Friuli: le tradizioni e le ricette di Natale

di CRISTINA BURCHERI
«Nella notte di Natale, se una ragazza a mezzanotte si guarderà nello specchio coi capelli sciolti, vi vedrà l’effigie di colui che è destinato per sposo». Nel Friuli di una volta erano numerose le tradizione legate alle feste di Natale e assieme alle tradizioni le credenze, anche magiche come questa riportata a fine Ottocento  da Valentino Ostermann ne “La vita in Friuli”. Ostermann osserva che «i giorni prima di Natale si fanno gli auguri per le Buone Feste, si visitano gli amici; e coloro che sono lontani dal proprio paese, procurano di ritornarvi per passare qualche giorno in famiglia». Riunita la famiglia, come pubblicato nel 1888 dall’Ostermann in “Pagine Friulane”: «la vigilia di Natale si mette sul fuoco il ceppo, detto Zòc o Nadàlin. Questo ceppo è simbolo stesso del Natale, tant’è che lo si portava a casa in forma solenne, un rito accompagnato dall’allegria dei fanciulli che reggevano lumi accesi». «In qualche sito – specifica lo studioso – il padrone lo benedice con l’acqua santa».<br />
Seguendo la tesi dell’autore «il ceppo si collega alla credenza che la vigilia di Natale bisogna mettere molta legna per far brace, perché San Giuseppe viene a prendere il fuoco per scaldare il Bambino». Il rituale prosegue: «durante la notte si ha cura di coprirlo ben bene con la cenere, essendovi la credenza che se l’indomani fosse spento, morrebbe a breve il padrone di casa. Si cena presso il fuoco – continua la descrizione Ostermann – mangiando i dolci tradizionali colàz, mostazzòns, mandolât e bevendo vin cotto, ovvero vin brûlé. Alcune famiglie usano gettare nel fuoco gocce di vino e qualche pezzo dei dolci che si mangiano, altri versano il vino sul ceppo».
Terminate le feste le schegge e i carboni “del zòc” erano conservati con cura e utilizzati per accendere il fuoco quando minacciava mal tempo, o in segno scaramantico-augurale quando si dischiudevano i bachi. Assieme alla schegge del ceppo natalizio si bruciavano anche le foglie dell’ulivo benedetto e alcuni rami di ginepro ritenendo questa pratica un potente talismano contro le malìe delle streghe e, generalmente, contro il malocchio. Domenico Isabella, che studia la cultura alimentare saurana, nel volume “Mitertokh, proat in sokh…”, realizzato dal Centro etnografico Zahre con il Comune di Sauris (stampato da Forum nel 2005), introduce così il menù delle feste: «Alla vigilia di Natale era d’obbligo mangiare di magro; il piatto forte era il bakalà. Il giorno della festa si faceva colazione con kafé e latte; a pranzo si mangiava la pastasciutta condita con lo spek e ricotta, oppure minestra in brodo di manzo (ma solo dopo il secondo evento bellico) o in brodo di pecora; il secondo piatto era normalmente costituito da spezzatino di pecora con polenta e crauti; per terminare il pasto e far felici i bambini compariva sulla tavola della frutta (mele, arance, noci, castagne) procurata barattando cappucci con gli abitanti delle vallate vicine. A cena, per compensare il pasto di mezzogiorno, si consumava un pasta a base di patate e ricotta fermentata».

2 Risposte a “Friuli: le tradizioni e le ricette di Natale”

  1. Molto bello ricordare queste tradizioni. Oggi l´abbiamo trscritto nelle pagine delle Nostre Notizie, un notiziario con diffusione nell´ambito del Uruguay.
    Tanti auguri e Buone Feste!!
    Mandi

    1. Mario auguri anche a voi. Cercatemi su Facebook che ci scambiamo l’amicizia 🙂
      Mandi
      Aldo Rossi

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