Friuli: il maiale segna il mese di gennaio nella tradizione

di CRISTINA BURCHERI
«Nei calendari medievali scolpiti nella pietra delle cattedrali (come a Modena, a San Benedetto sul Po o su un paliotto d’altare del duomo di Mantova) il maiale segna il mese di gennaio, januarius, Janus, la porta dell’anno, dove il 17 cade la festa di sant’Antonio». Stefano Scansani in “Fenomenologia del maiale” (Tre Lune Edizioni, 2006) ci conferma che la tradizione dell’ammazzamento del maiale – coincidente «con la stagione più densa di memorie di santi della prima ora, ovvero dei primi secoli (dicembre-gennaio)» – ha caratteristiche comuni in diverse regioni del Nord Italia  Così l’associazione tra sant’Antonio Abate e quest’animale è salda da noi – nel Friuli contadino in particolare – come nel Mantovano.<br />
Nel Friuli di una volta, come testimoniava a fine Ottocento Valentino Ostermann dalle pagine del volume “Vita in Friuli” (Edizione anastatica Del Bianco Editore), l’abate santo è il protettore dei viaggiatori oltre a essere invocato per guarire dalla malattia cutanea chiamata “fuoco di sant’Antonio”. Ma sant’Antonio abate è soprattutto protettore degli animali, specialmente dei suini: del purcit. Sant’Antoni di genâr (da non confondere con sant’Antonio di Padova che si festeggia il 13 giugno), è infatti ricordato come sant’Antoni purselùt.
Sempre Ostermann riporta che in molti villaggi friulani si tramandava l’antica usanza del maiale detto “di sant’Antonio”. La chiesa acquistava un maialino che, con un campanello al collo, girava indisturbato per il paese. I paesani lo nutrivano e vigilavano sulla sua incolumità. Incolumità garantita fintanto che la bestia diveniva sufficientemente grassa e allora si metteva al lotto. Il ricavato andava alla chiesa. Da tale usanza nacque il detto l’è come il purcìt di sant’Antoni per indicare chi va bighellonando tutto il giorno a scroccare un po’ qua un po’ là.
«Attraverso sant’Antonio dalla barba bianca (date a noi quel che se manca), il maiale ha trovato una forma e un veicolo di riscatto, addirittura di difesa». Riflette Scansani proseguendo: «Nelle ore gelide tra il 16 e il 17 gennaio la civiltà agraria proponeva nell’immaginario una notte straordinaria, tutta votata al protettore degli animali domestici e delle strutture rurali. Una notte nella quale le bestie parlavano tra loro con lingua umana. Una notte durante la quale i bipedi (gli uomini) non potevano entrare nelle stalle, origliare nelle porcilaie, adocchiare i pollai, mettere il naso nelle conigliere, pena la morte subitanea».