Dogna: nidi fossili di Etosauro rovinati da una frana

Contrariamente a quanto filtrato nei giorni scorsi, nessun intervento umano (della Protezione Civile), ma molto probabilmente una frana ha danneggiato il sito della nidificazione di Etosauro di Dogna, che risalirebbe a ben 220 milioni di anni fa. Due nidi distrutti completamente, un altro danneggiato, la presenza di un cantiereavevano fatto ritenere che fosse stata proprio l’opera di una ruspa a rovinare, seppur inconsapevolmente e incolpevolmente un inestimabile patrimonio culturale studiato dagli scienziati e dalle università di tutto il mondo. La Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia, ricevuta la segnalazione da parte del paleontologo Fabio Marco Dalla Vecchia del danneggiamento, si è attivata immediatamente. Una comunicazione dell’accaduto perché fossero fermati i lavori è stata inviata alla Protezione civile regionale, ma questa non ha potuto fare nulla. «Per la semplice ragione – spiega il direttore regionale, Guglielmo Berlasso – che il cantiere in questione non è nostro. E il modo di procedere che adottiamo sempre nell’allestimento dei lavori, è quello di convocare la conferenza dei servizi dalla quale possono emergere questo tipo di questioni. Nel caso di Dogna, quindi, la Protezione civile non centra nulla. C’è da dire poi che il sito non è vincolato e che a noi, in ogni caso, nessuna segnalazione sulla sua presenza e sulla sua importanza era stata fatta. La Protezione civile si occupa di prevenire situazioni a rischio per la popolazione e il territorio, ma è sempre attenta e sensibile a tutti gli aspetti culturali e ambientali presenti».

Alcuni lavori di sistemazione di una frana a Chiout Zucuin, in effetti, sono stati avviati da pochi giorni dalla Direzione delle foreste (e non dalla Protezione civile come erroneamente segnalato dai palentologi e dal Comune e pubblicato ieri), ma il cantiere non riguarda direttamente la zona dei fossili, come ha stabilito una immediata e accurata indagine dell’ufficio. I forestali, intervenuti con sensibilità e celerità, hanno escluso come "non plausibile" un intervento delle macchine del cantiere, portato all’ipotesi del franamento naturale di una pare del sito, dimostrato anche da alcune fotografie scattate da appassionati un mese fa che mostravano il danneggiamento. La Soprintendenza ha comunque comunicato l’intenzione di realizzare al più presto dei calci dei nidi rimasti, per evitare ulteriori perdite e permettere lo studio dei fossili.

Lo straordinario patrimonio paleontologico del Friuli Venezia Giulia, che ne fa una delle regioni più importanti al mondo per la concentrazione e la varietà di fossili (si va da reperti di 450 milioni di anni fa fino alle epoche più recenti senza praticamente soluzione di continuità), vive comunque in uno stato di rischio continuo. Distribuito diffusamente sul territorio, soggetto nel bene (spesso sono frane e alluvioni a svelare i fossili) e nel male ai cambiamenti naturali, è minacciato dai molti cantieri di lavoro. Dall’altra parte è praticamente impossibile per un non specialista riconoscere, prima ancora dell’importanza scientifica, lo stesso fossile. Recentemente il Museo friulano di storia naturale di Udine, che ospita una notevole collezione di reperti rinvenuti sul territorio regionale, ha pubblicato un libro, di Fabio Marco Dalla Vecchia, nel quale sono illustrate tutti i giacimenti fossili finora conosciuti e la varietà delle specie esistenti e che costituisce un primo tentativo di censire i siti e di creare la sensibilità opportunità nell’opinione pubblica e le condizioni normative nelle istituzioni, perché vengano preservati e valorizzati.