Rigolato: in un Cd sono rinati i “cantuors” di San Giacomo

 PAOLO MEDEOSSI dal MV di oggi

La chiesa è fresca nella calda giornata d’estate. Il canto si leva dolce e misterioso arrivando da secoli fa e riempie le arcate come se nulla fosse accaduto, come se fuori di qui non fosse avvenuto negli ultimi decenni quel “genocidio”, come lo chiama il poeta di Maranzanis, Leonardo Zanier, che ha stremato e ridotto al minimo la popolazione dei paesi di montagna. La magia è forte, singolare e arcana, in totale contrasto con i ritmi e gli usi della modernità , ma alla fine si apre un pertugio nei cuori e nello spirito di chi ascolta. Questi sono cjants a la vecjo, canti all’antica o detti anche patriarchini, come spiega il parroco, pre Jusef Cjargnel, don Giuseppe Cargnello, riferendosi alla matrice cristiano-locale della Chiesa Madre aquileiese. Canti della memoria che provocano la sensazione di una fiamma che si sprigiona e, crescendo, avvolge tutti col suo calore e tutti unisce in un unico respiro. Al loro solo risuonare, durante le celebrazioni, si avverte la presenza di volti e timbri di voci che diventano concerti ormai solo qui, e li senti presenti per tutto il tempo in cui permane l’onda delle note e della preghiera. Sono anche canti del silenzio – spiega sempre il sacerdote – che appaiono fuori moda in contesti di esteriorità e confusione, ma che, se ti lasci avvolgere dal loro vortice, allora riescono a condurti in una dimensione inusuale, che sembra lontana e invece non è che la parte più profonda, la più originale che è in noi: quella del mistero.
Insomma, per l’ennesima volta va ripetuto un concetto che è bello rispolverare quando ci si inoltra in questi sentieri reconditi della nostra terra: per raggiungere dimensioni zen, interiori, liberatorie, intense, non occorre andare sette anni in Tibet, come consigliavano il famoso libro e il film, basta avere la pazienza di andare sette ore in Carnia senza ridurre la gita alla solita, pur inevitabile, mangiata e bevuta. Scarpinando verso qualche rifugio e poi fermandosi in una delle sue chiese si possono fare incontri benefici, come questo di cui stiamo parlando, con i cantuors de glîsio di San Jacum. Qui siamo in pieno Canal di Gorto, anzi in cima alla valle, dopo Ovaro e Comeglians, nella terra dove la desinenza dei sostantivi e aggettivi femminili diventa “o” anziché “a” dando alla parlata una suggestione tutta sua, specialissima, anche nel confronto con quanto avviene nei paesini più prossimi. Questo è il regno di Rigolato, con le sue frazioni Valpicetto, Magnanins, Ludaria, Gracco, Vuezzis, Stalis e, più in alto, la vitalissima Givigliana (con il suo campanile multicolore) e Tors. Gli abitanti, in tutto, sono circa 500, ma alcuni decenni fa erano cinque volte tanto. Chi è rimasto propone una sua resistenza, che è esistenziale, ma anche culturale, come è accaduto con la rinascita del gruppo cantori (nella foto in alto) della chiesa di San Giacomo (e il loro simbolo naturalmente è la conchiglia, quella che accompagnava i pellegrini nel lungo viaggio verso Santiago di Compostela). Si tratta di una sorta di confraternita che ha una vita regolata da uno statuto, rinnovato nel 2004 con, fatto inedito, la presenza anche di una sezione femminile accanto a quella maschile e numero massimo in entrambi i casi di 12 aderenti. Lo scopo è di accompagnare e solennizzare le celebrazioni religiose mantenendo vivo il grande patrimonio del canto all’antica, e cioè il canto patriarchino. Sono musiche e testi latini che erano diffusi nel territorio corrispondente, a grandi linee, con quello dell’antica diocesi di Aquileia, ovvero il Patriarcato che ebbe pure il controllo politico fino al 1420 sostituito poi dalla Serenissima di Venezia, ma la cui esistenza continuò fino a metà Settecento quando vennero create le diocesi di Udine e Gorizia. Si tratta di un repertorio popolare, che prevedeva moltissime varianti locali, tramandato in esclusiva forma orale da generazioni di cantori.
Tutta questa storia è raccontata in un libretto con allegato cd, pubblicato a cura di Roberto Frisano (con scritti anche di Guido e Franco Candido) dalla Nota di Valter Colle che continua così la sua preziosa opera di documentazione che sta salvando molti tesori della nostra tradizione musicale. C’è il racconto (riguardante le vicende e i personaggi di Rigolato), ci sono le immagini e ci sono le voci registrate. Un fenomeno delicato, insolito, che va conosciuto in punta di piedi. È un piccolo miracolo che in un mondo come il nostro si preservi una ricchezza come il Maria Mater gratiae, il canto mariano che apre il disco. «Queste melodie – dice pre Cjargnel – non sono reperti archeologici, ma espressioni nascenti di una comunità che, nella evoluzione moderna, che non deve essere respinta, per non naufragare nell’alienazione, è chiamata a onorare ogni senso genuino della sua identità».