Ceccotti le canta, oh se le canta!

Dal Gazzettino di oggi

Sindaco Cecotti, perché ha deciso di lasciare la politica?

«Perché non mi riconosco più nel sistema politico come è venuto configurandosi in questi anni. Non lo capisco più nelle sue scelte, e non capisco a cosa possa essere funzionale, a "cosa serva". Provo un crescente senso di estraneità, che mi ha spinto a ritornare alle mie antiche certezze: la scienza».

Lei prima ci spiegava il suo abbandono della politica con le parole: "Quando il gioco si fa sporco, i puliti smettono di giocare". È così?

«La frase è bella, potrebbe diventare un refrain modello "visitors"».

Crede di essere ancora "scomodo" per i partiti?<br />
«Non più. Ormai sono fuori dal giro».

Eppure il centrosinistra le ha proposto con insistenza la candidatura alla presidenza della Provincia. Non era un segno di attenzione e rispetto?

«Il centrosinistra ha insistito. Ma io non ero interessato per le ragioni che ho già detto. Inoltre, quando ho provato a porre le condizioni politiche minime, ho ricevuto un rifiuto netto».

Quali condizioni?

«Di non fare un remake del film del 2003; ci siamo già passati e sappiamo come è finita».

Qualcuno è convinto che lei dica troppi "no". Il "no" alla Provincia era inevitabile?

«Lei ricorda la barzelletta sulle donne e sui politici: "una donna se dice ‘no’ è ‘forse’, se dice ‘forse’ è ‘sì’, se dice ‘sì’ non è una donna. Un politico se dice ‘sì’ è ‘forse’, se dice ‘forse’ è ‘no’, se dice ‘no’ non è un politico". Ecco, secondo questa definizione, io non sono un politico. E neppure una donna, perché quando dico ‘no’ è ‘no’, e non ‘forse’».

Ha detto "no" anche alla Lega, che le aveva proposto la candidatura in Regione quando ipotizzava la corsa solitaria. Perchè?

«Per le ragioni che ho già detto, ma anche perché la storia non torna indietro, e, se lo fa, tende a trasformarsi in farsa».

Torniamo alla Provincia. Shaurli era stato "incoronato" dall’assemblea del Pd, poi è stato scelto un altro candidato. Ma allora la "base" non conta?

«Il mio pensiero sul metodo di scelta dei candidati del Pd coincide, per una volta, con quello di Massimo Cacciari. Il "caso Shaurli", però, ha anche altri connotati: è il risultato della totale "triestinizzazione" del centrosinistra di questa Regione, una deriva che io mi pregio di avere segnalato per tempo. Appena nel centrosinistra friulano appare un leader credibile, giovane e autorevole, da Trieste parte un missile per raderlo al suolo. Il centrosinistra friulano non deve esprimere leaders; al più si concede a qualcuno di auto-illudersi di contare qualcosa: gli illusi non sono mai un pericolo per il potere».

Che conseguenze potranno esserci?

«Shaurli è il segretario provinciale del Pd, ovvero il massimo esponente politico del centrosinistra della Provincia di Udine. Delegittimando lui, hanno delegittimato tutto il centrosinistra friulano. Nel libro di Tommaso Cerno si racconta del processo fatto dai Ds regionali a Shaurli in quanto troppo vicino ai "friulanisti". La vicenda descritta nel libro potrebbe essere una chiave di lettura».

A ottobre, alle primarie Pd, lei espresse una preferenza per Moretton. Se ne è pentito?

«Al contrario, lo rivendico come merito. Qualcun altro, forse, si è pentito delle scelte fatte. Ma le cose erano già perfettamente chiare a ottobre».

Moretton avrebbe gestito davvero il partito in modo diverso da Zvech?

«Lo dissi allora: Moretton conosce la complessità di questa Regione e capisce il senso della parola "equilibrio"».

Lei spesso imputa a Zvech il "triestinismo". Significa che Trieste vuole decidere anche per il Friuli?

«Non che ‘vuole decidere’, è che "decide" anche per il Friuli».

Ed è davvero difficile, da Trieste, capire il Friuli?

«Vede, una delle ragioni per cui io mi sento a disagio nella politica è che essa è una "scienza sperimentale" mentre io sono, per formazione, un teorico. Orbene i dati sperimentali non lasciano dubbi: i politici triestini non capiscono il Friuli».

E dal Friuli si riesce a capire Trieste? Lei ci riusciva ai tempi in cui era presidente della giunta regionale?

«Onestamente, non ci riuscivo. Però avevo un bravo vicepresidente di Trieste, Cristiano Degano, che capiva benissimo e mi aiutava a non commettere errori troppo grossi. Credo di poter ascrivere a mio merito di essermi lasciato aiutare».

Se i due territori non si comprendono, bisogna dividere la Regione? O fare la doppia autonomia come vorrebbe Strassoldo?

«Bisogna capire la complessità della Regione, e avere una cultura dell’equilibrio».

Secondo lei Illy ha già scelto il suo successore? Chi è?

«La domanda è stimolante, ma bisogna porla a Illy. Registro, però, che molti vanno in giro per la Regione dicendo che Illy ha già scelto loro».

La candidatura a sindaco di Gianni Ortis ha qualcosa a che vedere con questo desiderio di Udine di "reagire" alle scelte di Trieste?

«Non lo so».

Honsell, che lei ha indicato come suo ideale successore, dovrebbe fare come lei e dire qualche "no" in più ai partiti?

«Honsell sa bene cosa fare. Non ha bisogno di consigli».

Dopo dieci anni da sindaco, crede di aver lasciato in eredità un metodo per governare Udine? Oppure Honsell dovrà fare a modo suo?

«Ogni sindaco interpreta il ruolo a modo suo. L’importante sono i risultati, e quelli li valutano i cittadini».

Nel post-cecottismo i partiti riprenderanno il sopravvento? Ci sarà una normalizzazione?

«La "normalizzazione" c’è già».

Ha qualche rimpianto, sindaco Cecotti?

«Sui rimpianti non si costruisce nulla. Bisogna andare avanti, verso il futuro».

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