Tolmezzo: altra tragedia della strada, muore Fabiano Fior

 

 

Altro tragico incidente in Carnia: un giovane tolmezzino è morto alle 2.58 di stanotte, nel capoluogo carnico. La vittima è Fabiano Fior, nato il 22 febbraio 1979.

Stava viaggiando a bordo della sua Punto quando in piazza Martiri della Libertà, per cause in corso di accertamento da parte dei carabinieri del Norm, perdeva il controllo del mezzo all’altezza della rotatoria finendo contro il muretto di un’abitazione. Il giovane decedeva sul posto nonostante il prodigarsi del personale del 118.

4 Risposte a “Tolmezzo: altra tragedia della strada, muore Fabiano Fior”

  1. Aggiornamento del 12/08/2012

    di Gino Grillo

    Giovane carpentiere si schianta nella notte contro un muretto in piazza Martiri della Libertà: se ne è andato così Fabiano Fior, 33 anni, alle 2.58 di ieri mattina. L’uomo stava rientrando a casa. Pare si fosse fermato per incontrare alcuni amici che stavano divertendosi a una festa nei pressi della vicina stazione degli autobus, prima di mettersi al volante della sua automobile, una Fiat Punto. Poi si è messo alla guida dirigendo lungo via Divisione Osoppo, quando imboccando la rotatoria di piazza Martiri della Libertà delimitata da una aiuola spartitraffico, ha sbandato sulla destra, evitando i pali della segnaletica stradale. La manovra ha fatto perdere l’aderenza al suolo all’automobile che è andata a collidere contro un muretto di una abitazione in cemento al civico numero 4. Svegliati dal frastuono delle lamiere dell’auto che cozzava contro il muro, gli abitanti delle case circostanti il luogo dell’incidente dopo aver verificato quanto accaduto, hanno allertato il 118 che alle 3 ha fatto uscire dalle rispettive sedi, le ambulanze del pronto soccorso, i vigili del fuoco e i carabinieri del Nucleo radiomobile di Tolmezzo. È toccato poi ai carabinieri del Norm regolare valutare la dinamica dell’incidente. All’arrivo dei soccorritori Fior appariva agonizzante incastrato fra le lamiere della sua Fiat Punto, tanto che è toccato ai pompieri, con l’ausilio delle pinze oleodinamiche, aprire un varco al personale medico per permettere loro di arrivare al corpo del ferito. I sanitari hanno effettuato per oltre mezz’ora tentativi di rianimazione con l’intento di mantenere in vita lo sfortunato giovane carpentiere, che era alle dipendenze della ditta edile Straulino di Sutrio, ma alla fine non hanno potuto far altro che arrendersi all’evidenza: Fabiano Fior se ne era andato. Il suo corpo è stato quindi trasportato alla camera mortuaria del nosocomio tolmezzino a disposizione dell’autorità giudiziaria. La velocità dell’auto non sarebbe stata troppo eccessiva, ma pare che il giovane non avesse allacciato le cinture di sicurezza, particolare che potrebbe essergli stato fatale. Anche sulla strada non erano evidenti i segni di una frenata prima dell’impatto con la rotonda. Fior lascia la giovane moglie Giulia Lomuscio, i genitori Luigina Gonano e Willi e una sorella, Maria Luisa.

