Carnia: le superstizioni sugli alberi da frutto

di CRISTINA BURCHERI

Negli “Spunti storici sulla frutticoltura in Carnia”, a proposito delle origini della pericoltura e della melicoltura in questa zona, Muner afferma che «in Carnia la frutticoltura è praticata da tempo immemorabile come confermato dal fatto che già in epoca romana piante da frutto erano diffuse nelle zone montane e collinari»,  ricordando poi che nel 1592 Francesco Janis, ambasciatore della Serenissima Repubblica di Venezia, aveva importato in Carnia una pregiata varietà di pere.
Le produzioni frutticole, oltre che in Carnia, erano diffuse in tutta la regione: celebri le pesce di Fiumicello, le ciliegie di Tarcento, le susine del Collio goriziano, il fico moro di Caneva… e così via discorrendo.
Immancabili, legate agli alberi da frutto, leggende e superstizioni popolari ispirate dalle loro virtù. Credenze documentate da Valentino Ostermann in “Vita in Friuli” (1894).
Scopriamo allora che il pruno selvatico era chiamato “S’ciafòe–predis” poiché i suoi frutti “lein i dinc’” (allegano i denti). Con il suo fusto venivano fatti bastoni a cui si attribuiva la proprietà di tener lontani i cani mordaci e tutti gli animali o gli uomini che venissero contro con intenzioni bellicose.
Il frutto del rovo, in friulano “baràz di moris”, era usato comunemente, assieme al ginepro e ad altre bacche, per aromatizzare grappe e spiriti. Una leggenda popolare raccontava che la corona di spine di Gesù Cristo venne fatta con questa pianta e, «nella Luna, si vede Caino che porta colla forca un fascio di rovi».
A proposito del susino – “brugnulâr” – vi era il pregiudizio che i suoi frutti acerbi, mangiati dai bambini, restassero sette anni nello stomaco prima di essere digeriti.
Seppur abbastanza raro in Friuli il cedro era ritenuto efficace contravveleno nelle intossicazioni da funghi. Un ramo di cedro proteggeva la casa dai fulmini. Ovviamente importato era poi il dattero – “dàtul” – per il quale esisteva un pregiudizio assai comune secondo il quale l’albero dava i frutti ogni cent’anni. Di qui il proverbio (anch’esso importato da Venezia): “dàtoli de Spagna, chi li semina no il magna”.
Albero da frutto molto diffuso in Friuli era il cotogno – “codògn” – il cui frutto si usava per far conserve e marmellata. Oltre che in cucina, era usanza diffusa tenere nella camera una mela cotogna nella credenza che il suo odore aromatico giovi ad allontanare le streghe, l’orco e più in generale gli incubi notturni. Approfondendo le tradizioni legate a questo frutto Ostermann propone un parallelo: «In qualche paese il marito, quando introduce la vergine sposa nella camera nuziale, l’invita a mangiare una fetta di mela cotogna, si dice per liberarla dalle malìe; e tale uso ricorda quello degli antichi greci che facevano mangiare alla sposa la mela cotogna per augurio di fecondità».