Friuli: intervista a Gian Andrea Cescutti sullo stato dell’archeologia in Regione

di Aurora Milan
Liceo linguistico Percoto

Una volta qualcuno disse che la storia rappresenta le origini del nostro futuro, non è fatta solo di pesanti volumi e date a non finire ma anche di testimonianze concrete di cui l’Italia è piena. Ma il trascorrere del tempo non perdona e, proprio per questo, c’è da domandarsi se facciamo il possibile per preservare il nostro patrimonio. Tesori che sono ora messi a rischio anche dai tagli ai finanziamenti effettuati in tempi di crisi come quelli attuali. Avvenimenti come il crollo della Domus Aurea, dovrebbero indurci a riflettere. Per non trarre conclusioni affrettate, abbiamo intervistato un esperto Gian Andrea Cescutti, presidente della Società friulana di archeologia , che ha accettato gentilmente di rispondere alle nostre domande:
In che stato si trovano oggi in regione le tante opere riportate alla luce?
«I resti archeologici in Regione si trovano in stato di incuria e trascuratezza. Ad Aquileia o Zuglio, le due zone archeologiche monumentali per eccellenza in Friuli, per esempio, mancano cartelli esplicativi e itinerari. I restauri o non ci sono, o sono stati fatti molti anni fa e si devono rifare con nuove tecniche, perché anche la scienza del restauro si è evoluta. È una questione di fondi, ma anche di volontà».
Quanto materiale avete scoperto e quanto si potrebbe ancora trovare?
«Dipende dal sito in esame. Per esempio i reperti esposti al museo di Attimis provengono al 90% dagli scavi al castello medievale del paese e c’è ancora molto materiale da studiare. Così dicasi per il museo di Codroipo, che è stato aperto dopo i nostri scavi nella zona. Molti altri reperti da noi trovati nei tanti scavi fatti in territorio friulano sono finiti nei Civici Musei di Udine o in Soprintendenza. Considerando il Friuli come lo “zerbino” d’Italia, cioè la zona da cui sono entrati e usciti tutti, in molti hanno lasciato tracce. Non dimentichiamo i barbari e soprattutto i romani, in una regione fortemente romanizzata fin dal II secolo a.C.. Anche l’altro giorno abbiamo trovato tracce di un insediamento romano».
Quanto materiale è stato ritrovato, ma non è visibile al pubblico?
«Circa il 90% del materiale ritrovato non è esposto al pubblico. Questo perché non tutti i reperti meritano la bacheca in museo, ma sono comunque una testimonianza preziosa e vanno conservati. La storia si scrive di più con le decine di migliaia di frammenti che con pochi preziosi pezzi esposti nei musei. Il ridotto spazio espositivo fa sì che questi vengano di volta in volta esposti nelle condizioni opportune».
Sono stati fatti dei tagli ai fondi, in quanto sono quantificabili e che effetti hanno provocato sul vostro lavoro?
«I tagli continuano e sono arrivati all’80% con effetti devastanti sul lavoro, già aleatorio, degli archeologi. Esattamente il contrario di quello che si dovrebbe fare, dato che abbiamo il più grande patrimonio storico-artistico-archeologico del mondo. Ma quella che dovrebbe essere la prima azienda produttiva nazionale, quella turistico-culturale, in realtà annaspa all’ultimo posto».
Alla luce dei tagli è ancora possibile organizzare nuovi scavi? O fare l’archeologo si è ridotto a contribuire a mantenere quello che c’è?
«Organizzare nuovi scavi sta diventando un’impresa impossibile. La Società friulana di archeologia è in difficoltà, ma si salva essendo una Onlus, perciò i costi di uno scavo si riducono, poiché pesano unicamente sulle spalle dei volontari, archeologi compresi. Una risorsa , quella dei volontari, che lo Stato, non considera. I pochi archeologi di ruolo oggi esistenti, perché lo Stato non assume più, operano al mantenimento di quello che c’è. Sempre che ci siano fondi anche per questa operazione».
Che ruolo ricopre la Regione nel fornire fondi? Attualmente ne usufruite?
«La Regione concede alla Società un contributo, che varia di anno in anno – o può anche non esserci – in seguito a domanda fatta ad hoc. I fondi possono anche non esserci e vengono dati in base a progetti presentati, che devono essere accettati. Generalmente i contributi non coprono mai il 100 % delle spese che devono essere tutte rendicontate».
Se poteste lavorare a pieno regime quanto ancora si potrebbe scoprire?
«Il settore delle Belle arti è una macchina in folle, con il motore che borbotta, per mancanza di fondi e a volte di volontà. Se i Beni culturali avessero i fondi che si meritano sarebbero la prima industria italiana a dare molto lavoro».