Manuela Di Centa scrive il romanzo della sua vita

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di Roberto Calvetti

Manuela, sono trascorsi 13 anni dal suo ritiro e soltanto adesso ha voluto narrare la sua avventura sportiva in un libro. Come mai ha fatto trascorrere tanto tempo? La sua grande rivale Stefania Belmondo, per fare un esempio, non ha atteso così a lungo… «Perchè fino ad oggi non ho guardato indietro e scrivere un libro significa guardarsi alle spalle, è una cosa molto importante e non facile». Perchè si è decisa a farlo? «Ho provato il desiderio-dovere di rispondere ai tanti che mi chiedevano come sono riuscita a realizzare quello che ho fatto, come ho saputo tenere duro quando le cose non andavano bene, e nella mia carriera sportiva ci sono stati momenti di buio. Ho pensato che fosse giusto spiegare come si fa ad arrivare». Delle sue vittorie e dei suoi trionfi si sapeva già tutto, perchè ha voluto limitare il racconto solo alla carriera sportiva? Dopo essersi tolta gli sci dai piedi, di cose ne ha fatte parecchie: la televisione, la politica… «Posso rispondere con una battuta? Di quello che ho fatto dopo aver abbandonato l’agonismo scriverò nei prossimi libri… Battuta a parte, non è finita. Ho già in mente un libro sulla scalata dell’Everest». Ha detto che scrivere non è stato facile. «Perchè ho scritto di cose intime: ho raccontato le mie paure, le sofferenze e le gioie. E ho parlato molto della mia famiglia, dei rapporti con mio padre Tane, con mia madre e con i miei fratelli. Non esagero se dico che è stato come andare dieci anni dallo psicoanalista». Quando le è venuta l’idea di raccontare la sua storia sportiva? «Tre anni fa, ho pensato che fosse arrivato il momento di farlo». Perchè ha scelto Claudio Calandra per affrontare questa nuova esperienza? «Avrei potuto scegliere un giornalista sportivo, ma non l’ho fatto di proposito, perchè volevo dare al libro un taglio intimistico e cercavo qualcuno che avesse la sensibilità necessaria e riuscisse a capire ciò che volevo trasmettere». Non è un caso, allora, che Calandra sia carnico come lei. E per di più di Paluzza. «No. Cercavo qualcuno che avesse il mio stesso modo di sentire anche se abbiamo età diverse. Una questione di radici. L’ho conosciuto in occasione di un convegno sulla Grande guerra in cui parlava delle portatrici carniche. L’argomento mi affascinava perchè mia nonna, Irma Englaro, è stata una di loro. Ci siamo intesi subito e così è nata la nostra collaborazione». Difficoltà? «Sì, ma logistiche. Io vivo tra Milano e Roma, lui a Modena: non è sempre stato facile incontrarsi, spesso ci siamo parlati a lungo al telefono in orari impossibili». Un libro pieno di sentimenti. «Sì, tutte cose che non sono mai state scritte perchè dietro le imprese di un atleta c’è un mondo inesplorato e soltanto sfiorato dai giornalisti». Qual è il messaggio che ha voluto trasmette in “Libera di vincere”? «Che tutto comincia con un sogno, tutti ne abbiamo uno. Ma poi ci vogliono determinazione, coraggio, duro lavoro e, soprattutto, cuore per realizzarlo. Mi piacerebbe che qualche giovane s’ispirasse alla mia storia per fare qualcosa d’importante nella vita. E non necessariamente nello sport».


Una risposta a “Manuela Di Centa scrive il romanzo della sua vita”

  1. Le due ultime righe recitano: "Mi piacerebbe che qualche giovane s'ispirasse alla mia storia per fare qualcosa d'importante nella vita. E non necessariamente nello sport".

    Magari, aggiungo io, …. non necessariamente nello sport e nemmeno nella politica!

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