Udine: che tempo fà? Tempo di salvare l’Università


Una delle certezze che abbiamo nella vita è che le previsioni del tempo non siano discutibili, come la matematica; puoi sbagliare il risultato dell’equazione, ma non è possibile che ci siano risultati diversi e tutti plausibili contemporaneamente. Ma in momenti di crisi, anche questo paradigma vacilla e alla domanda “che tempo farà” la risposta sempre più spesso è “dipende”. Se ci chiediamo quali saranno le previsioni metereologiche per le aziende e il loro fatturato, qualcuno prevede burrasca, altri bonaccia e per qualcuno basta non fare previsioni. Se le anticipazioni del tempo riguardano le banche ed il sistema creditizio, allora si prevede tempo secco e molto asciutto, ma l’acqua per abbeverare le piccole e medie imprese è tutta contenuta nei forzieri degli Istituti di credito. Se invece dobbiamo prevedere che tempo farà sopra le nostre università, in questo caso la risposta è che le previsioni sono impossibili perché gli strumenti per fare le misurazioni semplicemente non ci sono. Se il governo non procederà al varo dei provvedimenti di riforma e simultaneamente al rifinanziamento del sistema entro breve tempo, il sistema universitario sarà paralizzato. E in un periodo come questo in cui alcuni ministri su materie come economia, educazione e gestione delle risorse umane, fanno dichiarazioni che non gli permetterebbero di superare alcun esame universitario, di bloccare gli atenei è un lusso che non ci possiamo permettere. E il tempo previsto per chi andrà in vacanza? Bello direi, visto che se le può permettere.

Una risposta a “Udine: che tempo fà? Tempo di salvare l’Università”

  1. Aggiornamento del 3 luglio 2009

    La Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittime le norme sui “tagli” alla scuola che il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha previsto a partire dal 2009-2010. I giudici della Consulta hanno di fatto salvato, ritenendolo di competenza esclusiva statale, l’impianto complessivo degli interventi contenuti nel decreto sullo sviluppo economico di cui, però, sono stati bocciati due punti.

    Si tratta della definizione tramite regolamento ministeriale di criteri, tempi e modalità per ridimensionare la rete scolastica; e dell’attribuzione anche allo Stato (e non soltanto alle Regioni) delle misure necessarie a ridurre i disagi causati dalla chiusura o accorpamento di scuole nei piccoli comuni.

    È stato «conservato l’impianto del riordino del sistema scolastico» e «i punti giudicati incostituzionali sono marginali», ha commentato il ministro dell’Istruzione. «Prendo atto con soddisfazione delle decisioni assunte dalla Corte costituzionale – ha detto la Gelmini – posto che è stata riconosciuta la legittimità costituzionale dell’impianto complessivo dell’articolo 64 del decreto legge 112».

    «La sentenza – ha, invece, affermato la deputata del Pd Manuela Ghizzoni – dichiara l’illegittimità costituzionale del famigerato articolo 64 della manovra estiva dello scorso anno. La Gelmini e tutto il governo davanti alle proteste e ai rilievi dell’opposizione e del mondo della scuola non si sono mai fermati. Ora questa tracotanza trova una netta battuta d’arresto».

    In realtà, con la sentenza numero 200, scritta dal giudice Quaranta, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 64, comma 4, lettera F bis e F ter, del decreto sullo sviluppo economico, convertito in legge con modifiche nell’agosto 2008.

    Per la Corte, infatti, solo in questi due punti – mentre tutte le altre contestazioni mosse da otto Regioni sono state dichiarate inammissibili, infondate o superate da nuove norme – è stato violato l’articolo 117 della Costituzione sulla potestà legislativa dello Stato e delle Regioni sulla base delle modifiche apportate dalla riforma del titolo V della Costituzione nel 2001.

    Le motivazioni della lunga sentenza (38 pagine) fissano per la prima volta importanti paletti nel riparto delle competenze tra Stato e Regioni in fatto di istruzione. «Il sistema generale dell’istruzione, per sua stessa natura, riveste carattere nazionale – scrive la Consulta -, non essendo ipotizzabile che esso si fondi su una autonoma iniziativa legislativa delle Regioni, limitata solo dall’osservanza dei principi fondamentali fissati dallo Stato, con inevitabili differenziazioni che in nessun caso potrebbero essere giustificabili sul piano della stessa logica. Si tratta, dunque, di conciliare, da un lato, basilari esigenze di «uniformità» di disciplina della materia su tutto il territorio nazionale, e – viene aggiunto -, dall’altro, esigenze autonomistiche che, sul piano locale-territoriale, possono trovare soddisfazione mediante l’esercizio di scelte programmatiche e gestionali rilevanti soltanto nell’ambito del territorio di ciascuna Regione».

    «Leggeremo nel dettaglio la pronuncia della Corte costituzionale – ha detto Vasco Errani, presidente della Conferenza delle Regioni -, ma sembrano confermati gli interrogativi e i problemi che le Regioni avevano sollevato in relazione al dimensionamento della rete scolastica».

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