Friuli: 34 anni senza Pier Paolo

di PAOLO MEDEOSSI

All’alba del 2 novembre 1975, trentaquattro anni fa, una donna scoprì nell’idroscalo di Ostia il corpo martoriato di Pier Paolo Pasolini. Era nato a Bologna il 5 marzo 1922 e pochi giorni dopo fu sepolto nel piccolo cimitero di Casarsa, il paese della mamma, Susanna Colussi, che in seguito venne sepolta vicino a lui. Accanto alla loro tomba c’è quella del fratello, Guido, ucciso a Porzus nel 1945.
Sono tutte date note, soprattutto dalle nostre parti, a partire da quel 2 novembre, un giorno estremamente emblematico che ha alimentato varie ipotesi sulle circostanze dell’uccisione del poeta, attorno al quale nel tempo, man mano che passava, si è assistito a una sorta di beatificazione postuma, tanto che Goffredo Fofi, in occasione del trentesimo anniversario della morte, nel 2005, scrisse sul Sole 24 ore: «Ai funerali di Pasolini Elsa Morante gridò “non si ammazzano i poeti” e Moravia disse che era stato ucciso “un patriota”, che la sua patria non aveva saputo riconoscere, accettare, amare. Poeta in senso pieno e coinvolto, quasi ottocentesco, e patriota lo stesso, l’esistenza di Pasolini si è misurata fra queste due qualità vivendone fino in fondo le contraddizioni. Che furono tante e non vanno dimenticate ora che, decenni dopo, si va facendo di Pasolini una sorta di generico santino da parte di una cultura molto ipocrita, incapace di nessuno dei suoi slanci e azzardi, e litigiosa solo attorno a modi diversi di intendere l’accettazione delle regole date, il massimo conformismo rispetto al presente. Una cultura molto televisiva e mediatica, che ha portato all’estremo le tendenze denunciate da Pasolini».<br />
Forse proprio per questi motivi elencati da Fofi il ricordo cinematografico più bello e intenso di Pier Paolo resta uno spezzone di film da brivido, ma senza parole. Lo realizzò Nanni Moretti in Caro diario nel 1993 dove si vede il regista, dopo aver girato in Vespa in una assopita Roma da domenica mattina, dirigersi verso il litorale accompagnato dalle struggenti note suonate al pianoforte da Keith Jarrett per il celebre The Koln concert. Una decina di minuti straordinari per arrivare infine sul luogo del delitto, in una zona desolata, davanti al monumento sbrecciato che ricorda l’atrocità di quella notte. Non c’è appunto alcun commento e la suggestione lirica di queste riprese rappresenta forse il momento più alto e vero nel cinema morettiano.
Ma se in tempi recenti Pasolini ha subìto questa “santificazione”, con un fervore sospetto esercitato da ogni parte politica (sinistra, destra e centro), va anche ricordato che non sempre è stato così, come chi ha qualche annetto rammenta bene. Non per niente in vita il poeta dovette affrontare oltre una trentina di processi, da cui uscì indenne, ma che lo fiaccarono, mentre la sua stessa morte venne accolta con evidente imbarazzo e forse con sollievo dalla cultura ufficiale. Lo “sdoganamento”, come si usa dire con brutta parola, cioè il tentativo di normalizzare l’intellettuale corsaro, controcorrente sempre e comunque, cominciò alla grande nel 1995 per i vent’anni dalla morte, quando sulle celebrazioni, organizzate in una sorta di gara a Roma e in Friuli, i due poli principali della vita di Pasolini, si aprì anche una accesa polemica. A tuonare contro fu a esempio il pittore Giuseppe Zigaina, amico sincero di Pier Paolo, che dichiarava al Corriere della sera: «È vergognoso. È soltanto una grande sagra, un vero baraccone perché le amministrazioni di ogni colore hanno sempre schifato la figura di Pasolini… Dopo venti anni di silenzio e di assoluta rimozione ora si mette in piedi questa sagra strapaesana. Il consumo di Pasolini è ributtante».
Comunque, quelle iniziative, quelle celebrazioni si tennero e non sempre con significato propagandistico o strumentale. Basti pensare allo straordinario recupero, avvenuto proprio nel 1995, del testo teatrale I Turcs tal Friul da parte del regista Elio De Capitani. Un’operazione assolutamente rispettosa dell’autore, seguita poi da altri intelligenti interventi, in ambito teatrale o musicale.
Per leggere Pasolini in maniera approfondita, non agiografica, anche critica, esiste un altro strumento che ha visto la luce proprio qui in Friuli, ma che stranamente, nella valanga di testi dedicati al poeta di Casarsa, passa sempre inosservato, o quasi. Si tratta del libro Pasolini riveduto e corretto, scritto dal professor Gianfranco D’Aronco per l’editore Vattori ancora nel 1990. Un volume che non ha mai suscitato troppo entusiasmo da parte degli intellettuali in regione e che pure fornisce, al di là dei giudizi, anche utili informazioni di prima mano su Pasolini, al fianco del quale D’Aronco si battè nel secondo dopoguerra per l’autonomia friulana.
Il fatto interessante è che l’autore, andando in contro tendenza rispetto al clima che appunto puntava all’esaltazione e alla celebrazione, ha voluto dare alla figura di Pier Paolo uomo e poeta dimensioni più reali mettendone in rilievo senza reticenze o senza esagerazioni lati positivi e negativi, e soprattutto la contraddittorietà costante attuata da chi poneva la contestazione e la trasgressione come regola di vita quotidiana.
«Il peggior nemico di Pasolini – scrive come premessa D’Aronco – è stato Pasolini. Gradatamente portandosi, dopo la primavera di Casarsa, su posizioni sempre più estreme, sempre più contestatrici, sempre più arrabbiate, Pasolini ha alla fine soffocato la poesia, trasformandola in polemica; ha ridotto le pagine liriche in pagine comiziesche. Un cattivo servizio gli hanno poi reso troppi biografi e agiografi, esasperando per amor di parte o di partito l’assurdo, che per Pasolini era materia consueta. Per cui il negativo è presentato come positivo, e il vizio come virtù. Solo che, mentre chi scrive su Pasolini rimane quasi sempre nella prosa, Pasolini è poeta. Ed è il poeta della contraddizione permanente… Pasolini uomo, discusso e discutibile, era solo un corpo che racchiudeva un’anima. E quest’anima è rimasta viva, nonostante i suoi attentati a sé medesimo e nonostante le speculazioni degli amici interessati. E rimane, per fortuna, la sua poesia».
Si può anche non essere d’accordo, ma si tratta pur sempre di un punto di vista con il quale fare i conti. Fondamentale poi appare il capitolo sul rapporto fra Pasolini e l’autonomia friulana, vissuto poi nel doppio ruolo di comunista e autonomista, che a quel tempo non aveva altri esempi. Insomma, riveduto e corretto, non per sminuire, ma nemmeno per enfatizzare a vanvera. «In definitiva – dice D’Aronco – questo è un Pasolini senza miti e soprattutto senza mitomani».

Una risposta a “Friuli: 34 anni senza Pier Paolo”

  1. Un semplice commento: giusto il passaggio "Era nato a Bologna il 5 marzo 1922 e pochi giorni dopo fu sepolto nel piccolo cimitero di Casarsa, il paese della mamma…" a prima lettura pare che dopo la nascita fu sepolto…
    Giusto un appunto. Ciao, Anna.

    P.S. non ho un blog

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