Tolmezzo: a palazzo Frisacco la mostra che riscopre l’arte di Gianfrancesco da Tolmezzo

di Alessio Geretti

La prima sezione della mostra, che si protrarrà fino al 7 ottobre, è dedicata al contesto storico, sociale, culturale e religioso entro cui si sviluppò la vicenda biografica e artistica di Gianfrancesco da Tolmezzo. Per evocare tale scenario si incontra anzitutto un’opera di carattere profano: il Fregio Mantica: un vasto frammento di fregio decorativo, con putti, profili clipeati e insegne araldiche entro ghirlande, che Gianfrancesco eseguí a Pordenone, nell’ambito del suo prolungato rapporto con la committenza cittadina. I volti ritratti di profilo che vi si osservano ricordano le pregevoli sansovine, una preziosa e interessante serie delle quali è esposta in contemporanea a questa mostra nel vicino Museo Gortani. Nelle sale dedicate agli affreschi sono esposti due lacerti di ampie dimensioni provenienti da Pordenone: la grande Santa Barbara, dalla chiesa del Cristo, e il Padre Eterno con figure di Apostoli (probabilmente un frammento di scena di Pentecoste), dal Duomo di San Marco. Altri due affreschi attestano l’attività del maestro carnico nel Friuli occidentale: la Madonna in trono col bambino e i Santi Leonardo e Giovanni Battista, già nella chiesa di Santa Giuliana a Castel d’Aviano, ora nel museo diocesano di Pordenone, e la Pietà con due Santi della parrocchiale di Vivaro: ambedue le opere sono esposte al pubblico dopo un nuovo restauro appena concluso. La centralità dell’aspetto tecnico nell’arte del maestro tolmezzino, efficacissimo interprete della pittura a buon fresco, viene posta in rilievo da una serie di pannelli materici che ricostruiscono le numerosi fasi esecutive dell’affresco. Alcune stampe antiche, modelli di riferimento per l’opera di Gianfrancesco, sono presentate in una sala che ripresenta in collegamento l’opera grafica di ispirazione e l’opera risultante del tolmezzino. In particolare sono esposte le stampe del grande incisore alsaziano Martin Schongauer e dal Maestro I.A.M. di Zwolle, ai quali il tolmezzino guardò soprattutto per i cicli dedicati alla Passione di Cristo. Una sala specifica è dedicata alla grande pala di Santa Giuliana, raffigurante la Madonna in trono col bambino e i Santi Nicolò, Dorotea, Giuliana di Nicomedia, Caterina, Apollonia, Gregorio papa e due angeli musicanti, eseguita nel 1507 per la chiesa di Santa Giuliana a Castel d’Aviano (ora in deposito al Museo Civico d’Arte di Pordenone), che costituisce l’unico esempio a noi giunto di opera su tela del Maestro.Per far entrare il visitatore nelle atmosfere sonore rinascimentali, evocate dalle numerose “orchestre celesti” descritte con dovizia di particolari e dettagli realistici da Gianfrancesco, sono inoltre esposte alcune riproduzioni di strumenti musicali dell’epoca, opere di alto artigianato. L’itinerario di approfondimento, suggerito al visitatore della mostra da un’apposita sala multimediale, trova infine un concreto parallelo nell’ultima sezione espositiva, incentrata sulle testimonianze dell’analogo viaggio fra chiesine campestri, affreschi e pale d’altare compiuto nella seconda metà del secolo XIX dallo storico dell’arte Giovan Battista Cavalcaselle, grazie alle riproduzioni di una dozzina dei fogli dei suoi taccuini, conservati presso la Biblioteca Marciana di Venezia. La mostra si conclude nella sala allestita dagli artigiani carnici, con realizzazioni esclusive ispirate all’arte del maestro Gianfrancesco .

