E le chiamano morti bianche …

Ogni volta che c’è una morte sul lavoro campeggiano titoloni sui giornali. I politici si strappano le vesti e si battono il petto. Mele non si batte il petto, ma affoga il dispiacere nella coca, con chi del battere ha fatto un mestiere. Mastella per 20 secondi dimentica il referendum sulla legge elettorale e tutte le sue preghiere vanno a quei ragazzi morti nelle fabbriche; soprattutto prega che non votassero Udeur. D’Alema ha già deciso di dedicare a questi morti la sua prossima gita in barca vela e corre voce che cambierà il nome del suo tangone con quello del più giovane di questi lavoratori. Veltroni appenderà i loro ritratti in Campidoglio perché ora come ora in Afghanistan non ci sono giornalisti nelle mani dei ribelli. Ma in fondo, dicono dal centro-destra, potremmo anche essere stati fortunati: chi ci dice che questi operai non erano dei perversi omosessuali o conviventi e drogati. O addirittura dei comunisti?
In ultimo, i parroci che li hanno visti crescere dovranno dirci che questi operai sono andati in un posto migliore, quando per restare tra noi gli sarebbe bastato lavorare in un posto decente. Certo è che, al giorno d’oggi, il lavoro in fabbrica somiglia davvero a una nuova forma di suicidio. Ma non diciamolo troppo forte o a questi poveracci sarà negato pure il funerale religioso.

E continuano a chiamarle morti bianche … ma in queste morti di bianco non c’è mai niente.

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