«La Resistenza in Carnia» in un’opera del senatore Michele Gortani

La resistenza in Carnia

a cura di Ermes Dorigo.

Ricordiamo le infauste giornate del settembre 1943: le lunghe teorie di treni che trasportavano verso la fosca prigionia in Germania i resti del nostro esercito. Nelle nostre stazioni, ultime tappe del doloroso calvario in terra italiana, si affollavano donne e fanciulli nel tentativo di porgere agli infelici prigionieri generi di conforto, cibarie e indumenti con la segreta speranza di poterne far evadere qualcuno durante le tappe più lunghe, col favore della oscurità. Così alla Stazione per la Carnia, a Chiusaforte, a Pontebba, ed anche a Tarvisio. E ricordiamo che se in qualche comandante di tradotta vi era un senso di umanità, vi erano anche tra essi iene feroci, e che un giovinetto venne trucidato a Chiusaforte per avere troppo fraternizzato con uno dei deportati. Ai nostri popolani nel generoso tentativo di liberare qualche prigioniero prestarono valido aiuto i ferrovieri; di cui uno venne per questo motivo fucilato a Pontebba. I militari così liberati e quelli friulani che fecero in tempo a darsi alla macchia, rivestiti da borghesi, vissero celati dalla popolazione, dandosi alla montagna.Così ebbe principio la Resistenza da noi. Vediamo gli aspetti più salienti:

25 aprile 1944: cade in eroico partigiano, nel tentare un colpo di mano contro la munita caserma del presidio tedesco di Tolmezzo. Nessuno dei tolmezzini lo conosce; ma è un Alpino dell’Ottavo, e tanto basta per commuovere la massa popolare. Nella cappella dell’ospedale la salma, spogliata dai germanici, viene rivestita e coperta di fiori. Il funerale, che i tedeschi avevano stabilito modestissimo e clandestino, risultò di una particolare, significativa grandiosità, attraverso la principale via della cittadina. L’Arcidiacono fu chiamato a render conto della solennità del rito; il capitano dei carabinieri, il calabrese Santo Arbitrio, venne fatto trasferire per essersi rifiutato di obbedire all’ingiunzione di far sparare sul corteo, allorché questo imboccò la via centrale in luogo della circonvallazione.

24 maggio: l’esplosione di una mina fa saltare al Passo della Morte la macchina di testa di una colonna tedesca in corso di rastrellamento; nell’incidente muore un ufficiale superiore germanico pluridecorato. Per rappresaglia vengono incendiate 400 case delle tre frazioni di Forni di Sotto, senza lasciare il tempo né il modo di mettere in salvo né oggetti, né viveri, né bestiame; e si fa divieto di soccorrere gli infortunati.

Fra il 19 e il 23 luglio, come rappresaglia per il prelevamento di un gruppo di cavalli di razza portati all’alpeggio nelle casere carinziane di confine, un buon nerbo di truppa germanica e (ci duole dirlo) anche di repubblichini travestiti da partigiani si presenta con inganno alle nostre casere di Lanza, Cordin e Pramosio, dove uccidono quanti hanno potuto incontrare. Altre forze sopraggiungono da Tolmezzo e infieriscono sugli abitanti di Paluzza e di Sutrio, aggiungendo altre 17 vittime alle 22 assassinate sui monti. La popolazione rimane costernata, ma sempre più esasperata contro l’invasore.

Vittime di Pramosio

In questo stesso periodo, altro motivo di lutto generale era stata la morte in combattimento del dottor Aulo Magrini, eroico figlio della Carnia, del quale si deve ricordare l’episodio di avere sfidato pochi giorni prima la morte per trasportare personalmente sulla sua auto – —    lui che era braccato dai tedeschi come uno dei capi della rivoluzione – una partoriente bisognosa di immediato aiuto all’ospedale di Tolmezzo. Le imponenti onoranze funebri che la a vallata tributò al dottor Magrini fece sempre più persuasi i tedeschi che la Carnia non era domabile.

