Testamento biologico: la politica continua a usare la vicenda Eluana per squallidi fini elettorali


di FRANCESCO JORI

Povera Eluana, non le è bastato neppure morire per evitare di venire usata come strumento. E poveri tutti quelli come lei, che hanno sofferto e che soffrono sul confine tra la vita e la morte; poveri quelli che li hanno amati e che li amano come persone, non come bandiere. Di nuovo, come due anni fa, la loro dolorosissima vicenda umana viene sfruttata dalla più deteriore politica come spot elettorale: prima sollecitando l'immediata discussione in Parlamento della legge sul testamento biologico, poi spostandola all'indomani del voto amministrativo di metà maggio una volta ottenuti i riflettori. Una squallida recita, destinata a un possibile bacino di elettorato: guardate cosa stiamo facendo per voi. Occorre ricordare che l'Italia arriva tra gli ultimissimi Paesi a legiferare in materia, e lo fa in malo modo. Il provvedimento oggi in discussione venne varato in fretta e furia in Senato nel marzo 2009, subito dopo la morte di Eluana Englaro, alla vigilia del congresso fondativo del Pdl. Su quel testo pendono rilevanti dubbi sia nel merito che nel rispetto della Costituzione. Anche una voce come quella di Giuliano Ferrara, schieratosi a suo tempo contro Beppino Englaro papà di Eluana, è apertamente critica: "E' in sé pasticciata e contraddittoria una legge in cui si dice al cittadino, fa' pure testamento, ma sappi che non sarà vincolante". Un sondaggio Eurispes segnala infine che 77 italiani su 100 (tra cui il 76 di chi vota a destra, e il 64 di chi si riconosce nel centro) sono favorevoli a un provvedimento che faccia rispettare le proprie volontà sulle cure nelle fasi finali della vita. Ma il problema vero non è essere pro o contro: ciascuno ha diritto di seguire le indicazioni della propria coscienza, e di manifestarle pubblicamente. Il punto è che "le leggi vanno fatte per i credenti e per i non credenti", come ricordava il costituzionalista e politico cattolico Leopoldo Elia. E soprattutto, su una materia come questa la responsabilità morale è della persona direttamente coinvolta, ed è legata al modo in cui ciascuno di noi concepisce la vita e la morte: ciascuno risponde per se stesso, senza dover delegare la scelta né a un medico, né a un giudice. Dovrebbe capirlo la politica, senza usare perfino l'estremo passaggio dell'esistenza per cercare di rastrellare voti. E pareva averlo capito lo stesso presidente del Consiglio, quando spiegava (20 dicembre 2008) che "su queste materie ho sempre pensato che non sia l'esecutivo a doversene fare carico"; e ancora pochi giorni fa, quando scrivendo ai parlamentari Pdl ricordava che "la gran parte di noi ritiene che sul fine vita, questione sensibile e legata alla sfera più intima e privata, non si dovrebbe legiferare, e anch'io la penserei così, se…". Ci ha ripensato in realtà entrambe le volte: la prima un mese dopo, quando la vicenda di Eluana si avvicinava ormai all'epilogo, tra polemiche in larga parte strumentali; la seconda a caldo, nella stessa lettera, appendendo quel "se…" ancora una volta alla sua personale guerra contro i magistrati (neppure un povero untorello di pm, nel caso specifico, ma la stessa Cassazione), e precettando i suoi per l'ennesima crociata. Perfino la persona umana usata "ad personam": cos'altro si arriverà a calpestare?