Fa dal ben e jessi licenziats

Quanto costano da Mc Donald’s un piatto di patatine fritte e un bicchiere di Coca-Cola? Intorno ai 4 euro, centesimo più centesimo meno. Dipende dalle dimensioni della bibita. A Debora, cassiera part-time cinquantenne, divorziata e con figlio a carico, sono costati il licenziamento in tronco. E un calvario durato un anno e mezzo per trovare un altro posto di lavoro. La donna – il nome è di fantasia – è stata cacciata dal fast-food della catena americana all’ombra dei portici di piazza Castello, nel salotto buono di Torino, per aver regalato una confezione di «chips» e una Coca a un ragazzino extracomunitario che elemosinava davanti alla vetrina.

«Non ha battuto il regolare scontrino fiscale – è stata l’obiezione della società che all’epoca dei fatti gestiva in franchising il punto vendita torinese -, ha compiuto un’irregolarità grave e ha messo seriamente a rischio il nostro contratto di licenziatari del marchio multinazionale». L’incredibile controversia è approdata ieri in Tribunale, davanti a un giudice del lavoro. Ma dopo una sola udienza e una rapida camera di consiglio il magistrato incaricato di esaminare la causa, Vincenzo Ciocchetti, ha respinto il ricorso di Debora senza ammettere nessun testimone. «Aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza, per valutare meglio le conclusioni del giudice – spiega incredulo l’avvocato di Debora, Francesco Ferolla – ma ritengo fin d’ora che esistano ampi margini per ricorrere in appello. E lì sarà un collegio di tre i giudici a dover prendere una decisione».<br />

Il gesto di generosità costato a Debora il posto di lavoro risale al 2001, quando il Mc Donald’s di piazza Castello – il primo aperto a Torino dalla catena diffusa a ogni latitudine – apparteneva alla Sesam Srl. Ora il ristorante è gestito direttamente da Mc Donald’s Italia, mentre la società torinese ha avviato in franchising altri quattro fast-food in città e provincia. Debora vi lavorava con un contratto part-time, 600 euro al mese. «Patatine e Coca-Cola facevano parte del mio pranzo – si è difesa la donna nel memoriale affidato all’avvocato Ferolla – che consumavo all’interno del ristorante, come tutti gli altri dipendenti. Quel giorno non mi sentivo molto bene, allora ho deciso di regalare il mio cibo a un bambino che vendeva accendini e spugnette lì sotto i portici. Mi sono affacciata dalla porta e l’ho chiamato». Il direttore del ristorante, da poche settimane alla guida del fast-food di piazza Castello, non ha gradito. Due giorni dopo Debora ha ricevuto una lettera di contestazione, in cui veniva accusata di aver regalato prodotti dell’azienda senza rilasciare lo scontrino fiscale. «Debora ha chiesto scusa, ha tentato di spiegare che non pensava di far nulla di male – aggiunge l’avvocato Ferolla – ma qualche giorno più tardi è stata licenziata per giusta causa, senza che le venisse pagato neppure il mancato preavviso». La donna, disperata, per un anno e mezzo ha inutilmente cercato un altro lavoro. Poi è riuscita a ottenere dallo Stato il gratuito patrocinio e ha potuto far causa al giudice del lavoro. Ha rifiutato un’offerta di transazione di 2 mila euro e ha preferito far valere i suoi diritti in Tribunale. Vanamente, per ora.

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