di Igino Piutti, Tolmezzo.
Al paese di Pusea, ci si arriva anche da Verzegnis dalla strada che attraversa il lago omonimo. Ci si arriva in macchina, e c’è anche il parcheggio. Ma chi ama il fascino della scoperta deve salire da Cavazzo Carnico. Lasciata la macchina al parcheggio del ristorante al Pescatore, si prende la carrareccia segnalata come Cammino delle Pievi. La strada di accesso al paese infatti è anche un tratto della tappa, tra le Pievi di Cesclans e di Verzegnis, dell’ormai famoso cammino turistico devozionale. La comoda carrareccia ampia e ben tenuta, con i tratti in pendenza sistemati a calcestruzzo, consente di avanzare in gruppo, commentando meravigliati le forre e i dirupi strapiombanti del rio Faeit. Non è difficile immaginare ci fosse un lago, nella notte dei tempi, nell’invaso al cui fondo abbiamo lasciato la macchina. La strada è stata risistemata per le esigenze militari della Prima guerra mondiale, ma la sua costruzione risale senza dubbio almeno all’epoca della conquista romana. Forse più antica, opera dei Celti, che preferivano le montagne ai fondovalle. Manca da tempo un ponte di legno crollato, chissà che non ci pensi Trieste, ora che i Carni non ci sono più!Salendo si discute e si immagina, procedendo in una galleria di verde. Alle spalle l’Amarianna che emerge con la vetta soltanto, bella nel biancore della roccia in contrasto con il verde del rilievo del monte Alz che la copre. Davanti, incombenti il Piçiàt e il Bottai e lo scrosciare dell’acqua del rio Faeit. Il paese emerge dal bosco all’improvviso dopo un tratto in leggera discesa. Una decina di case, in una conca di verde. Non puoi non pensare a un nido d’uccello sospeso tra una montagna e l’altra. 66 abitanti dice la storia fino all’ultima guerra, quando vivere era poco più che sopravvivere, e, per riuscirci, ogni filo d’erba era utile per mantenere in stalla una mucca in più, per far pascolare una capra di più. Nel dopoguerra quando si è capito che emigrando nel resto d’Europa, ci si poteva immaginare una vita meno ingrata di quella a cui costringeva la povertà della montagna, il paese si è in breve dissolto. Come tanti altri in Carnia. Sono rimaste le case. In gran parte ricostruite dopo il terremoto del 1928, dimostrazione evidente delle tecniche antisismiche del tempo. Risistemate dopo il terremoto del 1976. Per chi?A dare la riposta l’abbaiare dei due cani dell’unica abitante. E la voce cordiale di un udinese che da 47 anni vive quassù. “Non stabilmente, solo i fine settimana e durante le ferie!”. Scherzi chiedendogli se c’è l’osteria e ti risponde con la generosa ospitalità dei friulani. Imprecando alla burocrazia, ma offrendoti il suo vino, facendoti sedere al suo tavolo. Spiegandoti la sua scelta! Di primo acchito incomprensibile ma che comprendi bene se ti lasci ammaliare dal respiro della piccola valle, dal silenzio velato dal magico frusciare lontano d’una cascata, contrappuntato dal tubare del cucùlo. È questa la Carnia di domani? Quella di qualche nostalgico e di qualche cittadino in cerca di tranquillità? Perché no? Se tra i nostalgici e gli amanti della tranquillità si torna ai 66 d’un tempo. Ma per riuscirci all’udinese che vorrebbe aprire un punto di ristoro, per offrire ad altri un bicchiere e magari anche un letto, gli dovresti fare un monumento non avvilupparlo in mille pastoie burocratiche, che spengono sul nascere ogni buona intenzione.Basterebbe un articolo di legge che esonera da ogni imposta e tasse le attività produttive di qualsiasi tipo insediate in centri abitati con meno di 500 abitanti, oltre i 500 metri di quota. Esonero esteso all’acquisto e alla ristrutturazione delle case, prima che si riducano in macerie. Provvedimento senza costi ma di grandi risultati!Per il futuro forse Pusea può solo suggerire speranze di buonsenso! Per il suo passato però il paese è già un monumento all’ingegnosità carnica. Mancano tante cose quassù, ma non l’acqua. Per questo è stato il primo paese in Carnia ad avere la luce elettrica nelle case. Nel 1902 tal Giuàn di Tònia s’è fatta la centralina idroelettrica. Di notte la corrente illuminava la case. Di giorno l’energia della turbina veniva utilizzata per azionare un mulino, una sega veneziana, una pialla, un tornio e una mola. Si vedono ancora i resti degli impianti, e fa specie che a nessuno sia venuta l’idea di recuperarli, per farne un piccolo museo. Sarebbe stato un richiamo in più, per non lasciar morire il paese. Recuperare il passato per immaginare il futuro. Non soltanto come romantica nostalgia, ma come monito e stimolo. Anche in questo Pusea è d’esempio. Accanto ai ruderi del passato come uno squarcio sul futuro colpisce la presenza di due lampioni pubblici a led, alimentati dal sovrastante pannello solare. Un prodotto frutto dell’ingegnosità carnica di oggi. Pusea, una meta per una bella passeggiata, ma anche un luogo per riflettere sul futuro della Carnia.
Riflessione interessante. Se volessi approfondire l’argomento?
La strada di Pusea a Cjavàç a ere stade comedade pulît tal 2004, da comunitât di mont cjargnele.Magari cussì no, no vevin i bêz par fâ il puint. Ma par l’ûs agricul, forestâl, turistic o pe protezion civîl, al bastares fâ un vât(Guado par talian). In tune setemane une pacare a fâs la vore. Simpri che i comuns di Verzegnis e Cjavàç a vulin fâlu.