Tarvisio: così abbiamo vinto la cima stregata del Kangchenjunga

http://www.montagna.tv/cms/wp-content/uploads/2014/04/La-via-britannica-disegnata-nel-libro-di-Boardman-Sacred-Summits-sulla-foto-della-parete-nord-Photo-courtesy-Nelson-Chenkin-www.summitpost.org_.jpg

di Giancarlo Martina.

Raggiungere la cima del Kangchenjunga è stata una faticaccia, ma l’impegnativa salita verso la vetta nepalese di 8.586 metri ha dato una grande soddisfazione a Nives Meroi e Romano Benet, l’affiatata coppia di alpinisti 52enni, unica al mondo, ricordiamo, ad avere conquistato assieme ben dodici dei quattordici colossi della terra di oltre ottomila metri d’altezza. «Tutto è andato bene, ma la cosa più importante è che Romano – afferma Nives Meroi, che, al ritorno in Friuli, incontriamo nell’abitazione di Fusine, impegnata a disfare i bagagli e a sistemare l’attrezzatura impiegata nella spedizione – è stato bene, ha sopportato ogni sforzo. È stato bravissimo ed è tornato ad essere quel grande alpinista che tutti conoscono». Un complimento, strameritato da Romano che ha completato il pieno recupero fisico lasciandosi alle spalle quattro anni e oltre di tribolazioni a causa dell’aplasia midollare, i cui sintomi si erano manifestati nel 2009 proprio durante salita al Kanchenjunga, che l’ha costretto a subire due interventi di trapianto di midollo. «È stata una grande fatica – racconta Romano Benet, ritornato al lavoro all’Alpstation di via Roma – ma questa volta ci ha aiutato il fatto di essere partiti senza lo stress di riuscirci ad ogni costo. Tutto è filato a meraviglia sulla montagna con cui avevamo un conto aperto». «Questa – aggiunge – è la montagna tecnicamente più impegnativa degli Ottomila, per i grandi dislivelli da superare, il freddo e, soprattutto, per gli ultimi mille metri che sono i più difficili da salire». Sabato 17 maggio, quando siete arrivati in cima, è stata una giornata da incorniciare per voi. «Senz’altro e ci ha dato un’ulteriore soddisfazione avere compiuto la salita sulla parete pulita, prima che gli sherpa attrezzassero la via per le spedizioni sponsorizzate, più a sfondo commerciale che alpinistico. Con noi, c’erano anche gli spagnoli Jorge Egocheaga, che ha completato la collana degli Ottomila. e Martin Ramon, ma loro sono saliti in vetta il giorno dopo». Dunque anche i due spagnoli sono saliti come voi in stile leggero, senza il supporto di portatori e di bombole di ossigeno. «Gli spagnoli e anche un gruppo di valdostani, poi la montagna è stata raggiunta da altre spedizioni». Avete raggiunto la sommità di un monte che pareva negarsi. «Per noi il Kanchenjunga ha un grande significato. Tornare dopo cinque anni dove ho scoperto la mia grave malattia e riuscire a raggiungere la vetta è come buttarsi alle spalle tante sofferenze e preoccupazioni. Sempre in conseguenza ai tanti medicinali che ho dovuto assumere, l’anno scorso mi hanno dovuto applicare una protesi all’anca. Invece, sembra superato il problema alla spalla che nei messi scorsi mi ha dato fastidio, si vede che l’alta quota ha giovato». Sempre prezioso l’aiuto di Nives? «Come sempre è stata un validissimo aiuto. Ci siamo, però, mossi sempre in modo autonomo, tranne l’ultimo tratto dove siamo saliti legati. Nives ha meravigliato ancora una volta gli sherpa caricandosi sulle spalle lo zaino sempre carico al colmo». Per completare la serie, vi mancano solo Annapurna e Makalu. «Alle altre due cime per ora non ci pensiamo perchè la nostra situazione economica non permette di cullare sogni irrealizzabili. Non ci son sponsor, perciò stiamo in attesa di tempi migliori». Un vero peccato che, mentre in altre regioni riescono ad allestire spedizioni dal costo di 150-200 mila euro, i nostri due alpinisti, che sono ai vertici mondiali, non riescono a trovare un sostegno per completare la collana degli Ottomila nonostante la loro spedizione in stile alpino venga a costare un decimo di quelle pseudo-alpinistiche.