6 Risposte a “Tolmezzo: a palazzo Frisacco la mostra che riscopre l’arte di Gianfrancesco da Tolmezzo”

  1. C’era un impegno, verbale, ma ufficiale di un Assessore a pubblicare questo libro, su cui lavoro da due anni. Non ne ho saputo più niente, nonostante abbia inviato diversi exempla mano a mano che procedevo nella correzione delle traduzioni dal latino e delle schede biobibliografiche degli autori. Esso servirebbe proprio a dare completezza al ‘Rinascimento’ a Tolmezzo, premessa della fioritura Settecentesca.

    ERMES DORIGO

    UMANISTI A TOLMEZZO NEL 1500

    INDICE

    JACOPO VALVASONE DI MANIACO, Descrizione della Cargna, 1565

    ANONIMO DA TULMEGIO (Giuseppe CILLENIO)
    I Cillenio di Tolmezzo
    Biobibliografia
    Ampia ‘Antologia’: Canzoniere petrarchesco del XVI secolo
    ROCCO BONI
    Biobibliografia
    Austriados, libri quattuor, 1559 (testo latino – 1694 versi -con traduzione in italiano e Note)
    ANTEO CILLENIO
    Biobibliografia
    De peste Italiam vexante, 1577 (testo latino – 346 versi – con traduzione in italiano e Note)
    NICOLÒ CILLENIO senior
    Biobibliografia
    Breve introduzione
    Psyches – Rapsodiae duae, post 1577 (testo latino – 556 versi – con traduzione in italiano e Note)
    NICOLÒ CILLENIO junior
    Biobibliografia
    Breve antologia di poesie latine con traduzione italiana
    RAFFAELE CILLENIO
    Biobibliografia
    Oratio ad cives utinenses habita pridie Nonas Decembris 1594 (con traduzione in italiano e Note)
    Oratio ad cives foroiulenses (con traduzione in italiano)
    Carmina (ampia silloge poetica con traduzione in italiano e Note)
    GIUSEPPE DACIANO
    Biobibliografia
    Trattato della peste e delle petecchie,1576 (ampia antologia)
    Sulla peste nei secoli di Nicola Corbelli
    FABIO QUINTIALIANO ERMACORA
    Biobibliografia
    De antiquitatibus Carneae, post 1584 (alcuni passi latini con traduzione in italiano)
    FRANCESCO JANIS
    Biobibliografia
    M. SANUTO, Viaggio in Spagna di Francesco Janis di Tolmezzo, per cura di R. Fulin, Sumario, «Archivio Veneto», XXII, I, Venezia, 1881 (BCU misc. 825 ,1519-20)

  2. PER UNA MIGLIOR COMPRENSIONE DEL LIBRO

    Per una ridefinizione della geografia culturale del Friuli
    UMANISTI DI TOLMEZZO NEL 1500
    «Meglio intende il suo presente chi é nutrito dell’esperienza del passato»