    Aggiornamento di Tanja Ariis

    Il sindaco di Tolmezzo, Dario Zearo, conosceva da tempo Fabiano ed era stato lui a unire in matrimonio appena un anno e mezzo fa in municipio il giovane con la sua amatissima Giulia. Il ricordo di quel giorno felice riecheggia nella memoria, rendendo difficile accettare che la vita di quel trentatreenne così legato agli affetti e al suo lavoro, così pieno di progetti e amore, in un battere di ciglia si possa essere arrestata per sempre poche ore prima. «Ancora una volta in 2-3 giorni – osserva Zearo – la Carnia perde in incidenti stradali due giovani e mi dispiace molto. È di questi giorni, appena giovedì, il funerale del giovane di Arta Terme di soli 18 anni e questa notte ha perso la vita Fabiano Fior. Io non ho parole per descrivere questo dramma». Si interrompe il sindaco prima di proseguire perché quel ragazzo, figlio di un carissimo amico, lo conosceva bene e aveva avuto modo di vederlo coronare il suo sogno d’amore con Giulia. Se li ricorda bene il primo cittadino Fabiano e Giulia, figlia del presidente dell’Unione calcio Tolmezzo, al campo sportivo: «Li incontravo – ricorda – quasi ogni domenica. Il ragazzo veniva a dare una mano assieme alla moglie all’Unione calcio Tolmezzo. Era un bravo ragazzo, riservato, volenteroso e di buon cuore. Li ho sposati io e mi dispiace moltissimo per questa giovane coppia che era così felice e che quel giorno fece una grande festa. Si vedeva che si volevano un gran bene. È una tragedia che mi lascia senza parole».

  2. Aggiornamento del 13/08/2012

    di Tanja Ariis

    «Andava tutto così bene, mi sembra incredibile». Claudio Lo Muscio, suocero di Fabiano Fior, il ragazzo che sulla via di casa venerdì notte è morto andando a finire con la sua auto, dopo la rotonda di Piazza Martiri della Libertà, contro il muretto di recinzione di una casa, è affranto. «Questa – osserva Lo Muscio – è una doppia grande tragedia perché colpisce duramente due genitori, quelli di Fabiano, che hanno perso un figlio, e colpisce, una moglie che ha perso suo marito, il suo compagno di vita. Tra le nostre famiglie si era creato un bellissimo rapporto. Mio figlio – racconta Lo Muscio – considerava Fabiano suo fratello maggiore: quando arrivava, arrivava uno della famiglia. Perché Fabiano era unico e non è retorica. Lo dimostra il via vai di persone che vengono a trovare mia figlia e noi in questi giorni: amici, tanti ragazzi e colleghi. Io ho 62 anni, da 6 anni sono presidente dell’Unione Calcio Tolmezzo – dice Lo Muscio – e in questo lasso di tempo sono accaduti diversi incidenti stradali in cui giovani hanno perso la vita. In una comunità piccola come la Carnia fatti come questi fanno male, si sentono e in tanti in questi giorni ci sono vicini. Mia figlia e Fabiano, ancora prima di sposarsi, hanno deciso di darmi una mano e si sono messi alla biglietteria al campo sportivo. Erano una coppia molto affiatata ed era simpatico vederli lì. Fabiano i ragazzi dell’Unione Calcio Tolmezzo lo hanno conosciuto così e lo apprezzavano perché era simpatico, attivo e riservato». Fabiano lavorava da 10 anni in una ditta edile di Sutrio, dove era molto stimato. Amava il suo mestiere. Fabiano e Giulia avevano appena finito il trasloco nel nuovo appartamento, più grande, dove ora vivevano con tanti progetti per il futuro. Dovevano recuperare le ultime cose nel vecchio appartamento proprio sabato. «Erano fortunati a essersi trovati, loro due si completavano. Si sono conosciuti – ricordano Lo Muscio e la moglie – per caso il 26 marzo del 2006 e si sono sposati esattamente 5 anni dopo. Hanno subito condiviso tante passioni, soprattutto quella per i manga, di cui hanno una raccolta enorme, e la musica. Quello che facevano lo condividevano assieme». Ora familiari e amici attendono di poter dare a Fabiano l’ultimo saluto: i funerali, se la Procura della Repubblica rilascerà oggi il nulla osta, potrebbero essere celebrati domani.

