchio, forme altamente simboliche e di significato universale. L’avventura poteva cominciare: è durata tre anni di dubbi, d’incertezze e di gioie. E’ dal Paradiso che io ho avuto le più grandi soddisfazioni e le maggiori difficoltà:

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«Outrepasser l’humain ne se peut

  Signifier par des mots : que l’exemple suffise

  A ceux à qui la grâce réserve l’expérience»

(Trasumanar significar per verba/ Non si porìa; però l’essemplo basti/ A cui esperïenza grazia serba)

Questi versi magnifici mi hanno guidato durante la mia illustrazione.

Quanto alla tecnica, ho deciso di lavorare su carta per costruire un’opera che fosse fragile: perché? Non lo so dire. Un foglio di carta incollato su foglie di legno; come fondo ho utilizzato della polvere di legno, della segatura finissima che io preparavo da solo, ricavandola da noce, acacie, sicomori e qualche legno colorato; segatura che mescolavo a della colla e che applicavo e distendevo con la spatola. Una volta che questa patina si era seccata e indurita, sono intervenuto per dipingere i miei personaggi con pastelli e matite. E’ una tecnica mista ancora mai utilizzata per quanto io ne sappia.Questa tecnica mi ha permesso di arrivare più vicino alla mia interpretazione, era completamente al servizio della mia ispirazione. Molto densa e intensa. Molto intensa la poesia di Dante, altrettanto intensa la materia che mi serviva per esprimerla Le mie fatiche terminarono; mi ci sono voluti alcuni mesi per uscire fuori e liberarmi dalla Commedia, a tal punto la mia concentrazione mi aveva preso ed era stata grande. Quando io dico ‘uscire’ è un modo di dire, perché uno non ‘esce’ mai dalla Commedia, dopo che uno ha avuto la grazia di entrarci. Tutto ciò che io ho provato, amato, si trova nelle mie illustrazioni e spero di non aver assolutamente fallito in questa meravigliosa avventura. Io non sono molto bravo nella ‘dialettica’ ma io credo che Lei abbia compreso a fondo il mio lavoro e saprebbe certamente parlarne meglio di quanto io non sappia fare: come Lei sa, gli artisti sono gli ultimi a poter parlare della loro opera”.

“Certo – concludo – non sono mancate le polemiche circa la raffigurazione di un Dante ‘nero’ in controluce nel Paradiso. Probabilmente a quei critici è mancato lo sguardo ingenuo del bambino che, simultaneamente, comprende la miseria e la grandezza dell’uomo, la sua indissolubile sostanza di oscura materia e luminosa spiritualità, la distanza incolmabile dalla Divinità se, come Lei ha detto, non interviene la Grazia”.