Carnia: chiusura delle Comunità montane e non attuazione dell’Unione dei Comuni montani?

di Tanja Ariis.

«Si faccia presto con la riforma delle Comunità Montane, la situazione va sbloccata. In montagna abbiamo bisogno di poter riprogrammare il nostro futuro». Lo ha detto il sindaco di Verzegnis, Luciano Sulli, nell’incontro in Comunità montana “Il territorio ritrovato” dove ha definito sciagurata la scelta dell’ex governatore Renzo Tondo di commissariare la Comunità montana della Carnia 4 anni fa, senza poi essere in grado di riformarla, creando un grave stallo in questo ente che faceva politiche di sviluppo, congelando risorse che non si possono utilizzare mentre le aziende vanno alla deriva. Anche per Franco Colautti della Cisl bisogna fare presto «di fronte ad una crisi che continua a galoppare tutti i giorni». Sulli condivide l’invito alla Carnia “Con(divide) et impera”(ossia unisci le forze, condividendo le scelte, e comanderai il tuo futuro)emerso nell’incontro che ha illustrato il minuzioso lavoro di studio e di raccolta delle informazioni sul territorio (coinvolgendo cittadini, associazioni, enti)svolto dalla Comunità montana, che ha prodotto mappe pratiche e dettagliate per la pianificazione territoriale della Carnia(dai Piani di telefonia mobile o di classificazione acustica, alla gestione dei rifiuti alla bioedilizia, dal Sim al progetto Susplan),tutte consultabili sul web. Una fotografia della Carnia che fornisce notevoli spunti, tra punti deboli e risorse del territorio. Un lavoro certosino e utilissimo che ha ricevuto il plauso di amministratori, tecnici, associazioni, compresa Assindustria, accentuando l’interrogativo sul futuro dell’ente. L’amministratore temporaneo, Dario Zearo, ha chiesto al consigliere regionale Cristiano Shaurli lumi sull’annunciata chiusura delle Comunità montane e sulla non attuazione dell’Unione dei Comuni montani (così si è espresso l’assessore regionale Paolo Panontin). Shaurli ha smentito: «Noi nell’assestamento di bilancio – ha detto – non faremo nessuna riforma degli enti locali. Semplicemente diciamo che la riforma degli enti locali debba essere complessiva, non può riguardare una parte sola della Regione e non viene messo in discussione il percorso fatto finora dove funziona. Noi non tocchiamo il percorso della Carnia che deve essere anzi un percorso a cui guardare» e la Regione metterà mano alla riforma da settembre, partendo prima da un’autoriforma e poi con i sistemi di area vasta «che non sono le Province. Un modello di fondo va scelto o con la diminuzione dei Comuni, come in Germania (ha il 30% di Comuni in meno dell’Italia), o col mantenimento delle municipalità però con il trasferimento delle funzioni in termini di competenze ed efficienza a realtà più grandi sul modello dei dipartimenti in Francia. Per me il modello da seguire è il secondo».

Una risposta a “Carnia: chiusura delle Comunità montane e non attuazione dell’Unione dei Comuni montani?”

