Carnia: da Linussio a Candoni nasce il Museo industriale

d.pe. dal MV di oggi 

Un Museo industriale della Carnia. L’ambizioso progetto sarà illustrato sabato prossimo, ad Arta Terme, nel corso dell’assemblea dell’Associazione culturale Apollo Prometeo e Walter Candoni. L’appuntamento è alle 10.45. Una novità, quella del museo, a lungo pianificata dal sodalizio che comincia a strutturarsi e sta diventando un vero e proprio punto di riferimento. La nascita dell’Associazone culturale Apollo Prometeo e Walter Candoni, gli imprenditori a cui si deve nascita e crescita della Seima di Tolmezzo – oggi Automotive Lightining – che qualche mese fa diede vita a una manifestazione capace di rimettere al centro del dibattito l’impegno per lo sviluppo di una terra e la possibilità di coniugare radici e futuro. Nel corso dello stesso appuntamento di sabato prossimo si andrà anche all’individuazione dei beneficiari delle tre borse di studio destinate a studenti dell’Isis Solari e del collegio Don Bosco di Tolmezzo. L’idea del Museo che partendo da Linussio, passando per Solari, arrivi a Prometeo Candoni e raggiunga il futuro con Eurotech di Roberto Siagri, s’inserisce nell’intento di fornire alle nuove generazioni motivi di riflessione ma anche esempi concreti di quanti si possa realizzare anche in un contesto ambientale che si ritiene sempre penalizzato. La Carnia, infatti, vanta un buon numero di realtà produttive come la Cartiera, il complesso Linussio, la Solari (tanto per citarne alcune) che hanno contribuito a mantenere un discreto tenore di vita in una zona periferica e spesso fragile economicamente. Nel corso della manifestazione verranno anche consegnate le benemerenze a 47 dipendenti della Seima Italiana con trent’anni di anzianità. Verranno premiati: Cecilia Adami, Piero Artico, Ermes Bonani, Renzo Boria, Roberto Cacitti, Liana Candoni, Luigi Carlevaris, Maria Rosa Cattaino, Alida Chiaruttini, Livia Chiaruttini, Mauro Cimenti, Emilio Cleva, Martine Condolo, Walter Coslovich, Giuliano Cossettini, Fabiano Cozzi, Luigi Craighero, Adriano Cucchiaro, Ennio Da Pozzo, Vito De Prato, Adelia Della Schiava, Gino Di Qual, Giorgio Dorigo, Dirce Gortan, Beppi Gortana, Gian Franco Intilia, Gianni Intilia, Egidio Iuri, Graziella Lucchini, Maria Pia Mainardis, Ugo Mazzolini Polonia, Claudio Nait, Lucio Nait, Mauro Nait, Aldisio Paschini, Beppi Paschini, Umberto Ponte, Fernanda Pugnetti, Ennio Rainis, Piero Scarsini, Amanzio Solari, Roberto Solari, Walter Spiz, Elvina Taddio, Gianni Tamburlini, Renata Tomat e Maria Zoffo.

Una risposta a “Carnia: da Linussio a Candoni nasce il Museo industriale”

  1. Ben venga questo Museo. Così – é solo una piccola parte – scrivo nel mio romanzo IL FINIMENTO DEL PAESE (KappaVu editore)