Le autorità germaniche pensarono in tali frangenti   dì ricorrere, per domarla, alla fame; e vietarono l’importazione di ogni genere di vettovaglie e di medicinali, rafforzando il divieto con l’istituzione di severi posti di blocco. Inutile ricordare qui i mille artifizi messi in opera per eludere il bando, e la paterna sollecitudine dell’Arcivescovo Mons. Nogara per organizzare con lo noi lo scambio di carichi legname con carichi grano per sopperire alle più stringenti necessità.

4 agosto 1944: il Commissario tedesco del Litorale Adriatico ha l’infelice idea di ordinare che i giovani della leva dal 1914 al 1926, richiamati alle armi, debbano arruolarsi nell’organizzazione Todt o nella Difesa Territoriale del Litorale Adriatico, o nelle file dell’esercito repubblicano. Naturalmente se ne giovano le formazioni partigiane, e molti dei giovani prendono la via dei monti.

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Frattanto le formazioni partigiane delle Divisioni Garibaldi e Osoppo si erano di fatto rese padrone di tutta la vasta zona comprendente le Prealpi Carniche fino alla pianura e l’intera Carnia all’infuori di Tolmezzo. Fu allora deciso di dare alla regione un vero e proprio governo autonomo, sia per sopperire alle necessità della vita civile, sia come affermazione politica di fronte allo straniero, al governo italiano ed ai governi militari alleati, sia per costruire un centro d’azione per tutta la massa degli abitanti e dare al movimento partigiano il carattere di una sollevazione generale di popolo. E tali considerazioni prevalsero sul timore che la presenza di un governo civile autonomo in un territorio dominato dal corpo di occupazione tedesco potesse spingere, il comando nemico a maggiore durezza per rimettere la zona sotto il proprio controllo.

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Alla Giunta di Governo, costituita fra i rappresentanti dei Comitati di Liberazione Nazionale della Carnia e i capi delle formazioni partigiane, va il merito di aver organizzato un sia pur limitato rifornimento alimentare della Carnia, facendo affluire a Meduno grano e granoturco e avviandolo per la strada tramontina e la forca di M. Rest per mezzo delle nostre forti ed impavide portatrici

Il governo della Giunta cessò dopo che il maggiore   John Nicholson, capo delle missioni alleate e rappresentane del  generale Alexander accompagnato  dai capi di due divisioni partigiane, si presentò il 10 ottobre davanti alla Giunta stessa per convincerla a smobilitare durante l’inverno sotto l’impeto della pressione tedesca, aumentata dopo l’arresto dell’offensiva alleata sulla linea gotica. L’ufficiale britannico sostò a lungo irrigidito sull’attenti davanti alla Giunta, testimoniando così ai presenti, commossi, il rispetto che nazioni anche potenti sentivano verso un popolo libero che alla libertà tutto aveva sacrificato.

In quegli stessi giorni si scatenava contro la Carnia la spedizione punitiva germanica. Hitler aveva concepito il diabolico piano di dare la Carnia in pasto ai cosacchi, perché ne facessero la loro sede permanente: il «Kosakenlend in Nord-Italien». Il confidente che Mons. Arcivescovo aveva fra le SS. avvertiva che la Carnia sarebbe stata messa a ferro e fuoco — come già Nimis, Sedilis, Torlano e Faedis — a meno che i partigiani non lasciassero visibilmente libera la strada del Monte Croce, ritirandosi dai monti e cessando la guerriglia. Tale avviso era stato da noi diramato ai comandanti partigiani. Ma la grande offensiva ebbe principio. I mezzi apprestati erano imponenti: una Divisione cosacca, una Divisione caucasica, una Divisione germanica di rincalzo, due batterie autotrasportate da campagna, 20 carri armati, due treni blindati, centinaia di automezzi.

