Friuli: la cultura tagliata


di PAOLO MEDEOSSI

Gli attori sono scesi in piazza a Trieste per far sentire la loro voce in modo compatto come finora non era mai accaduto. L’associazione regionale dei teatri giorni fa a Udine, in maniera trasparente, ha raccontato tutto del settore, fra contributi finora presi da Regione e Stato, incassi, spettatori, numero di dipendenti fissi e saltuari, facendo capire che questo mondo rischia adesso di chiudere nel Friuli Venezia Giulia , di spegnere le luci, se i tagli prospettati ai finanziamenti sono quelli indicati. Abbiamo già scritto che la Regione, nell’ambito di una manovra che vuole risparmiare 260 milioni di euro nel 2010, toglierà al comparto culturale 23 milioni, passando dai 49 del 2009 a 26, con una sforbiciata tremenda del 46%. Le proteste più vibranti sono finora arrivate dal mondo dei teatri che in regione dà lavoro a 92 dipendenti stabili più 377 scritturati e 65 collaboratori per un totale di oltre 500 persone. Alcune cifre: lo Stabile del Fvg passerà da un milione e 200 mila euro a 900 mila, il Verdi di Trieste da 2 milioni e 820 mila a 2 milioni 115 mila, il Giovanni da Udine da un milione 150 mila a 865 mila, l’Ente regionale teatrale da 950 mila a 850, il Css di Udine da 750 mila a 570 mila, il Verdi di Pordenone da 900 mila a 675 mila, il Mittelfest da un milione e 200 mila a un milione e 80 mila, il Verdi di Gorizia da 400 a 300 mila. Una cura drastica e letale per il nostro sistema teatrale che, nelle sue varie realtà, organizzative e di produzione, comprende oltre trenta stagioni di prosa disseminate sul territorio. Un quadro quasi unico in Italia, vista la dimensione del Fvg che non conta nemmeno un milione e 200 mila abitanti. Basta ricordarsi cos’era la situazione a inizio anni Ottanta quando esisteva lo Stabile a Trieste e c’erano le stagioni solo nei capoluoghi di provincia. L’esplosione è avvenuta con la nascita di esperienze come la Contrada, il Css, A.Artisti Associati, l’Ert e con la ristrutturazione di tanti teatri, il più recente dei quali è quello di Gradisca d’Isonzo. Una cura dimagrante sull’ordine medio del 30%, imposta in così pochi mesi e senza una fase intermedia per trovare i rimedi avrebbe effetti devastanti su un sistema che comunque si regge necessariamente a vicenda. Se togli un mattone viene già tutto, difficile evitare effetti a catena. In questo caso addirittura si andrebbe a smantellare un settore che, come ribadiscono gli addetti ai lavori, si rivolge a una massa di spettatori (oltre 600 mila i biglietti Siae in regione nel 2009) attraverso protagonisti – registi, attori, tecnici, amministrativi – che hanno maturato professionalità, esperienza, credibilità al pari di ogni altro comparto, con punte anzi di grande eccellenza e qualità.
Ma lo tsunami non si abbatte solo sul teatro. Anche le associazioni culturali cominciano a far sentire la loro voce per l’abolizione delle cosiddette “tabelle”, quelle con i contributi da 50 mila euro in su. Pure qui le esigenze di risparmio pestano durissimo cancellando ogni tipo di contributo e quindi di espressione. E pure il salvagente finora fornito dalle Fondazioni bancarie (uniche in pratica ad agire in un deserto per quanto riguarda gli sponsor privati) avrà possibilità limitate per gli effetti della crisi economica sugli istituti di credito.
Se questo è l’insieme, è forse necessario allora ripensare all’organizzazione complessiva della cultura in regione che in pratica è totalmente dipendente dall’ente pubblico, se si escludono gli ingressi a pagamento per spettacoli di prosa, concerti e principali mostre d’arte. Sono finiti i tempi in cui il Friuli era una sorta di paese di Bengodi, invidiatissimo da altre regioni. Tempi nei quali non era troppo problematico sostenere cospicui impegni di spesa come quelli per villa Manin (finanziamento regionale annuo di 2,7 milioni di euro con incassi attorno ai 100 mila euro) o il Mittelfest (un milione e 200 mila euro per un numero complessivo di 7 mila spettatori nelle edizioni migliori, come è stato reso noto di recente).
Finora abbiamo commentato solo cifre già più o meno conosciute, ma ce ne sono altre che spuntano fuori sui tagli culturali nel 2010. Per esempio, ecco quelle ufficiose sulla tutela del friulano che subirà nel complesso una riduzione del 16% passando da 4 milioni e 104 mila euro del 2009 a 3 milioni e 450 mila nel 2010. Tra le voci singole, meno 20% per le convenzioni con la Rai e le altre emittenti tv e radiofoniche (da 200 a 160 mila euro), meno 20% alla Filologica (da 300 mila a 240 mila), meno 10% all’Arlef (da un milione a 904 mila euro), addirittura meno 60% all’università di Udine (da 100 mila a 40 mila euro). Confermato in pieno invece il milione e 300 mila euro destinato agli enti locali per gli interventi a favore dell’uso orale e scritto della lingua tutelata.
Forte anche il taglio per le altre lingue minori dove si passerà da un totale di 5 milioni e 635 mila euro a 4 milioni e 635 mila. Il fondo regionale per lingua e cultura slovena da 990 mila andrà a 240 mila euro mentre quello per sostenere enti e organizzazioni della minoranza slovena resterà invariato attorno ai 4 milioni. Confermati invece i 140 mila euro per la cultura germanofona mentre non c’è traccia di contributi per interventi a favore del resiano e delle varianti linguistiche nelle valli del Natisone (ai quali nel 2009 erano andati 100 mila euro).
Finale amarissimo con le biblioteche di interesse regionale (a esempio, la Guarneriana di San Daniele o quelle arcivescovili): da 880 mila euro, i contributi scenderanno a 360 mila.