Friuli: cosí la Chiesa censurò gli scritti di Paschini per riabilitare Galilei

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di PAOLO MEDEOSSI

Esiste un ritratto inedito di Galileo Galilei visto nel privato. Inedito, simpatico e anche eccezionale, perché scritto in friulano. Eccone un passo: «Ai plaseve la taciute, ma bisugnave cal foss di chel bon. I amis fasevin di dut par contentalu, l’arcivescul di Siene l’ere un dai soi proveditors quan c’al ere vecio. E si po suponi cal tiràs su qualchi pipinute…». Sembra un brano tratto da “Avanti cul brun!” del mitico Titute Lalele e invece sono parole ricavate da un carteggio tra due colti sacerdoti friulani e dedicate a una vicenda clamorosa, poco nota fuori della cerchia formata da specialisti e studiosi. Si tratta di un caso di censura di cui fu protagonista per l’ennesima volta il grande Galileo, finito ancora nel mirino del Vaticano che, negli anni Quaranta, pur in tempi difficili segnati dalla guerra, aveva deciso di riabilitare lo scienziato pisano dalle accuse di eresia mossegli tre secoli prima. Per farlo affidò a monsignor Pio Paschini, lo storico di Tolmezzo che a Roma era rettore della Pontificia Università Lateranense, il compito di scrivere un libro, ma le cose ebbero sviluppi imprevedibili e amari per il sacerdote carnico che svelò i suoi sentimenti solamente nelle lettere spedite a un amico, monsignor Giuseppe Vale, bibliotecario all’Arcivescovile di Udine, al quale appunto, in italiano e in marilenghe, narrava anche aspetti poco esplorati nella personalità di Galileo. Ma vediamo come il professor Gianfranco D’Aronco, nel volume “Pagine friulane” edito dall’istituto Tellini, narra la vicenda: «Non vi fosse l’epistolario fra Paschini e Vale, e non ci fosse il manoscritto originale della “Vita di Galileo” (depositato nel seminario friulano) ben poco si saprebbe della triste storia legata all’opera del Paschini stesso, pronta per le stampe nel 1944, ma pubblicata solo nel 1964, quando l’autore era ormai morto da due anni. Il libro gli era stato commissionato dall’Accademia pontificia e il Paschini con molta ritrosia aveva accettato l’incarico. Era uno studioso stimatissimo, e la ricerca storica pane per i suoi denti. Da buon friulano aveva comunque preso alla lettera l’invito, che era quello di ristabilire la verità, per ammettere che, nei riguardi di Galileo, la Chiesa aveva sbagliato. Cosí aveva raccolto un mare di documenti, li aveva fatti parlare, aveva detto le cose senza guardare in faccia né a gesuiti né a domenicani, e aveva concluso. Colpevoli non erano solo i giudici del grande pisano, ma anche i difensori moderni di tradizioni sbagliate e di scuole antiquate, che provocano essi sí, e non altri, un conflitto tra fede e scienza». Lo scandalo dunque fu doppio, riguardando sia Galileo, sia anche Paschini, il cui volume ormai pronto non venne stampato su ordine del Sant’Uffizio sottoponendo l’autore a una serie di umiliazioni, fatte di false promesse, ambigue assicurazioni, rinvii di responsabilità, finché appunto gli fu detto: «Di Galileo non si parli». E Paschini, che si era rifiutato di revisionare il libro nel senso dell’ottica imposta, sdegnato e offeso, ma anche rassegnato dopo tanta rabbia, dovette arrendersi. Il giallo non finí lí, perché ebbe una coda pure clamorosa. Monsignor Paschini morí nel 1962, venendo nominato vescovo solo un paio di mesi prima. Il Vaticano era allora pervaso dalla ventata di novità prodotta dal Concilio e di ciò si avvantaggiò il libro censurato su Galileo, il quale apparve mentre con la famosa “Gaudium et spes” la Chiesa celebrava il libero rapporto fra scienza a fede. Ma il testo postumo di Paschini non uscí indenne da ritocchi di varia natura e peso, che in taluni punti hanno stravolto il pensiero dell’autore, che dunque non ebbe mai la soddisfazione di veder pubblicata la sua opera mentre, come si sa, la piena riabilitazione galileiana arriverà molto piú tardi con Papa Wojtyla. Della vicenda resta testimonianza nel libro “Storia di una censura” (Franco Angeli editore) del professor Paolo Simoncelli, docente che ha curato pure la biografia di Sergio Maldini. Le altre tracce fondamentali si trovano nel bel carteggio fra Paschini e Vale, su cui tenne una relazione monsignor Piero Bertolla in un convegno nel 1978, precisando che le lettere erano state recuperate da Anna, sorella di Paschini: si trattava di ben 877 missive e narrano nei dettagli, anche privati come si usa tra amici, questo intreccio straordinario, in cui Giuseppe Vale continuava a dare consigli e a incitare dicendo: “Coraggio mio caro! Sempre coraggio, in Domino. Tu hai lavorato tre anni, sei amico della verità, l’hai sempre detta. Il Signore disporrà le cose in modo che il tuo lavoro veda la luce…”. Ciò accadrà oggi, venerdí 14 novembre, in un incontro che assume un particolare significato per Udine e il Friuli. È in programma alle 17.30, a palazzo Belgrado, su iniziativa (con patrocinio di Provincia, Comune di Udine e club Unesco) dell’Associazione dei toscani in Friuli Venezia Giulia, presieduta da Angelo Rossi, che con intelligenza propone vicende e personaggi in grado di legare le nostre due regioni. Sul tema “Galileo, un giallo friulano”, conferenza inserita nel programma per il 450.mo anniversario della nascita dello scienziato, parlerà il professor Cesare Scalon, presidente dell’Istituto Pio Paschini, mentre Gianni Nistri leggerà passi del carteggio di cui si è detto. Interventi musicali della flautista Giulia Carlutti. In un’omelia su Paschini, che era stato suo relatore per la tesi di laurea alla Lateranense, monsignor Alfredo Battisti disse anni fa: «Provò la pena piú grande per la mancata pubblicazione della sua opera su Galileo. La soffrí con magnanimità, con pazienza, quasi da solo». Ma adesso sarà forse un po’ meno solo.