Il giorno della Madonna del Rosario tutta questa ira di Dio si scaglia contro i nostri duemila partigiani o più esattamente contro i nostri poveri villaggi indifesi. Si fanno saltare i ponti onde ritardare di qualche poco l’avanzata. Ma questa prosegue inesorabile. E abbiamo ancora davanti agli occhi lo spettacolo miserando dei profughi che fuggivano a centinaia dai primi paesi devastati   e saccheggiati con i segni del terrore sul volto e, molti, con i segni delle violenze subite.

Tolmezzo ebbe in sorte il compito di provvedere a così gravi bisogni. Scuole e case private furono messe a disposizione dei fuggiaschi, che venivano alimentati con l’’aiuto della popolazione, della cucina economica e dei padri Salesiani, nonché della Cooperativa che fu larga anche in questa occasione di aiuti materiali e morali.Per fortuna i cosacchi, nella persuasione di dover rimanere nella zona, ebbero istintivamente ripugnanza a distruggerla; e di fronte alla mancata resistenza, la grande offensiva si afflosciò su se stessa, come un’onda che non trova ostacoli, risparmiando, dopo i primi paesi, il resto della regione. Ma rimasero duemila persone senza alcuna risorsa, a cui provvedere per il lungo inverno imminente. E restarono i lutti e l’’orrore dei saccheggi da medicare nei cuor; mentre il peso dell’occupazione aumentava con il rastrellamento degli abitanti atti al lavoro, per spedirli in Germania. La resistenza della Carnia fu messa a dura prova; e se si riuscì a far evadere una metà all’incirca degli arrestati, il merito è di alcuni coraggiosi tolmezzini, a cominciare dai medici e da tre repubblichini del corpo di guardia. Ma l’occupazione cosacca fu massiccia, pesante, penosa perché invasati dalla promessa hitleriana, i russi si sentivano in diritto di far da padroni; e mentre esigevano alimenti supplementari da una gente ormai senza risorse pretendevano di nutrire i loro numerosissimi cavalli con il fieno radunato a fatica dalle nostre donne per il loro bestiame.

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Pur tra violenze e privazioni, l’interminabile inverno comunque ebbe fine. I camici avevano compreso che per riuscire vincitori nella difficile prova bisognava tener duro. Era, di fronte ai russi, una gara di resistenza; ormai i cosacchi avevano capito che erano stati ingannati, e che la Carnia, la terra promessa, non sarebbe stata per loro.

La fine della guerra si avvicinava, ma non diminuiva la tracotanza delle SS. germaniche, irrigidite fino all’ultimo nel pernicioso attaccamento a quello che esse consideravano preciso dovere. E così alla fine dell’aprile 1945, dopo la falsa voce della morte di Hitler, otto notabili di Tolmezzo vennero arrestati come ostaggi, onde assicurare libera ai tedeschi la via della ritirata.

Perfino dopo la resa della Germania e il relativo armistizio, le SS. misero Tolmezzo in stato di assedio, fedeli alla teoria che i trattati non sono che pezzi di carta. E soltanto il 17 maggio riacquistammo la libertà assistendo all’auspicata partenza dei tedeschi e dei cosacchi che risalivano in disordine e senza speranza le valli che avevano spadroneggiato con tanta orgogliosa sicurezza. Ma neppure allor mancò uno spirito di cristiana pietà, che rivelò tutta la bontà d’animo della nostra gente: dimentiche delle sofferenze patite, mosse a con passione per coloro che partivano verso un incerto destino, molte delle nostre donne assisterono questi poveri esseri, rifocillandoli come potevano lungo le vie dell’abitato.

Ed ora cerchiamo di trarre le somme.

A giudizio del supremo Comando germanico per tenere a dovere i partigiani e le indomite genti della Carnia non ci volle meno di una Divisione cosacca e una Divisione caucasica, oltre alle truppe tedesche dislocate nella zona. Titolo di onore perenne per la Carnia è di avere i tal modo immobilizzate forze relativamente ingenti (pari, per numero, ad un terzo dei suoi abitanti) durante gli ultimi mesi della guerra, dal settembre 1944 al maggio 1945.