  1. LA COMUNITA’ CARNICA, LE LEGGI SULLA MONTAGNA, LE COMUNITA’ MONTANE

    Sono soprattutto Romano Marchetti, d’ispirazione azionista, e Bruno Lepre, socialista, espressione degli ideali antifascisti che avevano animato la Resistenza carnica e sostenuti nelle loro analisi e proposte dall’esperienza democratica di autogoverno della Zona Libera, quelli che con maggior passione e chiarezza d’intenti affrontano il problema di un organo di autogoverno e di coordinamento dei Comuni della Carnia. Entrambi sono accomunati dalla volontà di accentuare e salvaguardare i caratteri di autonomia e di autodeterminazíone della nuova istituzione, in una visione, proiettata su scala nazionale, di uno Stato non più centralistico e burocratico, ma fondato sulle autonomie locali e sulla partecipazione attiva dei cittadini alla vita politica; questi principi trovano il loro referente e antecedente nel cooperativismo di inizio secolo in Carnia, oltre che nell’ideologia di alcuni partiti.
    Il tema della cooperazione e del suo rilancio, per le sue implicazioni economico-sociali, legate appunto all’autogoverno e all’autodeterminazione, viene particolarmente dibattuto su Carnia che, per essere espressione di un’unica posizione politica, è più libera e radicale rispetto alle posizioni che si esprimeranno su Lavoro, frutto delle mediazioni e dei compromessi politici tra i partiti del Cln della Carnia.
    Sul n. 28 di Lavoro del 10 novembre 1945 esce, firmato congiuntamente da Marchetti e Lepre, un brevissimo articolo, intitolato Comunità Carnica, in cui si sostiene la necessità di creare un organo che sulla scia della vecchia Pro Carnia propugni e risolva i vecchi e i nuovi problemi della Car¬nia. Tale tesi viene ripresa e trattata in forma più estesa e approfondita da Bruno Lepre nel n. 33 dello stes¬so giornale, in data 15 dicembre 1945, nell’articolo intitolato: Comunità Carnica. Cosa vogliamo e dove vogliamo arrivare:

    Molto s’è parlato sul nostro giornale della Comunità Carnica, ma io credo che gran parte dei Carnici non sappiano che cosa essa sia. Esisteva negli anni ‘30, in Carnia, un Ente che studiava e propugnava tutti i problemi della regione. Questo Ente era la Pro Carnia. Però questo Ente con tutta la sua buona volontà non poteva risolvere i problemi perché privo d’una base giuridica, ma doveva limitarsi a delle constatazioni e a delle proposte. Doveva insomma gridare le nostre necessità e implorarne dagli Enti superiori la soluzione. E questa voce, questo nostro appello accorato il più delle volte si smorzava prima di arrivare a chi doveva intenderlo. Era insomma questa Pro Carnia un ottimo architetto che progettava molto bene la casa nelle sue minime finiture ma che poi non poteva costruirla perché privo di mezzi. E questo non era debolezza dei valorosi uomini che l’hanno costruita, tra cui ricorderemo l’indimenticabile dottor Aulo Magrini, ma era un difetto istituzionale dell’Ente stesso. E questa Pro Carnia si vide privata delle sue già deboli forze con l’’accentuarsi del principio dello Stato accentratore dell’ultima dittatura. Abbiamo detto che la Pro Carnia ha dovuto limitarsi alla propugnazione dei nostri problemi, perché l’Ente era privo di una solida base giuridica che gli desse la forza per realizzarli. Vediamo ora come si può formare questa solida base giuridica che ci darà la forza di rendere reali i nostri progetti e guardiamo un po’ al vicino Cadore che ha già la sua brava Comunità Cadorina. In Cadore, a quanto c’è dato di sapere, la Comunità è costituita da una specie di intesa fra vari Comuni i quali si sono impegnati a deliberare in comune sui problemi di comune interesse. E l’Ente pur non avendo una forza giuridica propria la trova nel fatto che i singoli Comuni si riservano di emettere le medesime delibere per i problemi comuni. Quindi la forza giuridica della Comunità Cadorina poggia sulla reale forza giuridica dei singoli Comuni aderenti. Però porta a un grave inconveniente, perché qualora uno dei Comuni aderenti per contrasti di interessi particolari della sua amministrazione si rifiuta di emettere la delibera comune, questo rifiuto comporta praticamente l’annullamento della delibera e spezza quindi la coalizione. Se noi portiamo in Carnia una Comunità di questo tipo, noi troveremo sempre gran parte dei Comuni benestanti contrari alla risoluzione in comune dei problemi del misero Comune di Enemonzo per esempio o contrari per contrasto d’interessi alla rinascita di Forni di Sotto che importerebbe uno sforzo comune. Da ciò deriverebbe il fatto che la Comunità perderebbe la sua funzione istituzionale che è quella di risolvere con una vasta e obiettiva visione tutti i problemi della regione. Così si rende necessario il bisogno di spostare il centro di gravità giuridica dai Comuni carnici alla Comunità Carnica. Bisogna insomma che i Comuni, per quanto concerne i problemi generali della regione rinuncino un poco alle proprie personalità, per rafforzare quel consesso equilibrato e sereno che è la Comunità Carnica.