    La revisione della geografia culturale non é solo un dovere storiografico, ma si trasforma in un atto etico-civile nel momento in cui, attraverso la giusta rivalutazione delle espressioni letterarie di un territorio, si dà alla comunità, che l’ha espressa in passato, il senso dell’uscita dalla lateralità e marginalità e la consapevolezza di appartenere a pieno titolo ad una comunità più vasta. Tale revisione, per quanto concerne Tolmezzo e la Carnia, deve concentrarsi sul 1400 e 1500, perché é con l’instaurazione del dominio veneto nel 1420, che si diffonde l’Umanesimo e inizia per questa terra quell’ascesa economica, sociale e culturale che culminerà nel 1700. Nell’introduzione ai volumi dell’Età veneta del Nuovo Liruti, si sostiene che, accanto a quella nel campo artistico di Domenico e Gian Francesco da Tolmezzo, si può a tutti gli effetti parlare di Scuola Tolmezzina anche per quanto concerne la coeva cultura e letteratura umanistica, da mettere accanto, quindi, all’unica finora esaltata e celebrata Scuola di San Daniele, fondata da Guarnerio d’Artegna (anche se é ben vero che Tolmezzo e la Carnia non vantano umanisti cultori di biblioteche e collezionisti di manoscritti antichi, se si fa eccezione per Giovanni di Mainardo di Amaro, che visse e insegnò però a Cividale. La sua biblioteca conta 109 codici, tra cui si notano, oltre ai testi grammaticali e propri della professione, opere di mitologia, astronomia, storia, esegesi biblica, patristica, e alcuni volumi di letteratura moderna, da Petrarca e Boccaccio in poi).
    Sulla letteratura quattro-cinquecentesca a Tolmezzo abbiamo studi approfonditi su Girolamo Biancone (Pellegrini), il maggior poeta in lingua friulana del secolo; Fabio Quintiliano Ermacora (Tremoli) per il suo monumentale De antiquitatibus Carneae; e l’edizione critica (Dorigo) di un anonimo poeta petrarchista. Qui si abbracciano tutti i rappresentanti di essa, anche quelli che per inquietudine o prestigio vissero a lungo o si trasferirono in altre città, in particolare alcuni significativi anche al di fuori dell’ambito locale come Raffaele Cillenio che, come egli scrive, non rimasero «chiusi, senza infamia e senza lode, solamente nella paterna e avita contrada, litigandovi al modo di galli domestici, né mai manifestarono l’intenzione di uscirne qualche volta, e in genere amano solo i campi, i monti, i fiumi e i boschi della terra natia».
    Siccome Venezia tiene lontana la nobiltà e l’alta borghesia dal potere «il latino – scrive Tremoli – é sì simbolo di distinzione, ma diviene anche strumento difensivo, utile e necessario per trattare alla pari con i nuovi padroni. Anche per questa ragione si spiegano le cure speciali dedicate all’eccellenza delle scuole – a Tolmezzo fu molto curata la scuola di grammatica e retorica – e la considerazione di cui vien fatto oggetto chi conosce il latino». Certamente rispetto ai grandi umanisti toscani, i tolmezzini sono dei ‘minori’; però, come scrive ancora Tremoli, «hanno la loro importanza perché rappresentano, quale che sia stata, la cultura della loro terra, e perché ci tramandano con la loro opera una preziosa serie di testimonianze su quella che fu la condizione sociale del loro tempo». Basti leggere di Anteo Cillenio il suo poemetto De peste Italiam vexante del 1577, che ci dà in chiave controriformistica un quadro apocalittico del passaggio dalla società feudale a quella borghese, caratterizzato dalla crisi della famiglia e del matrimonio, dall’adulterio, dalla lotta di tutti contro tutti, dalla smania del denaro, dalla pratica dell’usura: una società rissosa e violenta.
    Paradigmatica rimane, comunque, l’opera di Rocco Boni autore di un poema di 1694 esametri dal titolo Austriados Libri quattuor, pubblicato nel 1559 a Vienna per i tipi di Michele Zimmermann, dopo essere stato approvato dal Collegio poetico di quella celeberrima Università e dal suo Rettore, il Magnifico Giorgio Eder, giureconsulto, e dedicato alle Maestà di Ferdinando I, imperatore dei Romani, e di Massimiliano, re di Boemia. Opera, probabilmente commissionata – a conferma di quanto afferma il Menis, che Venezia « vide nel Friuli una preziosa area strategica per la salvaguardia dei suoi fragili confini con l’Austria» – ad un suddito letterato di confine, sotto la minaccia di consegnarlo all’Inquisizione, che ha soprattutto lo scopo di accentuare i legami di pace e di amicizia tra Venezia e Austria (era ancora aperto il contenzioso per il dominio su Aquileia); quindi al di là del volo dell’autore (abbiamo qui la prima visione ‘aerea’ di Tolmezzo: «Di seguito vediamo le torri di Gemona, e le alte/ mura di Tolmezzo, e le fortificazioni disposte sui colli./ Quindi vediamo le rovine spianate al suolo dell’antico/ Foro di Giulio, ricoperte da erbacce selvatiche; / si notano delle tombe e blocchi di marmo incisi con epigrafi») , trasportato da Mercurio sull’Olimpo e ad Augusta e dei panegirici dei due Asburgo, conta soprattutto la continua sottolineatura della bontà del governo veneziano e della sua più volte ribadita «alleanza perpetua» e convivenza pacifica con l’Austria, e di questa il buon governo in Friuli con un lungo epinicio bucolico di Gorizia e del suo territorio, con Gradisca e Trieste domini austriaci.