  3. Aggiornamento del 14/08/2012

    di Tanja Ariis

    Si svolgeranno oggi 14 agosto alle 16.30 nella chiesa di Arta Terme i funerali di Fabiano Fior, lo sfortunato giovane che nella notte tra venerdì e sabato ha perso la vita a Tolmezzo, mentre stava rientrando a casa dall’amatissima moglie Giulia, finendo con la sua auto, all’altezza della rotonda di Piazza Martiri della Libertà, contro il muretto di recinzione di una casa vicina. Il carpentiere trentatreenne lascia nello sconforto due intere famiglie ed in particolare la madre Luigina, il padre Willi, la sorella Maria Luisa e la moglie Giulia. Ieri la Procura della Repubblica ha concesso il nulla osta ed i familiari hanno potuto così fissare i funerali. La salma partirà dall’ospedale di Tolmezzo prima delle 16 e, dopo le esequie, sarà tumulata nel locale cimitero. In tanti attendono di tributare l’ultimo saluto a quel ragazzo d’oro, che tanto si era fatto ben volere per la disponibilità con cui si rapportava al prossimo. Per lui la moglie, la famiglia ed il lavoro venivano al primo posto. Fabiano abitava in via Giovanni Bosco con Giulia, con cui si era sposato un anno e mezzo fa, 5 anni esatti dopo che tra loro, in un incontro casuale, era scattata un’alchimia speciale che li aveva legati subito, portandoli a condividere ogni aspetto e passione, e da pochi giorni avevano finito il trasloco nel nuovo appartamento, più spazioso.

