Tarvisio: Weissenfels tra gloria e declino, le acciaierie a un passo dalla chiusura,

di Giancarlo Martina.

Cosa sta succedendo a Fusine? Si sta apponendo il cartello di fine attività all’ingresso delle Acciaierie Weissenfels cancellando la secolare storia dello stabilimento? Possibile che dieci anni di alternarsi di proprietà e di crisi gestionali possano portare alle peggiori delle ipotesi? Chi ha potere decisionale non può tralasciare nulla, specie per la rilevanza delle ripercussioni sul piano socio-economico che il verificarsi di una simile ipotesi comporterebbe: la perdita di un’entità industriale della valenza delle Weissenfels che fino alla fine del secolo scorso ha avuto un posto di preminenza nell’elite mondiale della produzione di catene d’acciaio per i più disparati usi. Si parla non solo di posti di lavoro che potrebbero scomparire, ma anche d’alta professionalità che svanirebbe nel nulla. Professionalità create nel tempo e che hanno accompagnato la crescita tecnologica della particolare produzione di catene dell’industria manifatturiera sviluppata con successo dalla famiglia Segre-Melzi a partire dagli anni Venti del secolo scorso. Radici lontane. Ma le Acciaierie Weissenfels hanno radici lontane. Infatti, sono datati 1540 i primi documenti sull’esistenza di una vecchia fucina con maglio ad acqua di proprietà dei Conti Cilli. E sa un po’ di leggenda la versione secondo cui, nel 1685, un minatore immigrato dalla Germania e condannato a morte perché rivoltoso, manda la moglie dal barone Schmiedhofen-Kovacic che abitava nel castello con il compito di barattare la sua vita e quella dei suoi compagni con le ricchezze presenti nel sottosuolo di Fusine. Così, mostrata la presenza del minerale di ferro, viene incaricato dello sfruttamento lo stesso minatore e per ottenere il metallo viene costruito un forno abbinato a un maglio per la lavorazione nei pressi della confluenza del rio Solitario con il rio del Lago. In seguito, vengono costruiti altri due magli. Attrezzi per boscaioli. A Fusine si costruiscono attrezzi per i contadini e per i boscaioli, mannaie, zappini, ma anche serrature e altra attrezzatura. Ed è un’industria che presto diviene punto di riferimento per le genti della Valcanale, ma anche per gli abitanti della vicina valle della Sava, forgiando prodotti di qualità e dando lavoro a molti. Nel 1709, muore il barone Schmiedhofen–Kovacic che lascia gli impianti all’imperatore Giuseppe I. Nel 1716 la famiglia dei baroni von Rechbach costruisce in località Stukl il castello (andato bruciato sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso) e attorno costruisce gli edifici per ospitare le fucine e gli alloggiamenti degli operai. Arriva anche il periodo napoleonico e il paese di Weissenfels viene aggregato a Tarvisio e quindi al dipartimento di Passariano. Ecco le catene. Dopo un periodo di declino, la ripresa verso la fine del 1800. Alle fucine viene abbinata una fonderia di acciaio per la fabbricazione di lime e poi avanza la produzione di catene con le maglie saldate. E in quel periodo cominciano a farsi conoscere le catene made in Weissenfels. Anno significativo il 1894: viene attivata la prima centrale idroelettrica dalla potenza di 40 kVa che consentirà l’impiego di macchine semiautomatiche brevettate Weissenfels su licenza americana. Nel 1897 la ditta Coeppinger e Co si trasforma in società per azioni “Acciaierie Weissenfels” e dà inizio alla costruzione delle catene con il sistema della saldatura elettrica su saldatrici semiautomatiche, ma le grandi catene per navi continuano a essere saldate a fusione a mano da maestri delle forgia. L’elogio dell’imperatore. La fama delle catene Weissenfels cresce e si diffonde nel mondo. Nel 1907 (nel periodo d’inizio secolo occupavano dai 300 ai 600 lavoratori) viene attivata una centrale idroelettrica dalla potenza di 700 kVA. E nel 1908 una pubblicazione per i 60 anni di regno dell’imperatore Francesco Giuseppe affermava che in Weissenfels si lavorava con le macchine più moderne e si producevano 1.750.000 kg di catene l’anno con un esborso di più di 200.000 corone per gli stipendi di 300 dipendenti. Poi, durante il primo conflitto mondiale, l’esercito austroungarico fece costruire catene per navi, cassette per munizioni e stufe tonde per trincee e fortini. Arrivano gli italiani. Il 9 novembre del 1919 arrivarono le truppe italiane. E con l’annessione all’Italia Weissenfels divenne Fusine e proprietario dell’acciaieria divenne, nel 1923, una società italiana guidata da Guido Segre, noto imprenditore triestino dalle origini piemontesi che ebbe grandi meriti nella crescita dell’industria italiana nel periodo fra le due guerre. L’epoca di Guido Segre. Con Guido Segre (a Fusine lo ricorda il campo sportivo a lui intitolato) la Weissenfels si fa ulteriormente conoscere nei cinque continenti, il suo marchio è un mito legato anche alle catene delle ancore del leggendario transatlantico Rex e alle catene della paratoie dello stretto dei Dardanelli e a quelle utilizzante nelle strade di New York. Purtroppo, l’industriale, dalle origini ebree e per questo soggetto a persecuzione razziale, anche se lui si sentiva profondamente italiano (si salvò in Vaticano), il 12 aprile del 1945, dopo essere stato reintegrato con il grado di alto ufficiale nell’Esercito (era stato tenente colonnello del Genio, combattente sul Carso e decorato di medaglia d’argento), si spense a Roma anche in conseguenza alle sofferenze morali. Il testimone a Carlo Melzi. Ma l’azienda continuò a essere condotta con lungimiranza imprenditoriale dalla moglie Ella Melzi Segre che, da capitana dell’industria italiana, superò la crisi del secondo dopoguerra e con il figlio Carlo, cui passò poi il testimone, programmò l’ampliamento dello stabilimento e le innovazioni tecnologiche che dagli anni Sessanta diedero significativo impulso alla produzione delle catene. Allora la Weissenfels occupava 400 operai e aveva una potenzialità sui 550 mila chilogrammi di produzione mensile, circa l’80% della produzione nazionale di catene. In quegli anni fu dato notevole impulso anche alle opere sociali e fu costruito il campo sportivo di Fusine. Collaboratrice attiva fu anche Etta Carignani Melzi, la sorella di Carlo, il quale assunse la direzione delle Acciaierie nel 1967.