    La ricchezza culturale di Tolmezzo é per certi versi sbalorditiva se si pensa, come scrive il Valvasone che nella capitale «di tutta la Cargna, abitata da persone civili e di acuto intelletto, conforme a quell’aere sottile, ben fabbricata, e nei tempi estivi molto allegra, … sono state descritte 950 anime». Certamente nel 1400 esistevano quivi piccoli centri culturali ed accademiuole, dalle quali emerse una vera e propria stirpe di umanisti, i Cillenio: Raffaele, il più famoso di questo casato, che ha dato numerosi letterati di humanae litterae , firmava talora le sue opere «Cillenio Angeli» o «Cillenio De Angelis»; secondo il Puppini «si sa che la famiglia dei Cillenio si era imparentata in qualche modo con il notaio e cancelliere tolmezzino Cristoforo Angeli». A mio avviso si potrebbe suggerire una diversa ipotesi circa il cognome, ovvero che quello reale fosse ‘Angeli’; probabilmente, in un qualche cenacolo letterario, dov’era consuetudine assumere uno pseudonimo, un Angeli scelse quello di ‘Cillenio’ (monte d’Arcadia, dove nacque Hermes-Mercurio, dio della parola), che divenne il patronimico, salvo poi, nei casi di possibile omonimia, riprendere e/o aggiungere il cognome originario. Tale ipotesi parrebbe suffragata dai nomi dei Cillenio che, espressione dell’umanesimo cristiano, ricorsero a due campi onomastici: quello della classicità (Mercurio, Eumene, Evandro, Anteo, Nicolò, Damasceno) e quello biblico-evangelico (Giuseppe, Raffaele…); vale a dire che la costruzione dell’immagine di ‘maestri di umanità’ sarebbe stata affidata, prima che all’opera, all’ipersemantizzazione dei nomi e dei cognomi.
    Tra questi sono ricordati Nicolò Cillenio senior e la sua opera in versi Psyches–Rhapsodiae duas, molto complessa stilisticamente per gli arcaismi e ideologicamente, il quale, in odore d’eresia, dietro un’adesione di facciata, spesso ironica, al clima controriformistico, dimostra una profonda nostalgia per le origini greco-etrusche della cultura latino-italiana, esaltando la libera ed eclettica cultura umanistico-rinascimentale soffocata dal cattolicesimo, il mondo metamorfico dell’alchimia, le teorie orientali di Zoroastro, l’esoterismo misterico delle antiche religioni nella figura centrale del mitico cantore Orfeo; il nipote, Nicolò Cillenio junior – citato brevemente, per scarsità di documenti, figlio del più famoso Raffaele Cillenio, che merita un’attenzione particolare, in quanto autore di numerose opere in prosa e versi, in latino e in greco.
    Egli insegnò per molti anni a Venezia e Verona, fu autore di un manuale per aiutare la memoria degli allievi ad apprendere le tecniche dell’arte oratoria, lodato, consigliato e utilizzato in molti ambienti scolastici. Per nostalgia, ma anche per problemi di isolamento, emarginazione e solitudine, ritorna a Tolmezzo nel 1573, dove viene assunto nella locale scuola con il cospicuo stipendio di 130 ducati; dentro di sé, per quanto legato alla terra natia, coltiva però sempre il desiderio di concludere la sua carriera d’insegnamento nella capitale della Patria del Friuli, Udine; il che avrebbe rappresentato la consacrazione definitiva del suo magistero nelle humanae litterae, la gloria e la fama, cosa ben diversa della rinomanza di cui già godeva: «uomo lodato dai maggiori Letterati d’Italia» (Liruti). Finalmente un anno prima della sua morte Raffaele compone l’Oratio ad cives utinenses habita pridie Nonas Decembris 1594, che rappresenta il vertice della sua arte oratoria, in occasione del conferimento della cattedra di Lingua Latina e Greca nella città di Udine, della quale ci restituisce un’immagine stupenda.
    Altri umanisti, pur padroneggiando latino e greco, anche per motivi professionali predilessero l’italiano. Il medico Giuseppe Daciano, che, dopo aver svolto a Tolmezzo la sua professione, acquistò una tale stima e rinomanza per cui la città di Udine lo prescelse come suo Medico con lauto stipendio; si distinse soprattutto nelle varie pestilenze ed é autore nel 1576 del Trattato della peste e delle petecchie, osteggiato dalla corporazione scientifica e dalla Chiesa, in quanto opera di divulgazione scientifica in volgare al di fuori della cerchia degli specialisti. Francesco Janis, «dottor di Leggi stimatissimo, et Oratore facundissimo e perciò adoperato in negozi di grandissimo rilievo non meno dalla Patria, che dalla Repubblica» (Capodagli) sul quale viene riportato il Sumario del Sanuto Viaggio in Spagna di Francesco Janis di Tolmezzo del 1519-20, che racconta della sua missione su incarico della Serenissima presso Carlo I, re di Spagna, che proprio mentre si trovava lì fu eletto Imperatore col nome di Carlo V, per risolvere, come fece, la questione tra la Spagna e Venezia, che chiedeva la liberazione di navi e merci di sudditi veneziani, sequestrate da alcuni mercanti spagnoli come rappresaglia per presunti danni patiti. Infine quell’Anonimo – prima dell’edizione critica Giuseppe Cillenio -, autore di un Canzoniere petrarchesco, unico come s’é detto in Regione, sulla cui scrittura e ambientazione a Tolmezzo non ci sono dubbi: «Ma tu beato coro,/ Che lungo al bel Tulmegio/ Di Lei soavemente vai cantando»; «Tulmegio, tu poi ben di suoi costumi/ Andar altiero, e le tue donne belle/ Reverenti venir a farli onore»; «Udranle adunque almen, tra fiamme e gelo,/ il bel Tulmegio, ogni sua riva e fiume,/ poi che tanto non po’ mio basso stile».

