Fabbro: non sarà una legge a salvare il friulano dalla fine, servono opere di vera cultura

Sono molto contento che Fabbro nell’articolo che riporto nel continua a leggere dica sostanzialmente cose che sostengo da tempo: io non ho mai creduto nella friulanizzazione delle opere (traduzioni di libri, doppiaggi);  un prodotto artistico per essere fortemente condiviso dal punto di vista culturale (e solo così la gente vi si può riconoscere) deve essere interamente realizzato ex novo, interamente originale e nascere in lingua friulana. Ecco perché le mie canzoni in marirelenghe sono completamente inedite nel testo e nella musica.

MICHELE MELONI TESSITORI dal MV di oggi
«Il friulano non è l’ebraico, l’unica lingua sopravvissuta in condizioni difficili e resuscitata dalla nascita di uno Stato. Per vivere poteva contare soltanto sulla cultura, ma ho l’impressione che in questi anni ci si sia limitati a scimmiottare quella italiana, e nel modo peggiore, e a tenere uno stile burocratico che ha scoraggiato gli autori di cui pure disponiamo. Senza quella spinta il friulano è spacciato, ma la morte è insita nella vita delle lingue come delle persone».<br />
La premonizione che non fa sconti alla retorica della Piccola Patria è del professor Franco Fabbro, neurolinguista dell’università di Udine, che alcuni anni fa aveva lanciato l’allarme scrivendo Il cjâf dai furlans, un saggio scientifico con taglio divulgativo edito da Kappavu che s’interrogava senza piagnistei, anzi con sano realismo, sul destino dell’amata marilenghe. Poi sono venuti gli anni dell’euforia e del fervore politico e amministrativo culminati, secondo i detrattori delle scelte pubbliche, nella difesa di qualcosa di distorto, di storpiato: il friulese.
«Non ero e non sono pessimista — spiega lo studioso – anzitutto perché un corpo vivo come una lingua segue il suo corso naturale e, se viene il momento della fine, non lo si può scongiurare. Poi perché si può sempre sperare di riunire insieme uomini di buona volontà, persone capaci e culturalmente valide che sappiano valutare che cosa non è stato fatto e che cosa si potrebbe ancora fare. Un momento di autocoscienza che può anche sembrare elitario eppure sarebbe una piccola rivoluzione salutare».
Il ragionamento di Fabbro parte dalla storica raccomandazione dell’Unione europea che affidò proprio a specialisti come il neurolinguista friulano il compito di redigere uno studio sulla Babele del Vecchio Continente.
– Considera quell’appello al plurilinguismo un’occasione perduta?
«L’Europa caldeggiava un’educazione plurilingue precoce che poggiasse sull’apprendimento di almeno tre idiomi di base a partire possibilmente dalla scuola dell’infanzia, appresi in maniera non scolastica, utilizzando le lingue invece di studiarle. Un’intenzione che investiva direttamente il friulano laddove si raccomandava lo studio e la conoscenza delle lingue minoritarie. Sono ancora convinto della validità di quell’intuizione sia dal punto di vista scientifico sia da quello culturale. Purtroppo questa proposta è stata disattesa da tutti gli Stati, compresa l’Italia, la Francia, la Germania e l’Inghilterra. Eppure quel suggerimento andava ascoltato perché è ormai ampiamente dimostrato che l’apprendimento di piú lingue non complica l’educazione e si poteva pensare che un europeo, avendo una buona conoscenza di tre lingue di base, potesse andare a studiare o lavorare in tutti i paesi della comunità contando sul fatto che in sei mesi è possibile assimilare la conoscenza essenziale di un altro idioma. Quella dell’Ue fu insomma la traduzione in concreto di una felice utopia».
– Il friulano come c’entrava?
«Il suo futuro è pensabile solo all’interno di un quadro educativo plurilingue al di fuori del quale ci si muoverebbe in un contesto criticabile che include sia l’insegnamento della marilenghe sia l’educazione linguistica delle scuole internazionali capaci a volte di provocare una vera e propria dissociazione culturale negli studenti. Trovo infatti assurdo mandare i propri figli a quelle scuole nelle quali l’insegnamento della seconda lingua è dominante a scapito della lingua madre: cosí facendo li si induce a pensare che l’idioma di appartenenza non valga granché e li si fa vivere in una dimensione culturale schizofrenica. È un errore che vedo compiere nelle famiglie di tutte le classi sociali e soprattutto in quelle piú elevate che sperano di dare ai loro figli un vantaggio mentre in realtà spesso producono problemi. Personalmente ho imparato molte lingue, ho vissuto all’estero e ho visto che un’educazione basata su scelte di puro calcolo, senza attenzione al contesto affettivo e culturale risulta spesso inappropriato. Può andare tutto bene, è vero, ma l’abbandono della lingua e della cultura da cui si proviene a vantaggio della conoscenza di una internazionale può produrre difficoltà dal punto di vista esistenziale e identitario. Questo non vuol dire che i giovani non debbano imparare bene molte lingue, infatti questi problemi non sorgono negli studenti che frequentano le nostre scuole e apprendono l’inglese o il tedesco. Sorgono laddove l’italiano è trascurato, reso marginale».
– Qual è lo stato di salute della marilenghe?
