Udine: i tre terremoti di gennaio 2012 al Nord, non sono collegati con il Friuli

 

Al Crs (Centro ricerche sismologiche) di Udine, che fa parte dell’Istituto nazionale di Oceanografia e geofisica sperimentale, lavorano una ventina tra ricercatori (nella foto Gianni Bressan, da 20 anni “sentinella” dei terremoti friulani) e tecnici, coordinati da un direttore, Paolo Comelli. Il centro, nato nel 1977, con una legge istitutiva nazionale, nell’ambito dei progetti per la ricostruzione del Friuli dopo il 6 maggio ’76, rileva in media, ogni giorno, almeno una scossa sismica sul nostro territorio. «L’attività è continua – dicono al Crs -, si sono scosse anche di magnitudo 0,5 che vengono captate solo dagli strumenti». Ma la ricerca, oltrechè scientifica, è anche storica. Alcuni studiosi stanno infatti cercando di “calibrare” con precisione l’intensità dei terremoti che hanno devastato il Friuli, primo fra tutti quello del 1348. di Maurizio Cescon I terremoti di Verona, di Parma e dell’Appennino tra Liguria, Emilia e Toscana che negli ultimi giorni hanno seminato paura nel Nord Italia non hanno energia sufficiente per innescare attività sismica in Friuli. Lo sostengono i ricercatori e tecnici del Centro di ricerche sismologiche (Crs) di Udine. Ed è una notizia rassicurante, per i friulani, abituati a convivere con l’Orcolat, dopo quel 6 maggio 1976, scolpito nella memoria collettiva. Lì nelle poche stanzette della sede del Crs, in via Treviso, la strumentazione ha registrato tutte le scosse e i computer hanno elaborato sofisticati modelli statistici. Qualcuno, più sensibile degli altri, anche dalle nostre parti ha avvertito l’ultimo terremoto, venerdì pomeriggio, e alcune telefonate, per avere informazioni, sono arrivate alla sede della Protezione civile. Ma appunto per quanto riguarda il Friuli, gli esperti sono categorici. «Per quello che abbiamo osservato – spiega Gianni Bressan, da oltre 20 anni studioso di terremoti -, la sismicità friulana non può essere collegata con gli eventi dei monti Lessini (in provincia di Verona), con Parma e con la zona del Frignano, sull’Appennino. Tutti questi terremoti non hanno liberato energia sufficiente per innescare fenomeni anche da noi. A Verona abbiamo registrato un terremoto di magnitudo 4,4, a Parma di magnitudo 5,1 e nel Frignano di 5,4. Certo sono eventi piuttosto “forti”, ma non in grado di provocare danni, se le case sono costruite in un certo modo. Per quanto riguarda quelle zone, saranno decisivi i prossimi due, tre giorni, per capire se si tratta di episodi isolati o se ci sarannno altre scosse. Nell’Appennino tra Emilia, Toscana e Liguria, storicamente le punte massime di terremoto raggiungono la magnitudo di 5,4, 5,5, quindi abbiamo già raggiunto i livelli più alti. Potrebbe esserci ancora attività, comparabile con quella degli eventi principali. Ma non si dovrebbe andare oltre». Intanto il Friuli, zona ad alto rischio, così come comprovato da tutte le ricerche a livello nazionale e internazionale, vive un periodo, ormai piuttosto lungo, di attività definita «blanda». «La nostra sismicità – continua Bressan – è caratterizzata da lunghi intervalli di quiescenza. Basti pensare che in tutto il 2011 la scossa più intensa, si fa per dire, ha avuto una magnitudo di 2,8 gradi sulla scala Richter, ed è stata segnalata il 4 luglio scorso nella zona di Villa Santina. Il 16 gennaio 2012, con epicentro Paluzza, abbiamo registrato un altro terremotino di magnitudo 2,8. Ma per avere un sisma di 3,7 gradi Richter dobbiamo risalire fino al 2007, quando il fenomeno si manifestò a Trasaghis. L’evento più intenso degli anni Duemila è quello del monte Sernio, giusto 10 anni fa, con magnitudo 4,9. E per rintracciare un sisma con magnitudo superiore a 5 si deve tornare al giorno di Pasqua del 1998, ma lì l’epicentro fu a Bovec, in Slovenia. Tirate le somme, possiamo affermare che l’attività sismica è blanda, in tutta la zona alpina e prealpina». In ogni caso la guardia, al Crs di via Treviso, è sempre ben alta e i tentativi di “controllare” ogni minimo indizio sulle modifiche e gli spostamenti della crosta terrestre, anche grazie alla rete di 14 stazioni Gps, è costante. «Il nostro territorio – conclude il ricercatore – ha una sismicità complessa e particolare, molto più complicata, per esempio, di quella che si può osservare per la famosa faglia di Sant’Andrea, in California. Qua può arrivare la “botta”, un fenomeno di forte intensità, senza alcun preavviso, anche minimo. Purtroppo come è accaduto il 6 maggio 1976».