FRiuli: Calligaris e il 2010, l’anno della ricostruzione

RENATO D’ARGENIO dal MV di oggi

«Niente sarà pù come prima». E’ stata la frase più scritta, letta e detta dopo l’11 settembre 2001. Il crollo delle torri gemelle del World Trade Center di New York ha cambiato gli equilibri internazionali, ha cambiato molte abitudini sociali, in tutto il pianeta. La stessa frase, oggi, la utilizza il presidente di Confindustria Fvg, Alessandro Calligaris, guardando a cosa resta sotto il crollo dell’economia mondiale e locale. L’anno appena concluso potrebbe essere paragonato a quell’11 settembre. L’anno appena iniziato è quello della ricostruzione.  Quello della ripartenza, anche se nulla sarà uguale a prima e anche se non sarà rapida.<br />
Presidente, che anno è stato il 2009?
«E’ stato l’anno che ha confermato la gravità della crisi economica. L’anno che ha modificato tutti gli schemi del passato. Prima ci muovevamo in un mercato euforico, fatto di consumi elevati, alle volte inutili. Un mercato e un mondo in cui i nostri giovani si sono ritrovati in tasca i soldi fatti dai padri e dai nonni. Giovani che hanno percorso una strada in discesa; che sono partiti da uno scalino superiore, sicuramente più comodo, ma più pericoloso. Per anni si è speso; si è chiesto al mercato tutto e il contrario di tutto. Il 2009 ha spazzato via tutto questo. Il 2009 ci ha consegnato un mondo pragmatico, più competitivo, più selettivo. In cui i nostri giovani dovranno, anche, adeguarsi a fare i lavori umili dei nonni».
Che anno sarà, allora, il 2010 per i lavoratori del Friuli Vg, ma soprattutto per gli 8 mila in mobilità? Pensa ci possa essere la possibilità di riassorbirli?
«Saranno molto poche le aziende che avranno la possibilità di riassorbire tutto il personale in mobilità. Proprio perchè i consumi non torneranno ai livelli passati. Il sistema occupazionale è, inevitabilmente, legato a questo aspetto. Le aziende che riusciranno a restare sul mercato potranno ripristinare soltanto alcuni posti. Nei prossimi due o tre anni ci sarà un ricollocamento di tutta la forza lavoro, in funzione delle nuove attività che si dovranno ricercare e si creeranno sul territorio. Ricollocamento che forse andrà a scapito degli immigrati, persone che hanno occupato spazi lasciati liberi dai nostri giovani».
Ma se il tasso di mobilità è destinato a restare elevato, servono fondi per garantirla.
«Diventa decisivo uno sforzo particolare da parte dello Stato e della Regione per incrementare la disponibilità finanziaria a favore degli ammortizzatori sociali. Ammortizzatori che, comunque, rischiano di non essere sufficienti per tutte quelle persone che quest’anno saranno senza lavoro. Ma serve anche una riqualificazione del personale; servono iniziative di “recupero”».
Tema, questo, a lei caro.
«Quando sono stato eletto presidente, ho messo il problema della disoccupazione e della solidarietà fra le priorità da affrontare. Ho proposto il sistema dei voucher anche per l’Industria, ma non sono stato ascoltato. Oggi, e in questa situazione, va ridiscusso. Ci sono professionalità ferme che potrebbero essere rimesse in moto proprio da strumenti come i voucher».
Dai lavoratori alle aziende: cosa serve al sistema produttivo Italia per ripartire?
«Un costo del lavoro e dell’energia più bassi. Ma non basterebbe. Serve defiscalizzare la ricerca, gli investimenti e sburocratizzare il sistema. Servono infrastrutture. Soltanto così possiamo restare al passo con il nuovo mondo. Ma non è tutto: dobbiamo essere più vicini ai mercati; va ridotta la distanza fra catena produttiva e distribuzione».
Si spieghi meglio.
«Innovare è indispensabile, ma non basta. Va modificato anche il sistema della distribuzione. Servono alleanze con la grande distribuzione e nello stesso tempo bisogna “presenziare” i mercati. Le aziende devono avere la forza di aprire proprie strutture di vendita in tutto il mondo».
Lei ha parlato di costi energetici elevati. Qual è la sua posizione sul nucleare e sull’impegno del presidente Tondo per la centrale slovena di Krsk.
«L’unica energia capace di soddisfare le richieste dell’Industria, e non solo, è quella nucleare. Sia chiaro: non sono contrario alle energie alternative, anzi, ma mettono a disposizione poca potenza. Oggi si possono costruire centrali sicure. E non importa dove. Cernobyl ci ha insegnato che la distanza, in caso di incidenti, è relativa. Quindi che sia a cento o mille chilometri cambia poco. Certo non le si fanno in centro città, ma vanno fatte. Bene quindi fa Tondo a incentivare le relazioni fra Enel e Slovenia per il rinnovo della centrale di Krsk, sia perchè può migliorare l’aspetto sicurezza sia perchè ci può garantire energia a costi inferiori».