«Non ho bisogno di indagini demografiche piú o meno attendibili per constatare che il friulano è sempre meno parlato. La mia idea per salvarlo l’ho detta chiaramente alcuni anni fa nella mia raccolta di articoli Il cjâf dai furlans. Scrissi che la tutela della marilenghe passava soprattutto attraverso la realizzazione di grandi imprese di tipo culturale. Dieci anni fa mi immaginavo la produzione di bei film in friulano, di opere teatrali, di romanzi e di racconti che avessero una capacità di attrazione a un livello piú alto. Senza questo risultato, mi dicevo, il friulano era spacciato. E poiché la morte, come ho già detto, è insita nella vita vita delle lingue come delle persone guardavo con serenità a questo possibile esito. Oggi resto dell’idea che non sarà una legge a salvare la marilenghe. Ciò non si è mai visto. Se un idioma è giusto allo stadio terminale non si può far nulla…».
– Il friulano starebbe morendo di poca cultura?
«Le grandi opere non ci sono state neanche con l’impegno dell’Olf e poi dell’Arlef. E poiché solo l’ebraico è risorto grazie alla nascita dello Stato di Israele, visto che il Friuli non è e probabilmente non sarà mai uno Stato, l’unica via possibile era quella della cultura. D’altronde ammetto che è difficile sostenere gli artisti, i poeti, gli scrittori: quelli che si impegnano di piú per ottenere i fondi in genere sono i meno capaci, gli altri conservano le energie per seguire il loro cammino artistico, culturale ed esistenziale».
– Eppure buoni autori ci sono e ci sono stati.
«Pierluigi Cappello è un poeta di grandi capacità, uno come lui sostiene il friulano meglio di una legge. E anche Federico Tavan e Ida Vallerugo eccellono nell’uso di una lingua poco compromessa dalla pubblicità, che può rivelarsi una preziosa risorsa espressiva. Carlo Sgorlon, poi, è stato per lungo tempo una voce grandissima del Friuli e in Prime di sere ha saputo esprimere una poetica originale profonda. Ci voleva la possibilità che fossero gli artisti a fare le scelte fondamentali. Non mi pare che Olf e Arlef abbiano provveduto, non sono riusciti a essere il motore pulsante. Anzi, prima dell’istituzione dell’Agenzia, la gente creava opere culturali per conto proprio come poteva, e a mio avviso ottenendo risultati migliori».
– Insomma, la burocrazia ha spento ogni iniziativa?
«Penso che bisognerebbe svincolare quelle strutture dagli interessi politici e darle in mano a persone di spessore culturale. Ci vorrebbe una piccola rivoluzione, invece mi pare che finora la cultura friulana abbia, come ho detto, scimmiottato quella italiana e nella maniera peggiore: certi autori hanno ripiegato nella pubblicazione di proprie opere in friulano visto che non erano in grado di farlo nella lingua nazionale. E le mediocrità sono lievitate. Le grandi opere sono qualcosa che incanta in qualsiasi lingua le si scriva. Nel caso del friulano, invece, si è finito con il generare cose molto dozzinali».
– Eppure l’Agjenzie Regjonâl pe lenghe furlane ha prodotto il grande dizionario della lingua?
«Ma è mancato il ragionamento pratico, direi di stampo anglosassone. Un vocabolario si può fare seriamente in poco tempo oppure in modo burocratico e perdere numerosi anni. Non si è fatta una scelta pratica e ciò ha comportato molti problemi, a cominciare dalla grafia».
– Si è sbagliato tutto?
«Io non condivido le osservazioni di Gianni Nazzi, che ha le sue idee, ma la grafia scelta poteva essere molto piú semplice. Invece si è voluto insistere sugli accenti complicando l’apprendimento sia ai bambini sia agli adulti. Ho insegnato per anni linguistica, so quello che dico: non esiste un modo scientificamente stabilito di trascrivere una lingua, non ci sono regole precise; dunque si poteva puntare sulla semplificazione e agevolazione della scrittura».
– Tutto è perduto?
«Penso che bisognerebbe riunire i pochi politici veramente interessati e le persone di buona volontà in grado di formulare alcune proposte. Sarebbe un momento di autocoscienza, potrei dire, che coinvolgerebbe persone di grande spessore culturale, sull’esempio di Pierluigi Cappello e di altri che abbiano fatto cose culturalmente valide. I teorici li accantonerei del tutto».
– Insomma lei propone una sorta di Stati Generali del friulano?
«In un certo senso è cosí, anche se so che chi fa cultura concentra le energie per elaborare le proprie opere. Lavorare per il bene comune è un grande sacrificio e se non se ne vede l’ultilità si lascia perdere. Tuttavia il destino di una lingua non è mai segnato a priori. Pensi all’esempio glorioso dell’italiano. In un arco di tempo storico luminosissimo in Toscana compaiono Dante, Leonardo, Galileo, Boccaccio, Machiavelli: se non ci fossero stati loro l’italiano avrebbe conosciuto ben altra sorte, in fondo».
– Anche la politica può fare qualcosa?
«Un tempo era contraria, oggi è neutrale, ma sostanzialmente rimane indifferente. Pensa probabilmente che i veri problemi siano altri».
– Potrà farlo la scuola?
«Non è bastata a favorire l’unità nazionale, figurarsi se potrà far sopravvivere una lingua minoritaria. Chi ci crede è un ingenuo o un illuso».
– Eppure in questi anni si è assistito a un risveglio di attenzione e di attività a favore della marilenghe?
«Bisogna vedere se era reale o soltanto una moda. Oggi, come noto, tutto viene usato e manipolato».

