Friuli: riflessioni sul Prosecco

di CLAUDIO FABBRO

Che relazione c’è tra il Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene e l’abitato di Prosecco? «Va notato – così esordisce il professor Fulvio Colombo, uno degli studiosi più autorevoli in materia – che al di fuori della provincia di Trieste non ci sono altre località denominate Prosecco, perché Prosecco è un toponimo sloveno e, quindi, è per il Veneto un termine di importazione». Infatti, è la forma slovena dell’antico toponimo slavo “proseku”, che secondo gli esperti di toponomastica ha il significato di “zona disboscata”. Questo toponimo è stato attestato fin dal 1289 e, poi, di frequente, nel Trecento triestino, nella forma prosech o prosecum, ma anche in quella moderna Prosecco, riferito a un villaggio, a un piccolo centro abitato, sviluppatosi a lato della strada carraia romana che faceva da limite al territorio triestino, strada ancora in uso nel Medioevo. I successivi passaggi che permettono di risalire alla denominazione del vino carsico possono essere individuati alla fine del 400, quando Pietro Bonomo, segretario e consigliere di tre sovrani austriaci, Federico III, Massimiliano I e Ferdinando I, diplomatico, poeta latino e uomo di chiesa, vescovo di Trieste (fu eletto nel 1502), nelle opere che componeva, richiamandosi agli autori latini (Plinio) che parlavano del vino pucino, prodotto in quell’area che si identifica con Contovello, cominciò ad associare il vino prodotto dagli abitanti di Prosecco con il vino pucino decantato da Plinio, per la fragranza e le proprietà medicamentose. Nel 1525, a Trieste, il binomio pucino-prosecco diventa ufficiale ed entra nella documentazione pubblica. Pier Andrea Mattioli, medico senese del 1544, nei commenti all’edizione del “De medica materia” del Dioscoride, al passo in cui si parla del vino “Pictano”, lo identifica con il pucino di Plinio e con il vino che si produceva non lontano dal Timavo e attribuisce al pucino proprietà terapeutiche. «Per quanto riguarda, invece, il Prosecco trevigiano – prosegue Colombo – dopo una citazione del 1772, in cui appare confuso tra le altre varietà presenti nell’area, e una segnalazione sui dati della modesta produzione del 1861 (non superiore all’8% di quella totale del comprensorio), solo negli ultimi decenni il vino trova finalmente la sua degna collocazione sul mercato, diventando il prodotto di eccellenza che conosciamo. A questo punto, se ci domandiamo se esiste una relazione genetica tra le varietà di Prosecco coltivate a Conegliano-Valdobbiadene e i vitigni presenti in territorio triestino (Glera) e se esistono relazioni di parentela tra gli antichi vitigni a bacca bianca coltivati in provincia di Trieste (ribolla, prosecco) e quelli attuali (glera) cominciamo a entrare in problematiche sempre più complesse. Questo secondo argomento molto impegnativo per essere affrontato ha bisogno di un’indagine che non si basi su considerazioni legate alle caratteristiche esteriori della pianta o a quelle del prodotto finale della vinificazione, ma – conclude Colombo – sull’esame del materiale organico antico rapportato all’attuale. Materiale organico che riferito alla vite può essere costituito per esempio dai vinaccioli, dai semi dell’acino, che, in ambiente umido, si conservano a lungo».