Marano: scoperti nell’isola di Trebil un palazzo imperiale e splendidi mosaici


di Michela Zanutto 

Un edificio risalente alla prima età imperiale (primo secolo) sommerso nelle acque della laguna di Marano. È l’importante scoperta fatta nell’ambito del progetto Storie del mare (condotto dal Dipartimento di storia e culture dell’antichità dell’ateneo triestino in collaborazione con la Soprintendenza e promosso dalla Regione Fvg) che sarà illustrata questo pomeriggio, alle 16.30 nella vecchia Pescheria di Marano, da Rita Auriemma, archeologa subacquea nonché docente all’università del Salento e da Paola Maggi, responsabile del Museo archeologico della laguna di Marano. Poco piú di un metro e mezzo sotto il livello del mare si celano mosaici, pareti intonacate e dipinti che dopo due mila anni mostrano ancora la loro vivacità attraverso i toni del rosso acceso, il verde e l’azzurro. È la testimonianza di una vita prolifica che nella laguna maranese si è protratta dinamica dal I secolo dopo Cristo fino al VII, per rarefarsi e quindi scomparire intorno al Mille, in epoca Alto medievale  La chiave di volta di tanta vivacità è la posizione strategica della laguna: una cerniera fra le vie di mare e di terra che arrivavano ad Aquileia per aprirsi all’Impero romano d’Occidente. «L’area lagunare in corrispondenza dello sbocco a mare di alcuni dei principali corsi d’acqua anticamente navigabili della regione, come il ramo orientale del Tagliamento, e ancora Stella, Zellina, Aussa e, dall’età romana, il Canale Anfora – precisa Rita Auriemma -, fu interessata già dal Neolitico antico da un’intensa presenza umana e da un rilevante ruolo commerciale connesso con lo sfruttamento delle vie d’acqua fluviali, evidente soprattutto dall’età del ferro. Per l’età romana è possibile ricostruire un articolato quadro insediativo sia sulla terraferma sia sulle isole, che rappresentavano scali strategici in stretta connessione con il sistema portuale di Aquileia». Le indagini archeologiche, che mirano a ricostruire la geomorfologia del paesaggio antico, sono state spesso complicate dalla natura della laguna, ma anche dalle coltivazioni di ostriche introdotte negli anni Sessanta e poi abbandonate perché qualitativamente scarse. «Abbiamo rimosso almeno un metro e mezzo di cumuli di ostriche per riportare alla luce una gradinata all’isola di Bioni già oggetto di studio all’inizio del Novecento», spiega Auriemma. Grazie alla collaborazione del gruppo sommozzatori dei Carabinieri e della Guardia di finanza, sono stati indagati cinque siti: le isole di Bioni e Sant’Andrea nonché le Piere d’Isela, del Ficariol e del Tribel. «La scoperta piú importante è senz’altro l’edificio alla Piere del Tribel in cui si possono distinguere almeno 12 ambienti – sottolinea Auriemma -, un complesso edilizio importante poggiato su pali di legno, esattamente come descrive Vitruvio e come accade a Venezia. Significativo anche il ritrovamento di due sepolture sull’isola di Bioni per la cui datazione però si dovranno attendere i risultati del test del Carbonio 14.