Dibattito sulle Comunità Montane: l’opinione di Barazzutti e Nassivera

Continua il serrato dibattito sull’utilità o inutilità del ruolo delle Comunità Montane. Di seguito le opioni di due Carnici illustri: Franceschino Barazzutti e Gianni Nassivera
Franceschino Barazzutti:
I modi e i tempi con cui la nuova maggioranza regionale ha soppresso una serie di leggi e d’istituti hanno richiamato alla mia mente gli eroi del libro di Salgari: Sandokan, Yanez, il governatore Brooke e i suoi dajaki, tagliatori di teste con macabro rito. –br–
Poco importa distinguere chi, nelle forze di maggioranza, abbia ricoperto il ruolo del cattivo Brooke, la Lega Nord o il Pdl, e chi, come gli uomini dell’Udc, quello più “moderato” di raccomandare “decapitateli pure, ma non fate loro tanto male”.
L’aula del consiglio regionale, che nel passato di duro scontro ideologico è stata luogo di dibattito e confronto di alto profilo politico, ora è stata trasformata in una sorta di mattatoio in cui versare politicamente sangue (e il sangue impressiona!) per esibire il proprio (stra)potere e lanciare un messaggio di un decisionismo rude e sbrigativo, che soltanto demolisce senza progetto per costruire. E costruire, si sa, è ben più difficile che demolire.
In attesa di essere affidate da Brooke ai dajaki per la decapitazione ci sono (tremebonde, le poverine!) le Comunità montane.
Decisa ad affidarle alle spade dei dajaki è l’assessore leghista Seganti, triestina, che sarà esperta di cose di mare, ma di quelle di montagna presumo lo sia quanto sono io, montanaro, di quelle di mare.
Anche il neoconsigliere Picco si è dichiarato per la soppressione delle Comunità montane, ritenendole «parcheggio di molte persone» in un contesto «di caporalato della politica in una Carnia calabrizzata». Consiglierei all’amico Picco maggior prudenza, perché, se colpa e motivo della soppressione delle Comunità fossero quelli da lui indicati, allora a maggior ragione la Regione, che è un megaparcheggio, andrebbe subito chiusa e le sue porte inchiodate.
Preoccupa di più che a volerle sopprimere sia proprio il carnico presidente Tondo, al quale dovrebbe essere ben noto l’importante ruolo svolto dalla Comunità montana della Carnia, dove, a differenza del sottoscritto in eterna minoranza, il partito socialista, in cui egli militava, ha svolto un ruolo primario che va riconosciuto, anche se qualcuno, intingendo troppo il biscotto nel caffelatte, si è sporcato la camicia. Ma una cosa sono le persone, ben altra sono le istituzioni.
In verità, tutto sta nella risposta che si dà alla domanda: ha la montagna – e la Carnia in particolare – sufficienti caratteristiche distintive per territorio, economia, storia, cultura, eccetera per richiedere un trattamento istituzionale differenziato?
Se non le ha, nessun trattamento istituzionale differenziato e le Comunità montane vanno chiuse.
Se le ha, allora il discorso non può aprirsi con la decapitazione delle Comunità montane, ma con un esame di quale possa essere la forma istituzionale più idonea a esprimere e valorizzare tali caratteristiche distintive, che sono ormai riconosciute e acquisite dalla società regionale e nazionale. E la Carnia particolari caratteristiche distintive ne ha da vendere!
A coloro che vorrebbero livellare tutto adducendo la globalizzazione in atto va ricordato che nel mondo globalizzato ognuno ci vada e ci stia con la proprie caratteristiche, senza esaltarle e senza nasconderle né tanto meno cancellarle.
Mi auguro che, passati i furori decapitatori iniziali, in settembre si avanzino proposte di assetto istituzionale della montagna. Dico “assetto istituzionale”, che significa “di governo”, che è cosa ben diversa dalle “agenzie” o simili, che sono e devono essere solo “strumenti” a disposizione dell’autonoma istituzione montana e non sostitutivi della stessa. Diversamente sarebbero strumenti in loco del centralismo regionale.
Lasciare la montagna senza un’istituzione differenziata di autogoverno significa lasciarla alla mercé del potente regionale locale di turno, degli assessori di turno, del presidente-principe della Regione e ridurre i sindaci, uno per uno, a clientes questuanti, in barba all’autonomia comunale. Sorge il sospetto che proprio questo si voglia con la soppressione delle Comunità montane. Sarebbe questo il federalismo della Lega? Sarebbe solo un’operazione di potere, di potere assoluto, di decapitazione della stessa democrazia.
Chi, come me, ha seguìto come delegato le vicende della Comunità montana della Carnia sin dalla sua costituzione può a ragione affermare che è stata la Regione a impedirne il pieno sviluppo delle potenzialità limitandone i poteri, l’autonomia, i mezzi, al fine di mantenere intatto il potere centralistico della Regione e degli assessori regionali.
