Pasolini: a 33 anni dalla morte Pelosi racconta la verità

«Gli unici ai quali ho raccontato la verità furono mia madre e l’avvocato Rocco Mangia. Mi presi tutte le responsabilità per non coinvolgere i miei amici di allora. Fu l’avvocato a suggerirmi quella linea difensiva.  Pensava che da minorenne me la sarei cavata con poco». Inizia così il “diario” di Pino, detto “la rana”. Appunti messi giù negli ultimi due anni, fogli che forse un giorno diventeranno un libro. Il rapporto con la madre, scomparsa alcuni anni fa, una donna molto bella e intelligente, è un momento chiave nello sviluppo di Pino Pelosi. Ma aiutano a comprendere meglio anche il caso-Pasolini.

Riccetti. Pino era un ragazzino esile di 17 anni. Ricordava molto Ninetto Davoli, stessi riccetti. Conobbe Pasolini in modo del tutto occasionale in un bar di Piazza di Cinquecento frequentato da giovani prostituti. Lo scrittore che passava spesso di lì in cerca di avventure, gli offrì qualcosa da bere. I due parlottarono per qualche minuto, poi si salutarono dandosi un appuntamento. «Il giorno dopo Pasolini aveva un impegno, decidemmo allora di vederci il sabato. Lo dissi ai fratelli Franco e Giuseppe Borsellino e furono loro a propormi di “levare qualche soldo a quel signore che ne aveva tanti”. Non m’interessa, grazie, risposi».<br />

Pezzo a pezzo si ricompone 33 anni dopo un delitto rimasto nel mistero anche per come vennero condotte le indagini. Impronte non rilevate, reperti trascurati o non utilizzati, tecniche scientifiche approssimative, come mise bene in evidenza la perizia di parte civile di Faustino Durante. Pasolini fu schiacciato dalle ruote dell’Alfa Gt 2000, cadde in un agguato teso da un gang di teppistelli. Resta l’interrogativo sugli altri 3 uomini che secondo il racconto di Pelosi presero parte al pestaggio. Pino ancora oggi dice di non conoscerli.

Il ritorno. Pelosi, che oggi ha 50 anni, non ha mai smesso di fare i conti con il proprio passato. Lavora per la Cooperativa 29 Giugno insieme a molti altri ex detenuti. Ad ogni anniversario, una squadra della cooperativa viene per ripulire dall’erbacce il luogo dove fu ucciso Pasolini e dove è stata eretta una scultura di Rosati. Pelosi ieri ha voluto esserci. E’ tornato all’Idroscalo di Ostia.Scena surreale: tuta da operaio, visiera, stivali, Pino tagliava l’erba intorno alle stele posta in cui è caduto di Pasolini. Vittima e carnefice di nuovo vicini. «Adesso è cambiato tutto, prima Pasolini lo vedevo con astio. Lui era il martire e io il colpevole. C’è voluto del tempo ma ora mi sono reso conto che siamo martiri tutt’e due».

L’infiltrato. Da tempo Pino ha finito di scontare la sua pena: 9 anni, 7 mesi, 10 giorni e 40 mila lire di multa (che non ha mai versato). La sua vita fino a ieri è stata un entrare e uscire dalle patrie galere. In carcere il suo prolungato silenzio lo ha reso famoso e rispettabile. Ma fuori dal carcere è diverso, i valori sono altri. Ed ecco che ora, ora che i due amici d’infanzia sono morti da più dieci anni, Pelosi si è deciso a fare i nomi di Franco e Giuseppe Borsellino. I due fratelli all’epoca del delitto erano minorenni ma già pericolosi e disposti a tutto, come ha testimoniato Renzo Sansone, il carabiniere infiltrato che raccolse una loro confessione e li fece arrestare. Dopo qualche giorno i due ragazzi ritrattarono le confidenze che avevano fatto al carabiniere («ci eravamo vantati del delitto Pasolini solo per darci delle aree») e furono liberati. I due fecero il nome di un terzo complice, Giuseppe Mastini, detto “Johnny lo zingaro”. Il quale, condannato a tre ergastoli, ha sempre negato di aver fatto parte del commando. Anche se qualcuno continua a pensare che il plantare destro 41 trovato nell’auto di Pasolini e ancora conservato al Museo criminale di Roma, possa essere il suo. In quanto a Sansone, qualche anno dopo il carabiniere decise di anticipare il pensionamento. Non è mai stato ascoltato da un giudice

Zio Giuseppe. Tante cose, troppe, restano da finire. Ma di tanto in tanto un lampo di luce si accende. Nel 2005, ad ”Ombre del Giallo”, una trasmissione condotta da Franca Leosini, Pelosi ammise che quel giorno non era solo. Parlò di tre sconosciuti dall’accento meridionale. Chi erano? Sono vivi? Seppero dell’agguato della baby-gang del Tiburtino? Negli appunti di Pino ”la rana” questo non c’è. Si parla invece dell’avvocato Rocco Mangia. All’inizio, scrive di suo pugno Pino, i fratelli Tommaso e Vincenzo Spaltro mi mandarono un telex dicendomi di nominarli come difensori. Il telex era firmato: Zio Giuseppe. Ma in seguito si presentò dai miei genitori l’avvocato Rocco Mangia e fece di tutto per farsi nominare, mi disse di non preoccuparmi, che avremmo sostenuto l’immaturità. Né io né i miei genitori abbiamo pagato una lira per il suo onorario».