Carnia: Domenico Molfetta, una vita sulle orme di tradizioni, erbe presepi e cramàrs

di MARIO BLASONI

Sutrio è il paese dei mobilieri, dei presepi, che ogni anno animano il borgo, e… di Domenico Molfetta. Papà di Bari (città dove anche lui è nato, nel 1936), mamma di Cercivento, Domenico ha vissuto in Carnia fin da quando era in fasce e della Carnia è diventato un personaggio: studioso e ricercatore – con due grandi maestri, Michele Gortani e Luigi Ciceri – operatore culturale e amministratore pubblico. Affiancandosi così a un altro benemerito della montagna, Marco Marra, l’artista di Arta con il quale ha collaborato a Italia Nostra, dopo aver condiviso i banchi dell’Istituto magistrale di Tolmezzo, dove si è diplomato nel 1955. Molfetta può considerarsi uno degli artefici del Museo delle arti e tradizioni popolari di Tolmezzo, grazie alla sua collaborazione col fondatore, il senatore Gortani. Con lui ha girato la Carnia per cercare reperti per il Museo del quale, dopo la morte di Gortani, è stato presidente-direttore dal 1988 al 1996. In collegamento con il dottor Ciceri, ha retto la vicepresidenza della Filologica in Carnia per un quinquennio e, fin dai tempi della presidenza del medievalista Carlo Guido Mor, è socio corrispondente della Deputazione di storia patria. E’ stato anche assessore alla cultura della Comunità carnica e per 15 anni consigliere e vicesindaco di Sutrio. Ha insegnato per un quarantennio nelle scuole elementari e professionali tra Cercivento, Paluzza, Ligosullo e, infine, Sutrio. Queste, in sintesi, le esperienze più importanti di Domenico Molfetta, un uomo che ha fatto anche altri mestieri, sulle orme del padre Cosimo, arrivato in Carnia da Bari come militare (ma poi muratore e minatore a Cave) e sposatosi nel 1930 con Angelina De Conti di Cercivento. Diplomatosi maestro, Domenico a 20 anni ha lavorato come carpentiere nel Trentino e in Alto Adige, poi ha fatto il Car ad Avellino, nel sesto reggimento cavalleria Lancieri d’Aosta. Dopo il congedo è stato assunto in una ditta edile, che faceva anche lavori stradali in tutto l’Alto But, mentre la sera insegnava alla scuola reggimentale di Paluzza. «Per gli spostamenti usavo molto la bici – commenta ricordando quegli anni – perché non ho mai avuto un’auto!». Sembra incredibile, ma è così. Mai guidato, ma «mi sono sempre arrangiato – spiega – come capitava: non ho mai trovato il tempo di prendere la patente!». L’etnologo Molfetta è anche esperto dell’erboristeria carnica, alla quale ha dedicato alcuni libri. Ricordiamo quello su Il mac di San Zuan, sulla raccolta propiziatoria che si fa il giorno di San Giovanni di “piante e fiori tra magia, sacralità e terapia popolare”. Il “mestri” Meni fa lezioni di erboristeria all’Ute di Tolmezzo, della quale è stato uno dei fondatori, e in quella di Paluzza. Tra i suoi lavori sulle tradizioni da citare anche Atorn dal Fogolar, vademecum tutto-Sutrio (storie, leggende, proverbi, modi di dire, preghiere, filastrocche, canti, giochi, indovinelli…). Ed è anche uno studioso dei cramàrs, gli emigranti del commercio spicciolo che giravano con le merci più diverse caricate sulle spalle (stoffe, vestiti e scarpe, ma anche spezie) di cui si rifornivano alle fiere o dai grossisti. Sull’argomento, Molfetta ha scritto molto e anche un libro assieme al professor Furio Bianco. Adesso sta completando una ricerca sui cramàrs di Sutrio, una decina di famiglie di mercanti che operarono tra il 1600 e il 1800, e con i discendenti di alcune ha preso