  4. SUGLI SGUARDI DEL DISAGIO GIOVANILE
    Guardiamoli con occhi più attenti

    “Cerco un centro di gravità permanente…”: mi risuonano nella mente le parole della fortunata canzone di Franco Battiato, quando incrocio nuovamente gli sguardi delle mie studentesse e dei loro compagni tra i banchi di scuola. Non vedo se sono abbronzati o stanchi, perché hanno lavorato durante le vacanze scolastiche; no, cerco di leggere nei volti la scrittura degli occhi e delle labbra che, anche se chiuse, parlano e dicono dell’ interiorità ; entrambi “specchi dell’anima”, parola, quest’ultima, ormai desueta, anche nel significato di individualità, dato che si vorrebbe che quasi tutti i giovani ne fossero privi, omologati in toto verso l’esteriorità e la materialità dei consumi (percing, orecchini, pettinature scalate, schiuma, gel, capigliature colorate: cazzate! Nel senso che non sono certo questi gli elementi, su cui fondare una valutazione ed un giudizio, anche se il conformista comun sentire lo fa: del resto quando alcune donne, in altri tempi, hanno iniziato ad usare il rossetto o a indossare le minigonne il buon senso comune non le giudicava forse delle bagasce?); in realtà, fluttuanti, plurali, metamorfici, privi appunto – per lo più, non generalizziamo: ci sono anche giovani che rivelano un saldo background affettivo in senso lato e, quindi, una identità strutturata, marcata e ben definita – di un “centro di gravità”, di pesantezza , intesa come comprensione e accettazione di sé, della complessità della vita e della storia e del sapore dulcamaro delle stesse; padroni e responsabili della direzione da dare alla loro vita in relazione ad un sistema di valori ben definito; bisognosi di un baricentro per controllare e ordinare la loro contraddittorietà interiore, squassata tra razionale e immaginario, intuitivo e riflessivo, globale e analitico, verbale e visuale, reale e virtuale.
    Questi giovani sono leggeri, evanescenti, nel senso che dentro non hanno spesso sedimentato esperienze reali, ma virtuali, né memoria, riflessione, autonomia di giudizio, la realtà della morte come specchio della vita; sono in balìa delle contingenze e volitano onnidirezionali con disagio dall’una all’altra senza che qualcosa acquisti significatività ed importanza reale; sospesi sopra le cose e al di qua della storia, cui tanti vorrebbero appartenere ma dalla quale vengono respinti dalla stupidità di adulti superficiali (nel senso letterale, che si fermano alla superficie) o prepotenti, arroganti ladri di giovinezze, e ricacciati dentro se stessi e rinchiusi come in un ghetto: tante solitudini individuali unificate dal pregiudizio sociale, esistenti solo in quanto funtivi del consumismo. Costretti a sopravvivere come fantasmi introversi e silenziosi nella disconferma socio-affettiva e sociale nel pieno del loro vigore fisico e immaginativo, tra inedia inazione noia insensatezza del vivere (ove s’insediano sogni trasgressivi anche autodistruttivi) i loro occhi esprimono malessere, depressione, angoscia, insicurezza e, mentre parli loro dei grandi avvenimenti storici e li coinvolgi sui temi e i ritmi dei grandi poeti e scrittori, il loro sguardo quasi si sdoppia: uno di stima e apprezzamento per la tua passione educativa e culturale, l’altro come di rimprovero per certa tua disattenzione al loro vissuto, alle loro problematiche, al loro disagio, alle loro paure, per affrontare, se non per risolvere i quali richiedono fondamenti (pur se discutibili e relativi) e punti di riferimento, che vengono anche dai libri, ma soprattutto dagli adulti in carne ed ossa, che hanno di fronte nelle varie situazioni della loro vita quotidiana e che dovrebbero aiutarli ad ‘liberare’ la loro interiorità, considerandola importante, un valore.
    Se osservi con attenzione, vedi allora tanti sguardi – non parlo degli occhi sereni, luminosi, consapevoli, sicuri e di labbra appagate -: incerti, assenti, mascherati, malinconici, freddi, tremolanti, disillusi, aggressivi, foschi, reticenti, inquieti, disamorati, imploranti, velati, vuoti, ansiosi, maliziosi: epifanie di situazioni difficili e a rischio, che nel mondo giovanile sono in crescita esponenziale (non solo tra giovani ‘studenti’): aumento della sfiducia in se stessi, calo dell’amor proprio, carente proiezione nel mondo e nel futuro, sgretolamento progressivo della motivazione all’agire e della voglia di vivere, dissoluzione del diaframma tra vita e morte, che vengono eguagliate, e che spinge i più fragili e sensibili a scegliere la morte come vita: il suicidio non è spesso una scelta di morte, ma di una vita ‘altra’: “Diventerò una stella del cielo e da lassù continuerò a guardare il tuo volto e ad amarti”, ho letto in una lettera di un giovane suicida. “Da lassù”, perché ‘quaggiù’ i sogni s’intersecano col dolore e con le disillusioni e spesso manca a molti giovani – non per carenza ontologica, ma educativa e formativa – la forza interiore per resistere e districarsi nel labirinto dell’esistenza e per rifiutare e opporsi al neodarwinismo sociale della legge della giungla, della quale sono le prime vittime.