    L’l1 marzo 1946 presso la sede della Cooperativa Carnica a Tolmezzo si svolge una riunione dei sindaci e dei presidenti del CIn della Carnia, alla presenza del vice prefetto della Provincia, del governatore alleato e del direttore dell’Ufficío provinciale del lavoro, ai quali vengono esposti i gravi problemi dei vari Comuni; in tale occasione Marchettí, “vivamente applaudito”, rilancia nuovamente l’idea della Comunità Carnica.
    Sul n. 15 di Lavoro del 13 aprile 1946, dando la notizia che “un milione duecentoventimila metri cubi di legname sono stati asportati a danno della regione”, per cui, secondo l’articolista, la Carnia è trattata dal governo come una “colonia”, si ribadisce che “sulla nostra rovina solo la Comunità Carnica può salvarci”.
    Finalmente nella riunione del 20 maggio 1946 si arriva all’approvazione dello statuto della “Libera Comunità Carnica”, del quale viene data notizia sul n. 21 di Lavoro del 25 maggio 1946:

    Lunedì scorso, ha avuto luogo la riunione per l’elaborazione del progetto per la Comunità Carnica. In detta riunione abbiamo avuto un magnifico esempio di democrazia manifestato nella lotta delle tendenze e nella sintesi di chiusa che ha preso il meglio delle varie correnti. Le tendenze fondamentali erano tre: una tendenza che voleva concepire la Comunità come una semplice associazione di Comuni, un’altra che la voleva svincolare dai Comuni creando un corpo a sé che sostituisse la Prefettura nella estrema valorizzazione autonomistica. C’è stata poi una tendenza di centro la quale assorbendo le due tendenze ha stabilito che la Comunità fosse inizialmente un’associazione di Comuni, associazione però che lasciasse la strada aperta a tutte le future possibili soluzioni fino a giungere in un domani ad un autogoverno carnico inquadrato nella visuale autonomistica del futuro Stato italiano. Questa tendenza è stata quella che praticamente ha dominato e ha informato lo spirito dello statuto, tendenza realista e concreta nel senso che l’autonomia tipo Val d’Aosta non ci verrebbe concessa dallo Stato nello spirito delle leggi attuali, tendenza che non esclude successive battaglie e che non vuol essere rinuncia a un’autonomia assoluta, ma che, per evitare una dispersione delle forze, vuol creare un consorzio di Comuni Carnici che è il logico presupposto, nell’amalgama degl’interessi e dei problemi comuni, per una successiva evoluzione autonomistica.

