Messner a Tarvisio: escursione in Val Saisera prenotabile

Se volete vivere da vicino un mito, allora affrettatevi a prenotare Venerdì 1 Agosto, la camminata in Val Saisera (è a numero chiuso) con Reinhold Messner.  Dici Reinhold, e di solito basta, non solo nel mondo dell’alpinismo: il cognome Messner è superfluo. L’incontro con il signore degli Ottomila (ma la definizione è sicuramente riduttiva), rappresenta uno dei momenti più importanti della stagione kugyana organizzata a Tarvisio. L’appuntamento è in Val Saisera, venerdì 1° agosto, per un evento clou tra i tanti (ricordiamo, dal 25 al 27 luglio prossimi, anche il seminario fotografico con Mario Verin) organizzati dal Coprotur e dal Comune di Tarvisio, con il sostegno della Regione.

Sarà un appuntamento da non perdere anche perché il personaggio è ormai tra quelli più che difficilmente attingibili.<br />
Ne sanno qualcosa i redattori di Alp che, dopo aver predisposto l’uscita della prima monografia dei
Personaggi centrandola proprio sul grande alpinista di Funes, fissando date e modi per realizzare un ampio servizio, ha dovuto arrendersi «all’imperscrutabile», come scrive la direttrice del periodico Linda Cottino. «L’uomo in carne e ossa si è smaterializzato. È tornato leggenda, immagini e segni fissati sulla carta, si è dissolto in frammenti di dialogo per interposta persona». Vale a dire che il reportage non c’è stato.

Doverosa parentesi graffa: the magazine must go on, la monografia è naturalmente è uscita ugualmente. La si trova ancora in edicola, e vale la pena di leggerla, per l’interessantissimo concorso corale di testimonianze, da Tomaž Humar a Hans Kammerlander, da Peter Habeler a Carlo Alberto Pinelli, da Hanspeter Eisendle a Robero Mantovani, da Ivo Rabanser a Alessandro Gogna, da Hubert Messner, fratello di Rheinhold, a Uschi Demeter, sua prima moglie.

Alle pagine di Alp dobbiamo anche alcuni degli spunti che seguono (chi scrive, peraltro, l’uomo era riuscito, a beccarlo, serafico e disponibile, in quel di Funes; ma era il 1977, altri tempi).

Venerdì 1° agosto alle 12, dunque, Reinhold Messner effettuerà una camminata dalla Cappella Florit, in Val Saisera a Sella Sompdogna (escursione prenotabile, a numero chiuso). Al rifugio Grego seguirà un dibattito a tre, con Marco Albino Ferrari, direttore di Meridiani Montagne e chi scrive. La sera alle 21, poi, a Tarvisio, in piazza dell’Unità (o, in caso di maltempo, al Palasport), ci sarà la conferenza-proiezione Passione per il limite.

Kugy e Messner. Figure agli antipodi, ma forse solo all’apparenza. Uno è un amateur solidamente radicato nell’Ottocento, l’altro un personaggio moderno, capace di reinventare un alpinismo che sembra arrivato al capolinea (L’assassinio dell’impossibile, personalissima contestazione globale pubblicata da Dolomiten, è del 1967), senza però tradirne le origini.

Reinhold sta dalla parte del mito, contro il pullulare degli scalatori che hanno scelto la via dei chiodi a espansione grazie ai quali si può andare dappertutto. «Dobbiamo fare qualcosa prima che l’impossibile venga del tutto sotterrato. Salviamo dunque il Drago. E, in avvenire, proseguiamo sulla via indicata dagli uomini del passato. Io sono convinto che sia ancora quella giusta».

Il Drago, dunque, da tutelare nei confronti di un Sigfrido baro, che insegue un risultato e non la spinta interiore.

Un parallelismo sulle capacità e le imprese non è proponibile, però anche Onkel Julius non si rifà agli eroi delle saghe («Non è Parsifal, è uno molto più simpatico», ammonisce Claudio Magris). È, invece, un romantico che fa i conti con la realtà (forse, piuttosto che l’influsso dello Sturm und Drang, sente la misura e il buon senso Biedermeier): si costruisce le opportunità attraverso una solida attività commerciale, e va in montagna accompagnato dalle guide. Ma un senso etico gli impedisce di accettare i chiodi («Comici ci ha definitivamente dimostrato che la Nord della grande di Lavaredo era inscalabile, noi vecchi alpinisti lo sapevamo già», disse all’indomani dell’exploit del concittadino).

Anche Messner deve trovare il modo di realizzarsi, e in un momento in cui la cosa è molto più difficile: se la Furchetta, il Putia e il Sass d’la Crusc sono vicini a casa, l’Himalaya è al momento accessibile solo alle grandi spedizioni organizzate e costose. Così costruisce, per la sua passione, un percorso di superamento del limite attentamente calcolato (il fatto che sia sopravvissuto alle sue imprese non è certo frutto solo del caso), e sfrutta coerentemente la sua crescente fama per aver risorse da reimpiegare. Risultati e soldi sono importanti, ma secondari, un mezzo per vivere la montagna. Però sempre con fair means: niente chiodi di progressione, salite leggere e veloci, in stile alpino anche là dove gli ambaradan nazionali avevano stretto i colossi himalayani in lunghi assedi.

Così come Kugy vantava le sue origini contadine (cui attribuiva la predilezioni per i bivacchi á la belle étoile), Messner prima e più che alpinista si percepisce quale montanaro, persona “esposta” alla natura. Una cosa che gli dà qualcosa in più: «l’istinto, questo fiuto atavico per i pericoli che ti permette di sopravvivere in montagna».

E, in quanto a natura, se Julius la difese in tempi che anticipano di molti decenni la creazione del termine “ecologia», Reinhold è stato fondatore e testimonial di Mountain Wilderness.

Poi, è vero, è entrato in polemica con il sodalizio, tanto che Pinelli lo ha definito «un po’ vero e un po’ finto», ovvero prigioniero del personaggio. Ma c’è da credere che una cosa del genere sia successa anche a Herr Doktor (come forse a tutti i personaggi, dell’alpinismo e non).

Andando a cercare ulteriori affinità, se ne può trovare un’altra. Nulla si sa dei rapporti di Kugy con il gentil sesso, se non l’indisponibilità ad accasarsi e l’ironica sufficienza che trapela a tratti dai suoi scritti. Messner è stato invece marito e padre, ma, malgrado questo, alla domanda sullo stato civile del questionario sottopostogli da Elizabeth Hawley, ha risposto barrando tutte e quattro le voci previste: celibe, coniugato, convivente e divorziato («Perché ho avuto il divorzio in Germania, ma l’Italia non lo riconosce, dunque sono convivente; e in fondo mi sento single»).

E allora, il punto più forte di somiglianza potrebbe essere alla fine la solitudine. Malgrado il plauso generale e le tante persone coinvolte, anche con forti valenze affettive, quanti fanno dell’alpinismo una scelta assoluta – attenta e ragionata quanto si voglia – sono probabilmente destinati a rimanere soli. Probabilmente non si tratta di una scelta, ma di qualcosa di ineludibile.