Tarvisio: il terrorista era solo “presunto”, libero Ibraev, accolte le tesi delle organizzazioni Cecene


di Tiziano Gualtieri

È stato rimesso in libertà dai giudici e ha già fatto ritorno a Nizza, in Francia dove risiede, Rinat Ibraev, il 29enne ceceno fermato nella notte tra il 9 e il 10 ottobre al casello dell'autostrada A23 di Ugovizza mentre, in compagnia della moglie e dei tre figli, stava raggiungendo alcuni parenti che vivono in Austria. Nel corso di un semplice controllo da parte dei carabinieri del nucleo radiomobile di Tarvisio, era emerso che a carico dell'uomo pendeva un mandato di cattura internazionale spiccato dall'Interpol russa e quindi per lui erano immediatamente scattate le manette. Ibraev, che con il fratello Yunus – assassinato nel Capodanno del 2007 – è stato in passato un combattente della resistenza durante la seconda guerra russo-cecena, è accusato di far parte della rete terroristica conosciuta con il nome di "Jamaat" e di essere l'autore materiale, sempre nel 2007, dell'omicidio di un poliziotto di Mosca. <br />
      Ma fin da subito l'Organizzazione degli ex prigionieri ceceni nei campi di detenzione russi (Oufkl-ChRi) aveva dato vita a una mobilitazione attraverso internet pubblicando una lettera in cui dichiarava che le accuse a Ibraev erano completamente fasulle e che l'uomo, già arrestato tempo fa dalle forze dell'ordine italiane e già una volta rilasciato su richiesta delle autorità francesi che gli hanno riconosciuto lo status di rifugiato, è in realtà semplicemente un perseguitato politico. Ancora una volta i giudici italiani hanno dato ragione ai ceceni, scarcerando Ibraev e mettendo così fine, dopo due settimane, a una vicenda che ha visto Tarvisio coinvolta in una "battaglia" a distanza tra Governo russo e l'Oufkl.
      La stessa organizzazione aveva fatto anche appello alle autorità italiane affinché non fosse concessa l'estradizione di Ibraev – la cui famiglia, sempre secondo fonti cecene, sarebbe perseguitata dai servizi di sicurezza di Mosca – perché il suo ritorno in patria avrebbe, quasi sicuramente, portato a una condanna a morte. A incidere sulla decisione dei giudici anche il fatto che i controlli, eseguiti dai carabinieri di Tarvisio dopo l'arresto, non avevano dato alcun esito né era stato trovato materiale illegale nell'auto posta sotto sequestro.