appositamente contatto. Fra le sue opere va ricordato un volume sulla Torre Moscarda di Paluzza, che venne presentato dal professor Mor, il terzo dei suoi indimenticabili maestri. Gli altri due li abbiamo già citati: Gortani («Poco prima di morire, nel gennaio 1966, mi donò il suo catalogo sull’arte popolare in Carnia con una dedica molto affettuosa») e Ciceri («Quando è mancato, nell’estate dell’81, gli ho fatto io l’elogio funebre nel duomo di Tricesimo»). Nella poliedrica e intensa attività di Domenico Molfetta, non va dimenticato il suo contributo alla Sutrio dei presepi, in primis quello, storico e monumentale, detto “di Teno”, che è una specie di museo permanente. E’ “la vita di Sutrio scolpita nel legno”, come recita il sottotitolo di un bel libretto illustrativo curato dallo stesso Molfetta (artista intagliatore anche lui: realizza xilografie e ha fatto pure cassapanche!). Straordinario personaggio questo Teno, al secolo Gaudenzio Straulino (1905-1988). Nel suo meraviglioso presepe, da lui realizzato in oltre trent’anni di intenso lavoro, sono raffigurati gli stavoli, le abitazioni, la malga, i mezzi di trasporto, gli opifici idraulici, le botteghe artigianali, l’osteria con i suonatori, i coscritti sul carro infiocchettato, le donne che filano e tessono. Tutto in miniatura, molto preciso nei particolari, tutto perfettamente funzionante (telai, mulini, segherie, pilaorzo e altri meccanismi). Teno era talmente affezionato al suo presepio, che vi si dedicò fino all’ultimo giorno. Sentendosi prossimo alla fine, volle che la sua salma, prima dei funerali, fosse esposta al centro del presepio. Domenico Molfetta ha abitato a Cercivento fino al 1960, quando ha messo su famiglia e si è trasferito a Sutrio. Dal matrimonio con Lia Selenati, purtroppo mancata lo scorso novembre, ha avuto quattro figli: Manuela, insegnante; Pietro (dottore in agraria, lavora a Trento); Federica (titolare di una piccola azienda agricola di prodotti biologici) e Raffaella (impiegata a Monaco in un sindacato che cura gli interessi degli italiani in Baviera). Una bella famiglia, insomma. Considerato che Domenico ha anche sei nipoti (“sono nonno da 22 anni”). Nonostante abbia superato i settanta, Meni Molfetta è ancora oggi molto attivo: dà una mano nell’azienda di famiglia, dall’accattivante nome di La frambule (il lampone); continua le ricerche sui cramàrs di Sutrio (in collegamento anche con studiosi bavaresi); tiene i corsi all’Ute sulle piante officinali e mangerecce (il suo libro sulla medicina popolare ha avuto cinque edizioni). Ha contatti e scambi d’esperienze con il già citato artista Marco Marra e con Mauro Loewenthal, “l’uomo delle erbe e dei funghi” dell’Oasi di Piano d’Arta. Ed è molto richiesto per varie iniziative non solo locali. Come fa a reggere tale ritmo? «Dormo molto poco, due o tre ore per notte – spiega – e questo dura… da tutta la vita!».

Una risposta a “Carnia: Domenico Molfetta, una vita sulle orme di tradizioni, erbe presepi e cramàrs”

  1. Egr. sig. Molfetta, sono il nipote di Gjso Fior che indegnamente ha tradotto il quinto canto dell’Inferno in ladino-carnico. Oggi mi ha telefonato la sig.ra Lina di Zovello informandomi che la poesia che Gjso ha dedicato a Zovello verrà musicata dal prof. Canciani. Per me è una bella notizia sapere che Gjso è ancora seguito con amore nelle nostre terre. Mi auguro di poterla incontrare in Carnia. Voglia gradire i miei migliori saluti. Fior Anselmo

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