Pesariis: Ataman, l’avventura italiana dei cosacchi

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di PAOLO MEDEOSSI.
Chi è passato in Val Pesarina in una domenica dello scorso agosto può essersi imbattuto in una lunga processione che seguiva la statua della Madonnina del Culzei portata a spalla alla sua cappella, verso Pradisbosco. Momento suggestivo di un culto e di un rito che si rinnova ogni cinque anni a Pesariis quale ringraziamento per una strage evitata e che stava per compiersi nel Natale del 1944. Come atto di rappresaglia, 33 abitanti del paese dovevano essere fucilati su ordine di un ufficiale cosacco al quale si avvicinò una donna, Marianna Machin, che conosceva la lingua russa dopo aver lavorato sulla Transiberiana e con le parole giuste seppe convincerlo a desistere. Comincia così, con una storia vivissima nella memoria della valle, ma sconosciuta fuori di lì, un romanzo appena pubblicato dall’editore Gaspari di Udine. Narra, viaggiando tra realtà e fantasia, quei mesi dall’estate del ’44 al maggio del ’45 in cui la Carnia e ampie zone del Friuli vennero invase da 40 mila cosacchi, alleatisi con i tedeschi dopo essere stati attratti dall’ingannevole prospettiva di approdare in una Terra Promessa dove insediarsi definitivamente come popolo. Vicende già narrate, studiate, discusse in tanti romanzi e ricerche a cominciare dallo splendido “Illazioni su una sciabola” di Claudio Magris, ma quest’ultimo libro ( “Ataman. L’avventura italiana dei cosacchi”, 210 pagine, prezzo 16 euro) aggiunge una serie di elementi originali e in parte inediti. La prima sorpresa è il nome stesso dell’autore, Lorenzo Colautti, avvocato di Udine, che si è cimentato in questo impegno per narrare come meritava la straordinaria esperienza di cui è stato protagonista l’ingegner Gaetano Cola, personaggio conosciutissimo in Friuli per la sua attività professionale e per i trascorsi giovanili come giornalista al Messaggero Veneto. In più occasioni, Cola (suocero dell’avvocato Colautti) ha raccontato a familiari e amici i momenti del suo passato, in particolare nella fase finale della guerra quando lui, ragazzo, con padre campano e madre carnica, si era trasferito tra le montagne partecipando alla lotta di liberazione. Il romanzo dà un nome di fantasia al protagonista, Nicolò Costa, ma ripercorre ciò che Gaetano affrontò davvero in giorni nei quali la vita di tutti, nelle valli e ovunque, era appesa un filo. L’episodio più clamoroso avvenne quando, arrestato assieme ad altri due giovani sospettati di essere partigiani, venne portato dal comandante dei cosacchi, il generale Petr Krasnov, l’atamano, nome rimasto tra storia e leggenda, militare sì, ma anche scrittore di una certa notorietà internazionale negli anni Trenta. Durante l’interrogatorio davanti all’atamano, che lui non aveva riconosciuto, Nicolò-Gaetano si sentì rivolgere una domanda a sorpresa: «Ha mai letto autori russi?». Il ragazzo, che conosceva un po’il francese, dopo aver citato Tolstoj aggiunse proprio Krasnov, del quale la madre gli aveva fatto conoscere libri come “Dall’aquila imperiale alla bandiera rossa” e “Tutto passa”, ritenuto (anche dallo stesso Magris) il suo capolavoro.Con tale risposta a sua volta lasciò senza parole l’atamano che lo liberò dandogli una sorta di salvacondotto. Quel colloquio fu uno dei rari momenti nei quali il generale dialogò con gente della Carnia, rimanendo per il resto isolato tra i suoi incubi e la malinconia, a Verzegnis. E un altro dei momenti clou riguarda l’incredibile partita di calcio disputata a Osoppo nell’aprile del ’45 fra una squadra di partigiani e una di tedeschi e cosacchi. Episodio sul quale molto si è favoleggiato e anche discusso, nato forse dalla volontà di qualche tedesco di garantirsi una salvezza prima della imminente catastrofe. Nicolò-Gaetano fu l’arbitro di quell’incontro, vinto dai partigiani per 1-0. Il romanzo di Colautti narra poi una vicenda sorprendente sui cosacchi dopo la resa. In gran parte, come si sa, vennero consegnati dagli inglesi alle truppe sovietiche e molti morirono suicidi nelle acque della Drava. L’unico a resistere al potentissimo esercito di Stalin fu il principe del Liechtenstein che schierò un pugno di guardie a difesa di chi aveva chiesto asilo da lui, respingendo la minaccia. Ma il racconto di “Ataman” non si ferma al dopo guerra. Nella seconda parte, seguendo sempre le tracce cosacche, schiude nuovi scenari giungendo ai giorni nostri con una narrazione quasi da spy-story ambientata nella tensione conflittuale, di cui a livello mediatico ora si sa poco, che oppone la Russia di Putin all’Ucraina. Confronto che vede in gioco enormi e strategici interessi legati al petrolio, rendendo esplosivi i rapporti di forza tra le nazioni dell’ex Urss. Ne esce una ricostruzione mozzafiato, affidata alle intuizioni e alla fantasia dell’autore, il quale vuol mostrare come da quell’episodio accaduto a Pesariis i rivoletti lungo i destini di un popolo si siano sparpagliati ovunque, toccando anche i drammi attuali. «Ho voluto fare un romanzo storico, non un saggio – dice Colautti – rendendomi conto con stupore, visto il tempo trascorso, che indagare i fatti di quel periodo non è facile. Ci sono rancori e recriminazioni non sopiti. Sono contento di aver trovato un editore come Gaspari che mi ha indirizzato e consigliato un po’ su tutto. Il protagonista, che ha ora 93 anni e di cui io ho riordinato gli appunti, mi ha chiesto infatti per quale motivo il romanzo riporti sulla copertina il mio nome, non il suo».