Presidente, la ripresa impone un gioco di squadra e in questa squadra “gioca” anche il sistema del credito. Cosa si aspetta dalle banche?
«Maggiore disponibilità. Più coraggio. Oggi le banche chiedono più garanzie di sempre. Hanno paura a fare credito. Non ce lo possiamo permettere; anche gli istituti di credito devono fare un passo indietro, assieme a tutto il sistema, e rischiare di più. Devono fare la propria parte, che vuol dire – come ripete da mesi la nostra presidente, Emma Marcegaglia – non guardare esclusivamente i numeri, ma la storia e i progetti delle aziende. I bilanci 2009 non saranno quelli degli anni precedenti, quindi anche le banche devono avere la forza e il coraggio di investire sulle idee. Ma il problema, oggi, non riguarda esclusivamente gli istituti di credito».
Sta pensando alle assicurazioni?
«Sì. Quello assicurativo del credito è un altro sistema su cui ci basiamo per garantire le vendite, nei Paesi esteri e in Italia. Oggi tutte le assicurazioni stanno tirando i remi in barca e questo è un problema grandissimo. Le aziende non solo fanno i conti con la mancanza di ordini, ma anche con il rischio solvibilità dei pochi clienti. Un altro rubinetto che non può essere chiuso è proprio quello delle assicurazioni».
Un “rubinetti” molto importante è stato aperto dalla Regione Fvg con il piano anticrisi da 450 milioni. Funziona?
«Non è ancora entrato a regime completamente. Anche in questo caso facciamo i conti con le ristrettezze di alcune banche e la burocrazia: le richieste sono molte e le attese si allungano».
In questo quadro cosa si aspetta dal 2010?
«Non mi aspetto grandi performance. La ripresa sarà lenta. Quest’anno servirà a tutte le aziende per rimodellare la produzione; per trovare l’equilibrio indispensabile per rilanciarsi sui mercati, che, però, non ci daranno soddisfazione nel breve. Nel frattempo dovremo lavorare con fermezza e attenzione con il sistema sindacale, con le banche, con la politica locale e nazionale. Dovremo fare una squadra capace di ridare fiato ai consumi e agli investimenti. Tutti assieme dobbiamo fare un passo indietro e rivedere le nostre posizioni. Tutti compreso il mondo della scuola».
«Una scuola sempre più lontana dal mondo del lavoro», era una delle preoccupazioni anche del suo predecessore, Adalberto Valduga.
«La scuola ha, oggi, scarsa attenzione del sistema economico del Paese, ma non può più essere così. La qualità dei nostri prodotti si costruisce proprio a scuola. Non servono migliaia e migliaia di laureati, ma servono laureati eccellenti. Servono università a numero chiuso; servono sinergie fra gli stessi istituti. Ma ancor prima, serve una scuola con una formazione unica almeno fino ai 16 anni. Oggi la divisione fra percorso umanistico e tecnico avviene troppo presto».
Qual è la sua ricetta per far ripartire un’azienda?
«Innovazione del prodotto e, come dicevo prima, mercato più corto. Poi, collaboratori preparati e coinvolti nel processo di crescita. Processo che mette fra le priorità annuali la riduzione dei costi, ma anche un premio a tutti i collaboratori».
E il suo suggerimento al mondo politico?
«Mi rendo conto che dev’essere umiliante essere oggi nella posizione in cui è difficile decidere perchè non c’è la possibilità di decidere. Ossia, le scelte passano attraverso mille filtri. Ecco, quindi, che il suggerimento è quello di sburocratizzare il sistema, a tutti i livelli».
Sburocratizzazione può voler anche dire meno tasse?
«Certamente. Le imposte si possono (e si devono) ridurre nel momento in cui si crea un sistema molto più snello e trasparente. In questi giorni si parla molto dello “scudo fiscale”. Miliardi che rientrano in Italia. Benissimo, ma non possiamo vivere di questo. Ora serve un sistema capace di mantenere nel Paese quei capitali. E per riuscirci il cittadino ha bisogno di certezze; di poche leggi e di non essere tartassato. Ha bisogno di risposte rapide».
Presidente, nonostante le molte difficoltà fin qui accennate, è più ottimista o pessimista per l’economia del Friuli Vg?
«Viviamo in una regione in cui abbiamo sempre avuto una grande forza-lavoro; abbiamo idee e persone capaci di competere in tutto il mondo. Non ci deve mancare l’entusiasmo, sia da parte dei lavoratori sia dei politici sia dei capitani d’impresa. E poi il futuro non riguarda soltanto le nostre situazioni, ma anche quelle dei nostri figli. A loro dobbiamo dare indicazioni sui valori e sulla formazione professionale. E anche da questo dobbiamo trarre forza per ripartire».