  3. La mappa dei luoghi gianfrancescani non sia considerata un’invenzione ‘illuminata’ di qualche ‘illuminato’ dell’ultima ora: si trova (con una breve biografia) molto dettagliata in una rivista dell’allora APT da me curata CARNIA UN MOSAICO DI…, auspici Da Pozzo e Giorgessi

  4. Finalmente a Tolmezzo il laicismo è morto e tutta la cultura (e la maggioranza politica) sono in mano al clero: infine si sono presi anche palazzo Frisacco (fortuna che la Biblioteca è stata intitolata alla cara Adriana Pittoni, altrimenti avrebbero allungato le grinfie anche su quella istituzione CIVICA). Negli anni ’50 e ’60 in molti paesi della Carnia parroci ficcanasanti in politica si videro le canoniche assediate da cittadini con forche, badili…: i nostri nonni conoscevano bene la norma: LIBERA CHIESA IN LIBERO STATO (a Tolmezzo dobbiamo chiedere: Libero comune in onnipotente parrocchia). Ora lasciamo stare i forconi: ma due fogli di via: uno per i sotterranei del Vaticano e uno per la curia udinese con l’amico di merende che lo attende: beh, almeno due fogli di via bisogenrebbe cercare proprio di staccarli.Basta con Gastaldo, Gastaldino e il Cacasenno variabile: pensino che esiste anche l’ANIMA da curare e far crescere onesta, leale, veritiera, disinteressata,amante del bene di tutti non solo di una lecchina parte. Se se ne sono dimenticati mandiamoli a San Leo, nell’angusta cella di Cagliostro, a studiare l’alchimia della religione cristiana (non cattolica, perdio, che quella la sanno proprio per bene a memoria di dritto e di rovescio: siamo tornati all’epoca del concilio di Trento: a quando l’Inquisizione? – subdola e sotterranea di fatto esiste già: i roghi mancano solo per una questione energetica e di buon gusto, altrimenti…

