Paesi fantasma; non rischia solo la Carnia

Dal Gazzettino di oggi.

Non è un generico allarme sullo spopolamento della montagna. E nemmeno un semplice appello all’accorpamento dei piccoli comuni. La ricerca nazionale presentata nei giorni scorsi a Roma da Confcommercio e Legambiente è un’analisi molto approfondita sullo stato di salute dei piccoli comuni in Italia. Dalla quale emerge che sono oltre 3.500, a livello nazionale, quelli in stato di "disagio insediativo", per effetto del calo demografico, della mancanza di attività produttive e commerciali, di servizi, di attrattive turistiche. Una crisi che non lascia indenne il Friuli Venezia Giulia, dove sono complessivamente 51 i comuni considerati in condizioni di disagio (35 in provincia di Udine, 12 a Pordenone, 4 a Gorizia, nessuno a Trieste), con una popolazione complessiva di oltre 45mila abitanti. Per la metà di questi si profilerebbe addirittura il rischio di scomparire: nel 2016, questa la proiezione dei curatori della ricerca, 25 comuni della nostra regione saranno infatti potenziali "ghost town". Condannati cioè a divenire paesi fantasma in un futuro neppure troppo lontano.

La principale area di crisi, naturalmente, è quella montana: Carnia, Val Resia, Val Torre, pedemontana pordenonese, Valcellina. Di conseguenza è Udine la provincia dove si concentra la maggior parte dei comuni a rischio: in tutto 16, contro i 6 di Pordenone e i 3 di Gorizia. Scorrendo da nord la mappa colorata delle future "ghost-town", nell’elenco figurano Ligosullo, Paularo, Raveo, Zuglio, Socchieve, Preone, Verzegnis, Cavazzo, Bordano, Resia, Montenars, Lusevera, Taipana, Erto e Casso, Fanna, Cavasso Nuovo, Castelnovo del Friuli, Arzene. Scendendo verso il mare, completano la lista sei centri insospettabili della ristretta area compresa tra la Bassa friulana e l’Isontino, da Terzo d’Aquileia a Medea, passando per Ruda, Visco, Turriaco e San Pier d’Isonzo.Le sorprese non mancano, come si vede, e questo apre diversi interrogativi sui criteri seguiti, sebbene la proiezione di qui al 2016 sia fatta "rebus sic stantibus", partendo cioè dal presupposto che le dinamiche demografiche e socioeconomiche restino invariate e continuino a marcare pesanti differenze in negativo rispetto alla media nazionale. Secondo lo studio, nel 2016 i comuni fantasma saranno 1.650, pari al 20% dei comuni italiani e al 16% della popolazione. Attualmente vi risiede soltanto il 2,1% della forza lavoro, percentuale che scende all’1,5% nel settore commerciale, le pensioni di invalidità sono il doppio della media nazionale, l’opportunità turistica è sporadica nonostante la grande disponibilità di abitazioni non utilizzate, esiste una forte carenza nella domanda e nell’offerta di istruzione, scarseggiano i presidi socio-sanitari.

Al di là degli inevitabili limiti e dei suoi possibili errori, lo studio commissionato da Confcommercio e Legambiente mette a fuoco un fenomeno noto e cerca di misurarlo con gli strumenti della statistica. «Le condizioni strutturali che portano al disagio – spiega il curatore della ricerca Sandro Polci – non sono date solo da fattori demografici come il calo delle nascite e l’aumento della popolazione anziana, ma anche da condizioni evidenti di depauperamento delle potenzialità produttive. Scarso l’appeal che queste aree esercitano sull’esterno, sia come capacità di attrarre nuovi cittadini e nuove imprese, sia dal punto di vista turistico».

Ma la ricerca, assicura Polci, non vuole lanciare un messaggio pessimistico: «Quello dei piccoli comuni è un talento che non può continuare a restare sotto terra. Uscire dal disagio, lo dimostra l’esempio di tanti piccoli comuni, è possibile: puntando sul turismo, sull’enogastronomia, sulla multifunzionalità dell’azienda agricola, sulla valorizzazione di un patrimonio immobiliare che supera del 50% la media nazionale. Salvare la montagna dallo spopolamento non solo si può, ma si deve, perché i problemi della montagna, come diceva Rigoni Stern, se non li risolvi te li ritrovi a valle. Credo anche che siano utili quelle novità legislative da troppo tempo ferme in Parlamento, che possono contribuire a un assetto istituzionale più efficiente dei piccoli comuni: salvaguardare le identità è giusto, ma non si fa mettendo i sacchi di sabbia alla finestra. Personalmente credo che non solo un piccolissimo comune, ma anche un centro di 2.500 abitanti possa sentirsi degnamente rappresentato anche se non dispone di un sindaco proprio».