Tolmezzo: a 15 anni dalla scomparsa un ricordo di Claudio Puppini, architetto-scrittore poliedrico e geniale

_claudio puppini

di Ermes Dorigo.

Ricorre quest’anno il quindicesimo anniversario della scomparsa prematura (a 58 anni nel 1999) dell’architetto Claudio Pappini ed è doveroso ricordarlo, anche se la data non coincide – ma forse va meglio questo periodo natalizio che deve essere anche di riflessione – perché, mentre a parole si dichiara di voler salvaguardare e rafforzare l’identità e la cultura locali, nei fatti si dimenticano quelle persone che hanno contribuito a costruirla e a conservarla. Dopo frequentazioni assidue, i nostri rapporti si erano diradati e sino a ritornare più frequenti e intensi negli ultimi anni; conservo come ultimo tristissimo ricordo l’incontro fuori della Libreria Pillinini: era seduto in macchina, mi sono avvicinato, per invitarlo a visitare all’interno di essa una Mostra: mi ha guardato, mi ha mostrato il bastone, non ce la faceva quasi più a camminare, gli venne da piangere. Con questo contralta un ricordo opposto, quando lo vidi circa un anno prima raggiante e sorridente alla mostra Dal figurativo alla nuova figurazione di Tiziano dalla Marta, pervaso da una gioia e felicità febbrile quasi infantile per l’omaggio che si rendeva all’amico comune. Confesso che, forse per una mia debolezza vigliacca o forse perché volevo ricordarlo com’era, insaziato di vita e di storia, non ho avuto il coraggio di andarlo a trovare quando la malattia, con cieca ostinazione, lo consumava attimo dopo attimo; e questa postuma rievocazione non mi libera certo dal senso di colpa.

Aristocratico e popolare ad un tempo non ho mai conosciuto (tranne Volponi e la sua Urbino), una persona così visceralmente innamorata della propria città – soprattutto del suo Borgàt dentro le mura antiche, dov’era nato -, di cui viveva empaticamente forme, materiali, profumi, colori, odori, tempi, silenzi anche antichi, che tutti voleva conservare, perché non andassero perduti; per cui tutta la sua attività politica, pungente consigliere comunale; professionale e di storico si può dire caratterizzata da questo impegno etico-civile di preservazione dell’identità e della storia della sua comunità, per sottrarla alla corrosione del tempo: aveva una concezione quasi religiosa e sacrale della memoria.

Formatosi sull’ideale vitruviano dell’architetto come uomo di ampia e profonda cultura umanistica non specialisticamente settoriale (oggi mancano spesso negli architetti entrambe), lettore attento e selettivo fin da giovanissimo, amava l’opera (frequenti le sue presenze alla Fenice di Venezia, la città che amava sopra tutte) e la musica, al punto da mettere insieme una notevole collezione discografica; amava l’arte, soprattutto quella classica o quella moderna che conservava tratti di classicità, e dipingeva; una pittura in simbiosi con la professione di grande abilità disegnativa e sorprendente raffinatezza: poche composizioni eterogenee, in cui erano sempre presenti elementi architettonici (colonne corinzie o ioniche, cupole…), con accostamenti cromatici raffinati, che rivelavano una sua autonoma personalità, pur echeggiando l’amato Gnoli; mentre nei pochi paesaggi sono evidenti le allusioni a Giorgio Morandi.

Pur legato in forma quasi viscerale e corporale alla sua terra, non era un provinciale, ma un vagabondo e inquieto ricercatore, assetato di conoscenza e di un incessante aggiornamento professionale, che lo portò a girare il mondo (ma con baricentro psicologico sempre a Tolmezzo e in Carnia), per vedere le opere dei suoi tanti maestri: negli Stati Uniti nella casa di Wright, in Finlandia per ammirare le opere di Aalto, in Unione Sovietica, in Europa ad ammirare e studiare soprattutto le opere di James Stirling, con le sue murature spezzate e interrotte da apparenti crolli scenografici, che insieme alle ironiche bizzarrie inventive di Giulio Romano nel Palazzo The a Mantova hanno probabilmente ispirato la progettazione del complesso residenziale Nostalgia in via della Cooperativa a Tolmezzo ( tutti questi viaggi li documentò con un numerosissime diapositive, parte delle quali presentate al pubblico in diverse serate).

Claudio era riconoscente nei confronti dei propri maestri; si pensi al complesso della Roggia, rimasto incompleto: non solo citandone particolari decorativi e costruttivi, ma addirittura con una targa d’ottone avrebbe voluto rendere affettuoso omaggio a Carlo Scarpa, di cui era stato allievo.

Ricordo che, quando ad un certo punto scarseggiarono i collaboratori di Cronache Tolmezzine, Claudio, che credeva fortemente in questo strumento, riempiva quasi tutto il giornale con articoli di storia, di carattere ambientale e per la salvaguardia del patrimonio edilizio storico, al punto che un giorno scherzosamente gli dissi che avevo apprezzato molto l’ultimo numero di… ‘Cronache Puppine’.

Dal punto vista professionale, monumento al ricordo rimane il grande complesso residenziale in via della Cooperativa – cui già ho accennato -, da lui battezzato ‘Nostalgia’, in cui ha sintetizzato tutti gli elementi stilistici dell’architettura carnica (si possono ricordare anche la sistemazione del Borgàt, di via Roma, della chiesa di San Valentino a Somplago, la Polse di Cougnes ai piedi della pieve di San Pietro in Carnia).

Sintesi di questo amore per la sua terra e la sua gente, come storico ci ha lasciato la ponderosa opera ‘Tolmezzo. Storia e cronache di una città murata e della Contrada di Cargna’ fino al diluvio del 1692; ma aveva già raccolto il materiale per completarla per cui Il Settecento, postumo, fu pubblicato per merito di Ferigo e Lorenzini. Da bravo architetto, vedeva come le fondamenta su cui (ri)costruire l’identità culturale della sempre più disaggregata comunità tolmezzina in un mondo che mutava e nel quale sempre meno si riconosceva, soprattutto nei suoi aspetti di ‘smemoratezza’ e di rozza incultura: “ un lavoro – scrive nella Prefazione -, frutto degli otia di un dilettante alle prese con una materia non sua, che doveva intervenire a coprire il singolare vuoto costituito dalla mancanza fino ad ora di un’opera organica di carattere storico sulla Terra Tulmetii; dedicato ai suoi genitori, perché Claudio, come Pasolini, aveva nostalgia di quel “tornare dei padri nei figli”, come avveniva in altri tempi e in un’altra civiltà e cultura.