È il caso di ricordare alla Regione la garbata frase del Vangelo «medice, cura te ipsum» (medico, cura te stesso) o il meno elegante detto popolare «il pesce comincia a puzzare dalla testa». La Regione, prima di riformare altre istituzioni, dia l’esempio e riformi se stessa, se vuol essere credibile: elabori chiari e semplici testi unici per settore ed eviti che ogni assessore faccia la “sua” legge. Non sia ente di gestione bensì ente d’indirizzo, di programmazione e pianificazione su scala regionale, decentri la gestione e le risorse agli enti locali che opereranno in autonomia rispondendo del loro operato ai cittadini, alla Regione e alla magistratura contabile e ordinaria, svolga una funzione di serio controllo sul rapporto obiettivi/risorse/risultati. Questo è il compito della Regione. Compito che ha saputo svolgere soltanto nella ricostruzione post sisma, per poi tornare, nonostante quella positiva esperienza, al vecchio e attuale centralismo. Il federalismo è soltanto una parola se si ferma a Trieste e non scende giù a cascata sino al Comune di Ligosullo e se, addirittura, istituisce nuovi enti accentratori e burocratici quali gli Ato, che a Ligosullo, il quale la vuol continuare, negano la gestione autonoma di quel servizio idrico che ha sempre ben fornito ai suoi 250 abitanti.
Tutto questo è ben noto al presidente Tondo, il quale, se non altro per qualche reminiscenza della giovanile militanza socialista, dovrebbe sapere che la dialettica è tale per cui, per quanto ora furoreggino Brooke e i dajaki, i processi oggettivi, che i cattolici chiamano divina Provvidenza, fanno sì che ci siano comunque e sempre gli Yanez, i Sandokan e le libere Mompracem.
Per cui, dopo tanti furori, darsi una calmata e ordinare ai dajaki di rinfoderare le spade sarebbe cosa saggia.
*Consigliere regionale della IV legislatura, già sindaco di Cavazzo Carnico, dell’associazione “Movimento Mont per la montagna”

GIANNI NASSIVERA
Premetto che leggere le dichiarazioni di alcuni esponenti politici di maggioranza che manifestano la volontà di chiudere le Comunità montane fa emergere in me un senso di forte preoccupazione nel dover constatare che questa volontà, se attuata, rappresenterà un’ulteriore mazzata alla zona montana. Queste dichiarazioni evidenziano poca conoscenza storica e, di riflesso, culturale sulle motivazioni che hanno portato il Parlamento nazionale all’istituzione delle Comunità montane, nonché portano con sé una volontà disgregatrice e di basso profilo politico, fanno emergere una volontà accentratrice e personale anziché una volontà di essere più attenti nel far prevalere l’interesse collettivo e generale di un territorio – quello montano – che per motivazioni morfologiche, ambientali, climatiche e naturali è diverso dalla restante parte del territorio. Così facendo, contribuiscono e penalizzano ulteriormente il suo sviluppo e la sua economia nonché il vivere quotidiano della sua gente, inoltre trascurano completamente il principio fondamentale per cui più l’uomo è presente in montagna e più beneficio (e ciò per varie ragioni) incontrerà la restante parte della popolazione. È soprattutto per queste motivazioni e considerazioni che prima di chiudere le Comunità montane è auspicabile e necessario un momento di profonda e responsabile riflessione. Giustificare la chiusura di questi enti appellandosi al fatto che parti di essi non funzionano è un’affermazione che non regge, pur riconoscendo che la loro funzionalità è altalenante e non sempre va imputata all’immobilismo degli amministratori. Il problema reale sta nelle condizioni in cui sono chiamate a operare e amministrare, l’aspetto è dunque istituzionale, la legge istitutiva dello Stato, che vide come primo firmatario il carnico e compianto senatore Lepre, è stata, da parte della Regione, svuotata nella forma e nella sostanza; le norme applicative della Regione stessa hanno determinato e posto in atto un sistema elettivo farraginoso e dispersivo, incentivando la burocrazia e l’efficienza amministrativa rallentando non di poco il buon fine del proprio ruolo. A ciò vanno aggiunte scelte errate nell’individuare i territori montani: si è giunti al punto di ritenere zona montana il Carso triestino. Ma non facciamoci ridere, per favore! Tutto questo ha anche comportato notevole spreco di denaro pubblico ed eccessiva burocrazia, dunque sono necessari adeguati provvedimenti istituzionali, amministrativi ed economici a favore della vera montagna. Non chiudere le Comunità montane, ma farle funzionare, questo dovrà essere il compito della nuova maggioranza regionale. Fatta questa lunga premessa, è dovere suggerire alcune radicali modifiche al sistema elettivo e amministrativo che potranno trovare riscontro soltanto se ci sarà la volontà politica di farlo, cioè quella di tener viva la montagna: 1) nomina diretta dei suoi amministratori come per il consiglio provinciale (questa sì è un’amministrazione da chiudere visto che abbiamo una Regione a statuto speciale) prevedendo significative ineleggibilità per sindaci, assessori e consiglieri comunali (così si potrà evitare la spartizione della torta), nomine che non dovranno andare oltre il terzo mandato (quanto positivo se ciò fosse per i parlamentari!); 2) la nomina di non oltre 15 consiglieri – quantomeno per la Carnia – e un direttivo di non oltre cinque componenti; 3) il punto più significativo e importante: assegnargli i compiti e i mezzi economici che oggi hanno le inutili amministrazioni provinciali della nostra regione. Sono alcune considerazioni o indicazioni che mi auguro vengano tenute presenti soprattutto da parte di chi ipotizza la chiusura delle Comunità montane, con l’auspicio che assieme ad altre indicazioni o proposte di altri cittadini vadano discusse, auspicando una convocazione assembleare da parte delle Comunità montane stesse aperte alla partecipazione di quanti hanno a cuore le sorti della montagna, prima che tutto non venga deciso solo nelle ombrose stanze della Regione evitando così spinte provenienti dal basso e soprattutto da chi ama, vive, lavora in montagna.