Trochetto della felicità… la sua non la nostra!

Dopo che Tronchetti Provera aveva seccamente fermamente smentito qualsiasi ipotesi del genere (come aveva fatto per la vendita di Seat e come sta facendo ora per l’intesa con Murdoch) procedeva all’acquisto delle azioni sul mercato di Tim, pagandole non poco e appesantendo ulteriormente il già elevato debito di Telecom Italia-Pirelli, e procedeva con grande efasi alla fusione della telefonia fissa con la Tim. L’integrazione fu esaltata come fonte di notevoli risparmi per Telecom Italia, di forte ottimizzazione del debito ma anche di grandi sinergie negli investimenti sulla Rete, di grandi vantaggi per i piccoli azionisti e per i clienti, in termini di tariffe e nuovi servizi, e anche di miglioramenti per i dipendenti. Ora la fusione del secolo diventerebbe, secondo le voci sempre maggiormente riprese, e ritenute attendibili in Borsa, il "divorzio del secolo": Tronchetti Provera si appresterebbe a vendere tutta o in parte la telefonia mobile, che verrebbe nuovamente scorporata e diventerebbe di nuovo una società autonoma. Se sono vere le voci che parlano di cessione a fondi stranieri o a concorrenti esteri come Deutsche Telekom o la spagnola Telefonica, l’Italia perderebbe una delle società (non solo tra quelle telefoniche) più importanti e redditizie del Paese: non avrebbe più un gestore mobile nazionale, poiché Wind è diventata egiziana, Vodafone è inglese e 3 è di cinesi di Hong Kong. Telecom Italia sarebbe l’unico gestore telefonico ex monopolista a non possedere più una divisione di telefonia mobile: in Germania, in Francia, in Spagna e in tutti gli altri Paesi europei gli ex monopolisti, spesso ancora sotto il controllo pubblico, non mollano la presa sulla telefonia mobile, che in Italia (Paese di grandissimi fan del cellulare) è un settore centrale. In un Paese normale, la credibilità di Tronchetti Provera e dei suoi collaboratori si azzererebbe e dovrebbero ritirarsi dal mondo degli affari, a causa di questo incoerente e completo cambiamento di rotta in così poco tempo. Se era vero che la soluzione dell’integrazione avrebbe favorito i piccoli risparmiatori, come è possibile che oggi l’inverso li faccia guadagnare? E’ vero che da una vendita (o svendita) di Tim i piccoli azionisti potrebbero ricavare un discreto dividendo; ma, negli anni successivi, cosa sarebbe del valore dei loro titoli Telecom Italia, senza più gli introiti della telefonia mobile? E chi ripagherà i piccoli azionisti delle immense spese legali e organizzative, per svariate centinaia di milioni di euro, affrontate per la fusione? E quelle che si dovrebbero mettere in budget per una nuova separazione? E’ possibile che qualche azionista non denunci Tronchetti Provera, che sarà il principale se non unico beneficiario della svendita? Qualche giudice non vorrà vederci più chiaro?

Potrà il governo continuare a dirsi neutrale,  dopo che i sindacati di categoria delle Tlc avranno proclamato uno sciopero generale contro la scissione della Tim? Questa volta i sindacati dei lavoratori di Telecom Italia potrebbero scioperare insieme (e sarebbe la prima volta) ai dirigenti e quadri, che hanno già sofferto pesanti tagli e ridimensionamenti a causa della fusione; Tronchetti difficilmente riuscirà a calmarli, come a evitare una miriade di cause legali intentate da lavoratori contrari a essere trasferiti nella parte dell’azienda che sarà ceduta.

In un Paese normale, dopo un ribaltone del tipo di questa eventuale cessione di Tim, Tronchetti Provera non potrebbe più neanche vendere macchine usate, ma potrebbe anzi imboccare (anche negli Usa patria del libero mercato) qualche comoda cella in qualche penitenziario per businessman. Certo l’Italia non è un Paese proprio normalissimo, ma questa volta non si potrà fare finta di niente.