    Scopriamo, con meraviglia o ipocrisia, che i giovani hanno degli ‘occhi che parlano’, solamente quando vediamo sgorgare da essi lacrime desolate e disperate per la morte di un amico, schiantatosi con l’automobile o scoppiato per droga, magari ascoltando Il cantico dei drogati di Fabrizio de Andrè (“… quando scadrà l’affitto / di questo corpo idiota / allora avrò il mio premio/ come una buona nota./ Mi citeran di monito / a chi crede sia bello / giocherellare a palla / con il proprio cervello, / cercando di lanciarlo / oltre il confine stabilito, / che qualcun ha tracciato / ai bordi dell’infinito.”); o suicida.
    Ma presto si stende la coltre della rimozione: molti adulti, virtuali o cinici – tanto ai loro figli non accadrà -, continueranno ad evitare quegli sguardi; guarderanno altrove sopra intorno in basso oltre a lato, non negli occhi, o chiuderanno del tutto i propri, per non subire turbamenti o sensi di colpa; ma restano quegli occhi di rimprovero proiettati nel vuoto, perché non incontrano altri occhi con cui comunicare. Invece da quel dolore vero, profonda ferita ed esperienza reale, si dovrebbe partire, per agganciarli alla storia, per farli riflettere sul senso e l’importanza della vita, sulla morte e sulla nostra precarietà e fragilità naturale: non facendo questo, gli si insegna a glissare sui problemi, a schivarli, a trasformare il reale in virtuale, ad autodistruggersi.
    Un detto popolare dice: “Ogni vita ha la sua scusa” (quindi, anche ogni morte?). “Scusa”: Giustificazione? Destino? cinicamente: ”Chi è causa del suo mal pianga se stesso”? Determinismo biologico? Cazzi suoi? Mi viene il dubbio che proprio nella vecchia società contadina, tanto oleograficamente rimpianta, si possa ritrovare l’incubazione degli spermatozoi del cinismo individualistico e della abdicazione alle responsabilità verso gli altri dell’attuale società.
    Anch’io mi porto dentro la ferita d’uno sguardo incompreso, di aver trascurato un giovane sguardo che pareva di sfida e disprezzo ed era invece una richiesta di aiuto; il rimprovero per aver interrotto, non per volontà ma per contingenze storiche, un dialogo, anche se discontinuo, fecondo, che a quel giovane dava in parte, pur nella lontananza, quel famoso “centro di gravità”.
    L’ho rivisto, invece, poco tempo dopo, disteso sul tavolo dell’obitorio del cimitero di Udine e, se ne accenno ora, non è per senso di colpa, anche se mi rode non aver capito, ma per mettere in guardia gli adulti contro le disattenzioni agli sguardi dei giovani che chiedono aiuto; quando quegli occhi sono spenti dal sigillo della morte, siamo tutti dei perdenti e tutti ci portiamo un vuoto dentro, anche se la fantasmagorica società delle immagini e della corsa al successo e al danaro reclude presto le proprie responsabilità dentro la cinta murata cimiteriale.
    Pensavo a mille cose, quasi come autodifesa dal dolore od esorcismo e fuga dalla stesso, mentre contemplavo atono l’esanime corpo nudo coperto solo dai boxer colorati di colui che, ormai solo cadavere salma spoglia, era stato un giovane molto alto snello muscoloso, bello, disteso sul marmo del tavolo dell’obitorio, gli occhi chiusi come in un sonno, le palpebre non parevano ancora sigillate dalla nera ceralacca della morte, e le carni chiare, sulle quali si diffondeva inesorabile e incurante il giallo cinereo prima della cianosi, che a macchie rivelava in superficie il sudario della omicida decomposizione interna. Riflettevo sui nomi, che si danno al morto: cadavere come caduta; salma, di derivazione greca, soma, peso, quindi l’anima che si libera dell’armatura pesante del corpo; spoglia, cristianamente rimane solo la veste mortale che ricopre l’anima immortale, per questo, nella cultura cattolica, lo si definisce ‘corpo esanime’, ex anima, privato dell’essenza vitale; ‘defunto’, de-fungi, abbandonare la propria funzione; defunctus vit, significava che aveva esaurito, compiuto il tempo della vita. Arzigogolìo etimologico come diversivo e fuga dalla crudezza del vero. Non riuscivo assolutamente ad accettare quella definitiva ineludibile realtà; ma la verità non occorre andarla a cercare, perché ti viene incontro con la violenza d’un cazzotto. Il giovane custode, più o meno della stessa età del suicida, piangeva e si disperava di una tale morte; io, come se avessi guardato in volto Medusa, ero pietrificato…
    “Mira ed è mirata”; guarda ed è guardata, scriveva Leopardi della gioventù recanatese la sera del dì di festa; nella reciprocità degli sguardi, della comunicazione sta anche la felicità, ma soprattutto quella rete solidale di amicizia e amore, che dà un significato forte all’esistenza individuale; per chi, invece, come Giacomo, si trova ad essere solo un lanciatore di sguardi nel vuoto, senza incontro e ritorno, la morte diventa mitico sogno della fine di ogni sofferenza o di ricerca di una vita diversa, “ da lassù”. Com’era accaduto a lui, il cui sguardo non avevo capito. Però, da allora, mi si è insediato dentro il dubbio se questa storia si meriti una vita.

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