2 Risposte a “Fabbro: non sarà una legge a salvare il friulano dalla fine, servono opere di vera cultura”

  1. Non credo che col friuano ci si arrichisca. Per cui l’illazione che fa Fabbro che la mediocrità si è servita del friulano per arraffare i soldi mi pare gratuita.
    Se qualcosa non si è fatto a mio avviso è perchè i friulani non sono in grado di farlo.
    Per quali motivi? A cercare ce n’è di che riempire pagine.
    Potrei dire perchè sono stati diseducati a farlo, certamente, perchè sono presi da beghette di cortile, anche, perchè a tanti non intressa, sicuro, e così via.
    Credo però che la vocazione autolesionista sia ben rappresentata: abbiamo mostrato come siamo ben in grado di farci del male, e ci riusciamo molto bene. A cominciare da Fabbro.

  2. Mandi Vigji

    penso tu ti riferisca in particolare  alla frase "quelli che si impegnano di piú per ottenere i fondi in genere sono i meno capaci".

    Al di là della capacità o meno, la mia esperienza però mi porta a dirti questo: io realizzo i CD con le mie canzoni finanziandomeli autonomamente, da solo senza alcun contributo da parte di nessuno. Domanda: chi ottiene i finanziamenti (di solito non gli artisti direttamente, ma attraverso altre "organizzazioni" che poi commercializzano) mi fa concorrenza sleale?

    Oppure toccherebbe anche a me cercare di ottenerli, ma dato che la giornata è fatta di 24 ore e magari uno nn ha voglia perchè a lui piace comporre e non fare altro, cosa resta da fare? Dovrei rivolgermi ad una di queste organizzazioni che lo fanno abitualmente; e forse è a questi che si rivolge Fabbro. 

    Una volta stabilito questo, ovviamente chi comunque non passa attraverso di loro viene anche emarginato da tutta una serie di manifestazioni o promozioni che le organizzazioni giustamente fanno per promuovere le opere che producono con i finanziamenti. Quindi di fatto o stai con loro oppure vieni considerato in qualche modo … da contrastare.

    D’accordo con Fabbro anche che Olf prima e e Arlef poi, non sono riusciti a essere il motore pulsante della produzione d’opere. L’Arlef poi prevede dei componenti a nomina politica, sulla carta il suo ruolo dovrebbe essere chiaro, ma anche lì a parte qualche convegno, risultati + di tanto nn traspaiono.

    Attorno a questo universo mondo poi ci sono vari attori che a vario titolo possono influire sulle cose che fai: la mia esperienza riguarda alcuni giornalisti che spesso si mettono li a fare una dissertazione e un elenco completo su quelli che sono gli artisti (del settore musicale in questo caso) o dovrebberlo esserlo del Friuli: guarda caso io nn compaio mai e spesso amici o fan mi chiamano per chiedermi come mai non vengo citato. Ala fine non cambia molto, ma questi signori nei loro articoli, riescono a far passare i messaggio ai loro lettori che se non sei citato li non sei abbastanza … artista e questo non è giusto ne corretto deontologicamente.

    Nei lavori che faccio ho sempre cercato di essere innovativo: le curte sono una intersezione tra giornalismo e musica, negli album concept tutti i brani sono legati ad un unico tema ecc. Ma evidentemente se non fai riscuotere contribuzioni a vario titolo a qualcuno … non esisti.

    Per quanto riguarda la tua ultima frase "la vocazione autolesionista sia ben rappresentata: abbiamo mostrato come siamo ben in grado di farci del male, e ci riusciamo molto bene a cominciare da Fabbro" sono d’accordo con te, ma mi pare che Fabbro fotografi una situazione, non cerchi ultriori polemiche.

I commenti sono chiusi.