    Michele Gortani non partecipa direttamente e in prima persona al dibattito che si svolge all’interno del CIn, ma lo segue a distanza con attenzione, anche perché il riferimento ideale alla Pro Carnia lo riporta, indirettamente, al centro dell’attenzione; infatti negli anni Trenta era stato proprio lui l’animatore e il Presidente di tale associazione.
    “Apprezza anche – abbiamo letto nella sua biografia – quel certo entusiasmo giovanile di cambiamento e rinnovamento che anima le pagine di Carnia e Lavoro, ma lo inserisce, realísticamente, nel nuovo quadro ínternazionale e nazionale che si è determinato dopo Yalta e che in Friuli Venezia Giulia, data la frontiera con la Jugoslavia di Tito, si avverte con maggior tensione e preoccupazione, e che sarà destinato ad accentuare le divisioni e le opposizioni fra le forze dell’antifascismo. Si dedica con la consueta passione all’insegnamento universitario e intanto matura la sua adesione alla Democrazia cristiana, cioè a una proposta politica di centro, oltre che ispirata a principi religiosi, che ben s’incontra col suo atteggiamento psicologico e culturale di rifiuto di ogni estremismo, sia esso comunista o capitalista. Con questi intenti e con queste idealità partecipa alla campagna elettorale per la Costituente”.
    Per quanto riguarda la Comunità Carnica, Gortani fa la sua comparsa in prima persona nella riunione allargata del 5 agosto 1946, quale membro della giunta esecutiva per la costituenda Comunità Carnica. In tale occasione, tra le altre modifiche allo statuto, si provvede ad eliminare dalla dizione “Líbera Comunità Carnica” la parola “Libera”. “ Una cancellazione significativa – leggiamo ancora nella biografia -. Infatti non solo, così facendo, si attenua la derivazione e il legame con la Zona “Libera¬ della Carnia”, cioè con la rottura col passato, ma si mettono anche in secondo piano le spinte autonomistiche e le sottolineature di autodetermínazione e di democrazia diretta. Per Gortani la democrazia è essenzialmente democrazia delegata, da attuarsi e realizzarsi attraverso la mediazione di un ceto politico formato dagli uomini migliori di una terra e di una nazione, che devono agire come classe dirigente non come classe dominante per l’interesse della collettività e della gente comune che, secondo lui, non è in grado di esprimere autonomamente dal basso progetti politici e organizzativi, ma che, se non adeguatamente guidata, potrebbe trasformare la libertà in licenza. Anche se uomo di partito, nella concezione di questa classe dirigente ideale permane in Gortaní una visione universalistico umanitaria, che sogna una comunione d’intenti per il bene comune anche in uomini appartenenti a schieramenti ideologici diversi, purché accomunati dallo stesso amore per la propria gente e la propria terra: nemico degli ideologismi e più attento e partecipe dei problemi concreti della gente; carnico e italiano, mediatore incessante tra le esigenze del centro (dello Stato) e della periferia (della Carnia)”.
    In pratica, abbiamo osservato che Gortani, circa le funzioni e il significato politico della Comunità Carníca, non vedeva in questo organismo un’ipotesi di Stato delle autonomie locali, anche antagoniste al potere centrale, ma uno strumento di decentramento amministrativo, che attenuasse il centralismo e permettesse allo Stato di essere più vicino e aderente ai problemi delle varie regioni geografiche italiane; un organo retto e guidato da una classe politica che fosse in grado di mediare i bisogni locali con gli interessi nazionali. Per questo alla Costituente votò con convinzione l’art. 5: “
    La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze della autonomia e del decentramento”.
    In data 27 maggio 1947 il prefetto di Udine, Vittadini, approva con decreto la costituzione del “Consorzio denominato Comunità Carnica”. Il 12 giugno 1947 una maggioranza formata da democristiani e socialdemocratici elegge Presidente della Comunità Carnica Michele Gortani, carica che egli conserverà fino alla morte.

    LE LEGGI PER LA MONTAGNA E LE COMUNITA’ MONTANE

    La montagna rappresenta più di un terzo del territorio italiano ed è caratterizzata da molteplici problemi. Ancora oggi, come in passato, si assiste ad un fenomeno migratorio che sta raggiungendo livelli allarmanti provocando un eccessivo spopolamento dei territori montani. Spesso la causa di ciò è riconducibile alla mancanza di agevoli vie di comunicazione, che tendono ad emarginare le popolazioni montane dai grossi centri urbani. Questi ultimi, infatti, soprattutto dai giovani, vengono visti come punto di attrazione della vita sociale, capaci di offrire innumerevoli servizi di ogni genere. Inoltre non si possono dimenticare le condizioni nelle quali riversano oggigiorno certe zone montane: isolamento e abbandono sono spesso la conseguenza del loro degrado.
    Alla soluzione d tali problemi Michele Gortani ha dato un contributo fondamentale.
    Nel 1946 egli partecipa attivamente alla campagna elettorale per la Costituente, nella quale risulterà eletto deputato per la Democrazia cristiana.
    Nel palazzo di Montecitorio il 13 maggio 1947 si discute in aula l’articolo 41 della Carta costituzionale: l’onorevole Gortani insieme ad altri deputati, non soddisfatti del testo concordato, insiste perché la Costituzione contenga un riferimento chiaro ed esplicito alla “montagna”. Come primo firmatario, richiesto dal presidente dell’assemblea se intenda mantenere il suo emendamento, prende la parola Gortani per confermare la sua volontà di mantenerlo, ottenendo l’appoggio di Antonio Segni, a nome del gruppo di maggioranza relativa, cui segue quello, quasi unanime, dei presidenti degli altri gruppi parlamentari:

