Pordenone: le ecomafie stanno arrivando in Friuli


Davide Francescutti dal MV di oggi

Un’autodenuncia di quello che noi, né buoni né cattivi, stiamo facendo al nostro ambiente, senza reagire per fermare una catastrofe incombente. Una storia che parla di fiumi e di ghiaia, direttamente legata al Friuli. Un romanzo, intitolato L’ultimo giorno felice , ispirato dall’infanzia dell’autore valvasonese Tullio Avoledo su e giù per gli argini del Tagliamento, fiume per lui rovinato adesso nei suoi luoghi più belli. Il libro è inserito nella collana Verdenero (Edizioni Ambiente) ed è stato presentato ieri pomeriggio a Pordenonelegge. È nato due anni e mezzo fa per denunciare «i 20 miliardi e mezzo di euro – ha spiegato il curatore Alberto Ibba – che muove ogni anno l’ecomafia, senza contare l’abusivismo che non avviene solo in Sicilia e Campania». Uno scenario, quello del Sud, che al momento sembra lontano dalla nostra regione. «Però – ha avvertito Avoledo – durante l’emergenza rifiuti, che secondo me non è ancora risolta, sono stato a Giugliano vicino a Napoli per un premio letterario. La strada dall’aeroporto sino al paese mi colpì molto, con immondizie bruciate e gente che vagava come zombie, tanto che sembrava un film di Romero. Penso che, con una minima spintarella, anche noi in Friuli tra un po’ ci siamo. A voi piacciono – ha aggiunto rivolto al pubblico riunito nella sala dell’ex convento di San Francesco –, andando da Pordenone a Sacile, tutti questi centri commerciali, svincoli di qui e di là, tangenziali, ma per che cosa? Il degrado è palpabile».<br />
A moderare l’incontro lo scrittore Giorgio Vasta, che ha chiesto al romanziere friulano anche le ispirazioni territoriali che stanno dietro al suo libro. Ecco la risposta: «Tra le varie suggestioni che mi hanno spinto a scrivere il romanzo, oltre alla “corte sfrenata” dei curatori della collana, ci sono i ricordi dell’infanzia sul greto del Tagliamento, a pochi minuti dal centro di Valvasone, che raggiungevamo in bicicletta. Ogni albero, dosso o casamatta dell’esercito erano spunti per nuove e misteriose avventure. Immaginavamo depositi di armi nei bunker: era la nostra piccola Area 51, la nostra Roswell».
Al centro della storia il protagonista Francesco Salvador, tipico esempio di italiano medio. «Non ci sono buoni e cattivi – ha aggiunto l’autore – ma una minaccia incombente che i personaggi, come noi stessi, percepiamo però in modo sfumato: per questo ho voluto denunciarla. I miei genitori andavano da Valvasone a Pordenone su strade bianche, potevano cogliere il rumore dell’acqua e vedere gli alberi. Invece ora noi impoveriamo il territorio, come è accaduto con il disastro delle ghiaie prese dai fiumi che servono poi per fare il cemento utile a costruire nuova bruttezza. Dobbiamo recuperare il concetto di durata: non sono nostalgico, ma la cultura contadina sapeva rispettare il territorio, sapeva che quel campo non si poteva sfruttare oltre un certo limite perché serviva anche l’anno successivo. Anche perché – ha concluso Alberto – dopo la fine delle ideologie il territorio è l’unica cosa che ci è rimasta».