Friuli: le tradizioni in cucina per Ognissanti

di CRISTINA BURCHERI
Ognissanti e il giorno dei Morti aprono il tempo d’autunno. Di questo passaggio scriveva Valentino Ostermann (1841-1904) ne “La vita in Friuli”, raccolta di tradizioni popolari edita nel 1894. Ostermann ci informa: «Il sagrestano e coloro che lo aiutavano a suonare le campane in quella notte (la notte tra il 1º e il 2 novembre)  mangiano gnocchi o vitello stufato colla polenta calda, e bevono il vino raccolto nella questua fatta dopo la vendemmia». Il folclore regionale dei primi giorni di novembre ha conservato per lungo tempo aspetti che riportano ad antichi riti pagani, in particolare al Capodanno celtico con cui condivide il rispetto e l’ospitalità nei confronti delle anime dei defunti-antenati. I defunti, nel Friuli di una volta, si nominavano con estremo rispetto. Costante era anche il pensiero dei suffragi di cui potevano abbisognare. Un tempo era cosa abbastanza comune appartenere a qualche confraternita religiosa che aveva l’obbligo di far cantare una messa di requiem per ogni confratello trapassato. Gli iscritti inoltre erano obbligati a presenziare al rito funebre recitando preci in suffragio del morto. Ostermann descrive così il 2 novembre friulano di fine Ottocento: «Nei villaggi si recita in chiesa il rosario, nei centri di qualche importanza il clero gira per il camposanto cantando meste salmodie, seguito da una schiera di gente taciturna e piangente, che evoca il ricordo di quei cari da cui si sente per sempre divisa». Il cibo rituale in questi giorni di passaggio era a base di farinacei: «A Collina erano di prammatica gnocchi – scriveva Andreina Nicoloso Ciceri in “Tradizioni popolari in Friuli”, Chiandetti Editore –, a Ravinis la polente cuinzade, a Prato Carnico si lasciavano pronte acqua e farina affinché i morti stessi si facessero la polenta». Ancora da Ostermann si apprende: «In qualche paese e nelle città si mangiano certo pasticcini detti favetis dei muarz che forse sostituiscono simbolicamente le fave cotte imbandite nelle agapi di altri tempi. Nelle campagne però non si è arrivati per anco a codeste delicatezze – si affretta ad aggiungere lo studioso concludendo – e mentre alcune famiglie mangiano ancora la minestra di fave, altre vi sostituiscono le lenticchie, altre i fagiuoli». <br />