    Onorevoli colleghi, vi è in Italia una regione che comprende un quinto della sua popolazione, che si estende per un terzo della sua superficie e in cui la vita di tutti i ceti e categorie si svolge in condizioni di particolare durezza e di particolare disagio a confronto col rimanente del paese. Questa regione, che non ha contorni geografici ben definiti, ma si estende ampiamente nella cerchia alpina, si allunga sulle dorsali appenniniche e si ritrova nelle isole maggiori, risulta dall’insieme delle nostre zone montane. E’ una regione abitata da gente laboriosa, parsimoniosa, paziente, tenace; che in silenzio lavora e in silenzio soffre tra avversità di suolo e di clima; che rifugge dal disordine, dai tumulti e dalle dimostrazioni di piazza, e ne è ripagata con l’abbandono sistematico da parte dello Stato. 0 meglio, della montagna e dei montanari lo Stato si ricorda, di regola, e si mostra presente, quando si tratta di imporre vincoli, di esigere tributi o di prelevare soldati.
    Matrigna la natura, al nostro montanaro, e matrigna la patria; e tuttavia è pronto, così per la patria, come per la nativa montagna, a sacrificare, ove occorra, anche se stesso. Perché la montagna è la sua vita, e la sua patria è la sua ragione di vivere. E in lei non ha ancora perduto la sua fiducia. Facciamo che non la perda. Ad ora ad ora voci si sono levate in favore della montagna: voci altruiste reclamanti giustizia, e voci utilitarie reclamanti la restaurazione montana come fonte di pubblico bene. Ma le une e le altre sono cadute o nell’indifferenza o nell’oblio. E intanto le selve si diradano, inselvatichiscono i pascoli, cadono le pendici in crescente sfacelo; le acque sregolate rodono i monti e alluvionano e inondano le pianure e le valli; intristiscono i villaggi a cui non giungono le strade né i conforti del vivere civile; la robustezza della stirpe cede all’eccesso delle fatiche e delle restrizioni, e la montagna si isterilisce e si spopola. Ora è tempo che al montanaro si volga con amore questa Italia che si rinnova. Noi chiediamo che nella nuova Carta costituzionale, dove tante sono le norme ispirate all’amore e alla giustizia, ci sia anche una parola per lui. A tal fine abbiamo presentato questo comma aggiuntivo all’articolo 41; «Nel medesimo intento» (cioè di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e stabilire equi rapporti sociali) “la legge dispone provvedimenti in favore delle zone montane”.

    Con tale emendamento, divenuto l’ultimo paragrafo, esso diventerà l’articolo 44 della Costituzíone.

    L’impegno di Gortani non si ferma qui e il giorno successivo, il 14 maggio 1947, insieme agli onorevoli Franceschini, Di Fausto e Andreotti, preoccupati che nella legge fondamentale dello Stato non venga inserito un riferimento esplicito all’artigianato, presenta un ordine del giorno, che egli stesso illustra e propone di aggiungere: “Apposite provvidenze legislative assicurano la tutela e lo sviluppo dell’artigianato”.
    Con l’aggiunta di questo comma l’articolo, che durante la discussione aveva il n. 43, diverrà l’articolo 45 della Costituzione italiana

    Il comma dell’articolo 44 che prevede «provvedimenti in favore delle zone montane» permette a Gortani, nella sua veste di senatore, durante la legislatura 1948 1953, di essere uno dei protagonisti dell’approvazione della legge numero 991 del 25 luglio 1952, considerata la prima legge organica promulgata in Italia a favore della montagna.
    Un altro carnico fu tra i protagonisti della formulazione e approvazione di una nuova legge sulla montagna, istitutiva delle Comunità montane (L. 1102 del 1971), Bruno Lepre, che così scrive nelle sue Memorie di un socialista della montagna:

    Durante l’inverno del 1970 fino alla primavera del 1971 fui fortemente impegnato nella Commissione competente a predisporre una nuova legge della montagna; legge che era fortemente sentita, in particolare nella mia Carnia, dove sull’esempio dell’autogoverno della Zona Libera, avevamo dato vita alla Comunità Carnica, che fu, con mio grande orgoglio e soddisfazione, il modello di riferimento per l’organizzazione amministrativa dei territori montani con la costituzione delle Comunità Montane. Mi impegnai insieme ad altri amici deputati con grande determinazione per questa nuova legge, che doveva sanare le gravi insufficienze della Legge 991/1952, che pur aveva avuto il merito di porre il problema della montagna come problema nazionale.
    La legge – una legge all’avanguardia a livello europeo dopo un iter travagliato, fu approvata, realizzando gli obiettivi dell’autogoverno attraverso un Ente o un Consorzio di Comuni in grado di programmare le necessità delle vallate ed i relativi piani, anche se la parte finanziaria rimaneva quasi tutta da scrivere.

    Ebbe l’onore di aprire la discussione generale in Aula. Riteniamo opportuno riportare qui di seguito una parte del suo intervento:

    PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale. Il primo iscritto a parlare è l’onorevole Lepre. Ne ha facoltà.

    LEPRE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, la nuova legge della montagna che, la Camera si accinge a votare e che il gruppo socialista confida sia ulteriormente migliorata, è uno strumento da tempo atteso dalle popolazioni montanare afflitte dallo spopolamento e dal fenomeno dell’emigrazione, e condannate, se non si pongono urgenti rimedi, al loro definitivo svuotamento come entità socio economiche. Non starò a dire dei sacrifici che questa gente ha affrontato in pace e in guerra, gente sobria che finora però ha ottenuto solo l’elogio dei governanti e non una politica di salvaguardia di quei grandi valori umani che proprio la montagna raccoglie; né dirò che questa brava gente ha fatto le barricate a difesa della patria nelle guerre del Risorgimento, nella grande guerra, in Grecia, in Russia, nella lotta di Liberazione, sacrificando quasi tutta la sua gioventù: forse ha il torto di avere silenziosamente taciuto e sofferto anche quando la dimenticanza dello Stato ha assunto atteggiamenti veramente provocatori. Dirò soltanto che quando si difende la montagna si difende anche il suolo attraverso la vigile sopravvivenza delle sue popolazioni e si difende quindi l’intero territorio dello Stato.
    E’ necessaria una legge che affronti il problema della montagna in tutta la sua interezza. Si tratta, ripeto, soprattutto di un problema di contenimento dell’esodo emigratorio interno ed estero che, in chiave programmatoria, vada a rimuovere le cause di questo spopolamento.
    Nella mia terra, la Carnia pur confinante con il terzo Reich, nel 1944, in una terra circondata dal ferro e dal fuoco nemico si è saputa creare una zona libera, dandosi un proprio governo della Carnia libera, il cui tribunale ha pronunciato, in territorio occupato, la prima sentenza con la formula: “In nome del popolo italiano”. Questa Carnia, che aveva eletto le prime giunte comunali democratiche, forte di questa esperienza, ha creato nel 1945 46, ad iniziativa del CLN carnico, la Comunità Carnica, primo esperimento in Italia di consorzio di tutti i comuni della montagna friulana, creato proprio al fine di unire tutti gli sforzi per tentare una concreta rinascita della montagna friulana. Direi che il tipo di comunità montana prospettato dal disegno di legge oggi al nostro esame, trova il suo modello nello statuto e nell’organizza¬zione della comunità carnica. Se ciò è motivo di orgoglio per questa gente, resta l’amara constatazione che questa comunità ha condotto una battaglia generosa sì, ma anche contro i mulini a vento, perché priva di riconosci¬mento, di attribuzioni e poteri, non concessi dalla legislazione dello Stato. Ecco l’esigenza di valorizzare, le Comunità Montane.

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