Università di Udine: il progetto MoMa e la proteina antiradiazioni


Dopo tre anni di attività a giugno si potranno trarre i bilanci conclusivi del progetto MoMa, abbreviazione che vale a dire "Dalle molecole all’uomo: la ricerca spaziale applicata al miglioramento della qualità della vita della popolazione anziana".
      MoMa rapresenta uno dei tre studi che a suo tempo erano stati approvati dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) nel settore della medicina e delle biotecnologie e vedeva Udine capofila e il professor Francesco Saverio Ambesi Impiombato, ordinario di Patologia generale all’Università friulana e ideatore della ricerca, responsabile nazionale.
      Per comprendere la portata dell’attività si valuti che vedeva impegnati oltre 500 scienziati e 50 istituti di ricerca in tutta Italia e mobilitava complessivamente risorse per 30 milioni di euro.<br />
      Il mandato ricevuto dall’Agenzia spaziale italiana, come spiega lo stesso Ambesi Impiombato era quello di indagare sull’invecchiamento e la qualità della vita nello spazio cercando di ricavare però ricadute pratiche anche per l’esistenza quotidiana sulla Terra.
      Farmaci innovativi, comprensione degli effetti della microgravità sull’organismo, misure di protezione potevano rappresentare il ritorno cercato.
      «Nell’ambiente spaziale si "invecchia" più rapidamente – chiarisce il professor Ambesi Impiombato -: il sistema immunitario, muscolare, osseo mostrano segni come se andassero incontro a un invecchiamento più rapido e più precoce».
      «Per adesso – prosegue – sono fenomeni che si possono far regredire, fortunatamente, e, anche dopo diversi mesi di permanenza spaziale, si assiste a un recupero, ma in futuro programmi di più lunga durata potrebbero esporre a maggiori rischi».
      Nel triennio le missioni si sono succedute sia sotto le stelle e strisce dello Shuttle che con la russa Soyutz ed inoltre sono stati lanciati razzi parabolici partendo dalla Svezia.
      «L’Università di Udine ha preso parte a diversi voli, sia voli parabolici, con una microgravità che dura poco più di 5 minuti, che a lunga distanza del periodo di 10-15 giorni» illustra lo scienziato. Sono stati verificati gli effetti della microgravità su cellule tiroidee differenziate e coltivate in vitro attraverso una metodica messa a punto dallo stesso Ambesi Impiombato diversi anni fa. È stata praticata una stimolazione con ormone tsh in alcuni campioni (all’inizio del periodo di microgravità nei voli di breve durata).
      «Sono stati notati molti cambiamenti, diverse modificazioni dovute all’ambiente spaziale» afferma il docente.
      Ma quali contromisure si potranno adottare in futuro? Il 5 maggio saranno a Udine Aldo Mancini, dell’Istituto dei tumori di Napoli, e funzionari dell’Agenzia spaziale italiana, per presentare i risultati interessantissimi, ottenuti in seno a MoMa, che riguardano una proteina ricombinante utile sia in oncologia che radioprotezione (deriva da un tumore ma è clonata attraverso un procedimento di ingegneria generica).
      Si è esaurito un ciclo ma c’è tanto da fare e l’intenzione è quella di dare ai progetti di ricerca un respiro più che triennale.