    Il quadro era diviso verticalmente in due parti simmetriche da una colonna brunita in pietra, che separa uno spaccato d’interno sulla destra da una prospettiva esterna sulla sinistra. Jacopo Linussio, in primo piano in abito settecentesco, indica con una bacchetta due balle di stoffa accanto ai suoi piedi; dietro di lui due scrivani, sullo sfondo un quadro della Crocifissione: ai piedi della croce il leone di San Marco e in basso sulla destra una mendicante e due bambini che protendono le mani supplichevoli. All’esterno nella diagonale di un palazzo patrizio e di un opificio in avanzato stato di costruzione e ampliamento, ad indicare operosità come negli Effetti del Buon Governo di Ambrogio Lorenzetti, allineate in file ordinate e compatte, sono sedute le filatrici con le conocchie sollevate in alto fitte come lance, ma aste di pace e laboriosità. Il colore del cielo alto dietro le filatrici è lo stesso della giacca di Linussio, verdeazzur¬ro.
    In un altro suo ritratto di Pietro Longhi si legge la scritta: Videtur ex se natus. Infatti, chi osserva attentamente il volto sotto la parrucca non nota alcun tratto di cicisbeismo, ma un volto un po’ paffuto e colorito dai tratti forti e sani, di un’energia che è fisica e spirituale ad un tempo. Nel momento della massima espansione della sua industria tessile, la più grande d’Europa nella prima metà del Settecento, Jacopo Linussio dava lavoro a migliaia di persone e suo grande merito fu di aver sostenuto la naturale inclinazione lavorativa di questa terra: ”Li popoli di Carnia fanno diversi traffici co’ tedeschi, e come gente indu¬striosa si partono dal loro paese in gran numero, e vanno a procacciarsi il vivere in luoghi lontanissimi, di maniera che ormai se ne trovano in tutta Europa, e la loro propria opera è tessere panni di lana, ma più di lino, nel che sono eccellenti e rari“. Ed anche come intagliatori della pietra o come merciai e venditori di stampe a Vienna, Praga e in tutti i paesi europei. Era un uomo che si era fatto da sé con volontà e laboriosità e della nobiltà aveva acquisito soprattutto le doti della liberalità e della filantropia, in quanto oltre al lavoro provvedeva alla costruzione e all’abbellimento delle chiese, facendo tornare da Venezia nella sua terra natale il pittore Nicola Grassi, alcune opere del quale per molto tempo furono attribuite a Ricci, Tiepolo, Piazzetta, Guardi. Anche lui, come il committente, inserisce nell’ariosità e nella leggerezza rococò un sano spirito popolaresco, un‘eredità figurativa indigena: aristocratico popolari come la cucina del Roma. Un senso della comunità e della socialità dell’impresa come si troverà, due secoli dopo, in Adriano Olivetti, il sogno infranto dell’amico Polnovi, vinto dal capitalismo rapace e unicamente teso al profitto personale non socializzato a danno non certo a beneficio della collettività. Lo stesso sogno del fondatore del Museo d’unione armonica tra alto e basso, dissolto brutalmente anche qua dalla espressione più becera e parassitaria del capitalismo, i bottegai e i redditieri, una fanghiglia melmosa intermedia, ipertrofizzata come una enfiata putrida vescica sociale, che ha separato impresa e lavoro, progetto e costruzione, profitto e socialità, polis e cultura, trasformando la società in una terra di rapine dominata da avvoltoi; ora i poveri sono veramente poveri, i senza piazza spiazzati, gli immigrati forza lavoro da sfruttare, senza cittadinanza. L’opificio di Linussio da tempo senza lavoratori è stato trasformato in caserma. Nell’affresco del soffitto del Salone da Ballo del palazzo la Virtù oggi appare sconfitta dai Tempi e dall’Invidia. Campeggia l’Allegoria del Cattivo Governo: al centro il tiranno, una figura diabolica, con i neri capelli stirati dal gel e con corna e zanne di cinghiale, tiene nella mano destra il pugnale e nella sinistra la coppa del veleno; sue consigliere sono Avarizia, Superbia, Vanagloria, suoi compagni Crudeltà, Inganno, Frode, Furore, Discordia e, naturalmente, in forma di caprone, la Lussuria; città e campagne sono devastate e incolte e sui sudditi incombono Insicurezza e Paura.
    Anche qua, pensa malinconicamente Italico, la ricerca del bene comune e il gusto del bello avevano radici rinascimentali:

    Tulmegio, tu poi ben di suoi costumi
    Andare altiero, e le tue donne belle
    Reverenti venir a farle onore.

    cantava l’anonimo poeta petrarchista in onore dalla sua Fiam¬metta; altri andava oratore da Carlo V o scriveva poemi in latino per Ferdinando I d’Asburgo. Certo populismo cafone, pensa Italico, e l’ubiqua subcultura media rimuovono e rifiutano tutto questo, per difendere la propria mediocrità o per diffondere l’omologazione e il livellamento verso il basso sul cattivo gusto, la disarmonia e la ciarlataneria.
    Non sono più tempi questi, riflette Italico pur nel torpore della sonnolenza pomeridiana, di sognare paternalismi e filantropie. Non c’è più la religione civile della nobiltà veneta settecentesca: “I nobili sono d’ordinario i possessori delle maggiori ricchezze: così devono essere i primi a giovare alla patria e a sollevare gli inferiori. Questo è un debito e per natura e per legge annesso al loro grado e alla loro condizione”.

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