  5. ESISTEVA UNA RICCA ATTIVITÀ CULTURALE A TOLMEZZO ANCHE PRIMA CHE ARRIVASSE QUALCUNO A MONOPOLIZZARE E A INDIRIZZARE IDEOLOGICAMENTE A SENSO UNICO. TRALASCIO LE DECINE DI ESPOSIZIONI ARTISTICHE, ALCUNE DI ALTISSIMO LIVELLO.

    BIBLIOTECA
    Sintetizzare in poche parole circa un decennio (1987-1999 con un’interruzione tra il 1994/95) di direzione della Biblioteca Civica non è semplice; cercherò di farlo, evidenziando gli aspetti più significativi del lavoro svolto, accompagnati da alcune brevi considerazioni.
    Quando l’allora Assessore alla Cultura, avv. Luciano Cardella, mi propose di assumerne la Direzione io consegnai un’ipotesi di lavoro, che successivamente fu approvata dalla Giunta del sindaco Igino Piutti. Nell’attesa della nomina (poi fui confermato dai sindaci Renzo Tondo e Ilario Brollo) confesso che vissi uno stato d’animo contraddittorio: lusingato ed entusiasta per l’inizio d’una nuova esperienza d’operatore culturale e preoccupato per l’impegnativa eredità, che mi era lasciata da colei che per tanti anni era stata l’anima della stessa, la professoressa Adriana Pittoni Boiti, della quale, comunque, ero amico, sodale nell’amore per i libri e nello spirito di servizio verso la comunità, ed anche allievo, in quanto mi aveva introdotto nei ‘misteri’ della biblioteconomia: si trattava di continuare sulle sue linee guida, tenendo conto della mutata realtà dei bisogni culturali, più variegati e stratificati, dopo una più che ventennale scolarizzazione di massa: si trattava di mantenere unita culturalmente una comunità delle diversità. Per onestà intellettuale devo affermare che, se ho potuto attuare appieno le iniziative progettate, il merito va condiviso con i presidenti e i componenti della Commissione di gestione, con i quali in tanti anni ho avuto un costruttivo anche se talora civilmente dialettico rapporto, con la/e bibliotecaria/e e i dipendenti comunali con i quali avevo rapporti, e con enti, associazioni e privati, che hanno offerto la loro collaborazione. Non mi dilungo su alcune realizzazioni (istituzione della Mediateca e della sezione per non vedenti con libri parlati donati dal locale Leo Club) né su alcune trasformazioni strutturali, che in parte si sarebbero realizzate appieno successivamente (riforma dello Statuto, automazione del servizio, servizio bibliotecario comprensoriale, individuazione della nuova sede ed esame del relativo progetto), alle quali ho dato un mio qualificato contributo, avendo acquisito una certa esperienza professionale, visitando e raccogliendo informazioni sul funzionamento delle biblioteche dei maggiori centri della provincia di Udine.
    Tralasciando i problemi di classificazione, cui si dedicò Paola Artico, innanzitutto ci si adoperò per ottenere dalle Amministrazioni che si succedevano, e in questo si dimostrarono molto sensibili, un notevole aumento di fondi, per arricchire la dotazione libraria, indirizzando, di volta in volta, gli acquisti verso le classi Dewej più sguarnite, ma anche tenendo conto soprattutto dei nuovi interessi culturali, che gli utenti esprimevano attraverso le loro richieste.
