Friuli: su Welfare e stranieri, i Comuni in rivolta. L’Anci chiede chiarezza alla Regione


di Beniamino Pagliaro

I sindaci alzano la voce: non bussano alla porta, non si accontentano. Non ascoltano le rassicurazioni del centrodestra. Per sciogliere il nodo immigrazione – dopo l’intervento della magistratura che ha bocciato il welfare padano costringendo il Comune di Majano a riammettere in graduatoria gli stranieri – i sindaci vogliono parlare direttamente con il presidente della Regione Renzo Tondo. Il rientro in regione del presidente della giunta dall’India si presenta ingarbugliato. Oltre al tavolo politico convocato per domani, in cui Pdl e Lega non risparmieranno reciproche accuse, bisogna affrontare la questione dei «requisiti»

Dal bonus bebè agli affitti agevolati ai servizi sociali, l’impostazione del welfare voluta dal centrodestra e in particolare dalla Lega Nord impone alcuni requisiti di residenza minima in Italia e in Friuli Venezia Giulia per l’accesso ai contributi vari. Ma le ordinanze dei giudici oltre alle sentenze della Corte costituzionale stanno, poco a poco, smantellando gli effetti delle leggi. Dopo il caso di Majano, dove tre lavoratori immigrati sono stati riammessi nelle graduatorie per i contributi agli affitti, ieri è scoppiato quello di Zoppola: il comune ha subito il ricorso di un immigrato romeno per i bonus bebè. La decisione del giudice deve ancora arrivare – anche se il precedente di Latisana non può essere ignorata – ma si è comunque deciso di concedere il contributo, rimettendo il romeno, che vive e lavora a Zoppola, nelle graduatorie.
 

Il risultato è che decine e decine di comuni del Friuli Venezia Giulia stanno preparando in questi giorni vari bandi e non sanno bene come comportarsi. Meglio seguire le pallide garanzie di qualche consigliere del centrodestra e seguire le leggi ancora in vigore o le ordinanze dei giudici? Una comunicazione protocollata del 21 febbraio firmata dal vicedirettore delle Autonomie locali Luciano Agapito citava l’ordinanza del giudice su Majano, ricordando che la stessa ha «carattere generale», senza però consigliare davvero i comuni sul da farsi.
Ma che dice della vicenda l’ufficio regionale che si occupa ufficialmente della consulenza agli enti locali? Basta qualche telefonata per capire. «Qualsiasi normativa regionale – hanno spiegato ieri i funzionari – va applicata soltanto se non in contrasto con i principi comunitari e costituzionali». Quindi, l’invito dell’Ufficio di consulenza è di disapplicare qualsiasi legge in contrasto con i principi comunitari o con la Costituzione, esattamente come quelle sui requisiti, secondo i giudici di Udine e quelli della Corte costituzionale.
Così, l’Associazione dei Comuni (Anci) riunita ieri a Spilimbergo ha mandato una lettera in carta bollata per chiedere «un atto di chiarimento urgente». I sindaci esigono un incontro con Tondo per affrontare il problema «evitando di lasciare i comuni in una condizione di oggettiva impossibilità di agire in presenza di norme e giurisprudenza tanto contrastanti».
E se la maggioranza sceglie un basso profilo, l’opposizione non rimane a guardare. Il consigliere del Pd Alessandro Tesini parla di norme «deboli e sbagliate» e annuncia che porterà il tema in Quinta commissione la prossima settimana, è pronto con i colleghi del centrosinistra a «ribaltare l’agenda dei lavori» chiedendo l’audizione degli assessori e di Tondo. Sempre in casa Pd, Mauro Travanut sta preparando con Annamaria Menosso una mozione per «azzerare i provvedimenti» incriminati. «Dobbiamo farlo non solo per non mettere in difficoltà i cittadini ma anche per i tanti comuni che devono affrontare questi problemi», spiega Travanut, mentre Franco Codega definisce «kafkiana» la situazione a cui si è arrivati: «Siamo al paradosso, con la Regione che invita a disapplicare le proprie leggi».