    Il mio impegno principale, comunque, è stato rivolto ad organizzare delle iniziative culturali, che avvicinassero i potenziali utenti alla Biblioteca e nello stesso tempo facessero di Tolmezzo, cito da un settimanale che ad un certo punto ne prese atto, “un punto di riferimento sotto l’aspetto della proposizione culturale. Una cultura di qualità, che al tempo stesso ha coinvolto l’intera popolazione, ma principalmente la scuola”. In effetti, la Biblioteca si evolse in luogo di socializzazione e gli incontri culturali continuativi e costanti (una sessantina) durante l’anno divennero appuntamenti abituali in cui, oltre ad arricchirsi culturalmente in relazione all’argomento e al relatore di turno, i partecipanti ritrovavano conoscenti provenienti dai vari paesi della Carnia o incontravano e familiarizzavano con sconosciuti accomunati dagli stessi gusti ed interessi. Gli incontri erano programmati col criterio della varietà tematica (nazionale, regionale, locale) e di ‘genere’ (ad es: Convegno su Cultura nazionale e culture regionali o il Recital di poesie dai Canti di Leopardi nel bicentenario della sua nascita) e del pluralismo ideologico: non fu all’inizio facile far arrivare i ‘grandi nomi’, ma una volta rotto il ghiaccio Tolmezzo divenne per essi una ‘piazza’ appetibile, per cui i carnici non dovettero più andare in altre città/cittadine, ma poterono incontrare e ascoltare a Tolmezzo, cito solo alcuni nomi, G. Petronio, C. Magris, F. Tomizza, C. Sgorlon, M. Rigoni Stern, P. Maurensig, F. Camon, N. Naldini, C. Tullio Altan, G. Zigaina… Oltre a ciò mi piace ricordare un’iniziativa particolare, che dimostra come si operasse concretamente per la crescita culturale della comunità tolmezzina e carnica, cioè Storiamemoria, mostra dei Giornali della Carnia (Carnia, Lavoro, Alpe Carnica, Carnia domani, Nort), che con il relativo convegno offrì la possibilità di conoscere la storia locale postbellica e che indirettamente favorì la riproduzione anastatica e la pubblicazione in due volumi dei primi quattro giornali, da parte di un privato il primo, da parte della Comunità Montana, presieduta allora dal compianto avv. Sergio D’Orlando, il secondo, in occasione delle celebrazioni del cinquantenario della Zona Libera della Carnia.
    Però l’obiettivo primario che ci si propose fu quello di ‘creare’, in un mondo dominato dalla televisione e, quindi, dalla chiusura domestica e dalla mancanza di socializzazione e di creatività, il nuovo lettore, scegliendo come soggetti privilegiati i bambini e gli adolescenti. A tal fine furono allestite diverse mostre d’illustratori per l’infanzia, che ebbero migliaia di visitatori da tutta la regione ( Prima mostra regionale dell’illustrazione per l’infanzia, Sulle ali del libro, Štepan Zavrel, 80 illustratori incontrano Pinocchio, L’arte del bambino di Mario Lodi), integrate dall’esposizione di libri per ragazzi e con laboratori di creatività, tenuti da illustratori (tra i quali anche Altan) o in biblioteca o nelle scuole non solo di Tolmezzo. E’ stata questa per me l’esperienza più gratificante, perché i bambini aggregano genitori e insegnanti, i principali artefici della loro formazione:. A questo proposito vorrei fare un’altra considerazione: stimolate da tali iniziative, cui parteciparono direttamente, le librerie locali aprirono tutte una sezione di libri per ragazzi; con questo vorrei sottolineare che il ‘pubblico’ può favorire l’iniziativa privata e che in campo culturale si dovrebbe instaurare tra i due una reciproca equilibrata sinergia.
    Il fatto che i prestiti siano passati dai 5252 del 1987 ai 12174 del 1999 e che le consultazioni in sede abbiano superato le 3500 presenze annue, pur accettando un parziale incremento fisiologico, significa che le scelte operate hanno raggiunto l’obiettivo d’ampliare l’utenza e di fare della Biblioteca un punto di riferimento culturale fondamentale per la comunità, e tale mi auguro rimanga. Per me è stata un’esperienza profonda e significativa, che ha connotato felicemente il periodo della maturità della mia vita.

I commenti sono chiusi.