Archeo Carnia: un mondo sommerso

di Gloria Vannacci Lunazzi

Gli scavi archeologici effettuati in Carnia in maniera sistematica, ad opera della Soprintendenza Archeologica o con concessione ministeriale, a partire dalla metà degli anni Novanta, hanno arricchito e modificato notevolmente il quadro delle nostre conoscenze sulla storia antica del territorio. Fino a quel momento l’archeologia della Carnia era nota essenzialmente per la presenza di Iulium Carnicum (Zuglio), con gli imponenti resti del foro e della basilica civile, e per gli scavi condotti negli anni ’60 dall’Università di Monaco sui Colli Santino e Zuca (Invillino).

Qui sono stati portati alla luce un insediamento di età romana, tardoantica ed altomedievale ed una basilica paleocristiana dotata di una ricca pavimentazione musiva.

La scoperta di nuovi siti e l’attenta rilettura delle fonti hanno permesso di chiarire ed ampliare il composito orizzonte culturale del territorio carnico, le cui più antiche fasi di popolamento sono ora rappresentate da alcuni strumenti litici riferibili all’industria musteriana del Paleolitico medio (170.000-35.000 anni da oggi), rinvenuti in alta quota sul Varmost (Forni di Sopra) e a Paularo, tra Cason di Lanza e Valdolce. Accampamenti di gruppi di cacciatori-raccoglitori del Mesolitico (11.500-7.500 anni da oggi) sono stati, inoltre, individuati in più punti su passi montani e praterie alpine, a quote comprese tra i 1.500 e i 1.900 metri, presso acque sorgive o laghetti. I primi insediamenti stabili sono da riferire al Neolitico recente, come è stato confermato dal ripostiglio di strumenti litici foliati rinvenuti nel 2001 sul Colle Mazéit di Verzegnis.

Molte sono le novità anche per quanto riguarda la protostoria, l’età romana ed il Medioevo. La documentazione più ricca relativamente all’Età del ferro è rappresentata dalla necropoli ad incinerazione di Misincinis (comune di Paularo), situata lungo il percorso, attivo già nell’età del bronzo, che conduce ai passi di Lanza e di Lodin e, da lì, nelle valli del Gail e del Fella. Lo scavo sistematico, effettuato tra il 1995 ed il 2001, ha permesso di portare alla luce circa duecento tombe, con corredi anche di notevole ricchezza, costituiti da oggetti di ornamento in bronzo, vetro, ambra e da alcune armi, che coprono quasi interamente l’età del ferro, tra la fine dell’VIII ed il IV secolo avanti Cristo. Nei livelli superiori, inoltre, sono stati rinvenuti reperti celtici databili tra il III e il I secolo avanti Cristo. L’importanza di questa necropoli è dovuta al fatto che si è riusciti per la prima volta a far luce definitivamente sulla cultura materiale, gli usi ed i rituali funerari delle popolazioni preromane della Carnia, quelle che hanno costituito il substrato dei Carni citati nei testi latini.

Il sito più notevole per l’archeologia celtica si è rivelato essere il monte Sorantri di Raveo, altura che controlla le vallate del Degano e del Tagliamento. Sulla sommità del monte, all’esterno di un vasto insediamento cinto da una muraglia, con case in muratura attribuibili all’età romana, sono stati raccolti numerosi reperti metallici di ambito celtico, databili tra il III ed il I secolo avanti Cristo e riferibili ad un santuario celtico con forte connotazione militare, nel quale i rituali sono poi proseguiti fino alla prima età imperiale romana. Le armi rinvenute, infatti, dovevano far parte di trofei o di altre installazioni di culto collocate in un’area sacra. Nei pressi di Raveo a Colza (Casolare Fierba) è stato recuperato occasionalmente nel 1998 un ripostiglio monetale costituito da 40 tetradrammi celtici e da 359 vittoriati romani, che era stato sepolto entro un vaso di bronzo. Si ritiene che i tetradrammi siano stati emessi nel II secolo avanti Cristo dalla tribù celtica dei Taurisci.

Nel corso di dieci campagne di scavo (le ricerche sono tuttora in corso) è stato portato alla luce un importante insediamento fortificato sul colle Mazéit di Verzegnis, collina che domina lo sbocco della valle del But in quella del Tagliamento e dalla quale, quindi, si controllava la via per Iulium Carnicum e il Norico. Dopo una prima frequentazione in età tardo neolitica, il colle è stato abitato stabilmente a partire dall’età del bronzo recente-finale, momento in cui l’insediamento, nel quale veniva praticata la metallurgia, è stato probabilmente cinto da una prima fortificazione. Reperti inquadrabili nell’età del ferro, tra il VII e il V secolo avanti Cristo e nel periodo celtico sono indizi di una continuità abitativa. In età augustea il villaggio è stato completamente ricostruito ed ampliato: il muro di cinta è stato ulteriormente fortificato e munito di almeno due torri, mentre nuove case con basamento in muratura hanno trovato posto all’interno della fortificazione, che saliva fino alla sommità del colle. Sul punto più alto del colle, al di sopra di resti romani e preromani, nel VI secolo dopo Cristo è stata innalzata una possente torre quadrata, che faceva parte del sistema di fortificazioni poste a difesa dei valichi dell’arco alpino orientale. Questo edificio ha subito una repentina distruzione che ne ha decretato la fine tra il 1150 e il 1270 dopo Cristo (datazione radiocarbonica), in seguito ad un incendio e ad una demolizione delle strutture murarie.

Dal 2004, nell’ambito del progetto storico-archeologico Alta Valle del Tagliamento, nei comuni di Forni di Sopra e di Forni di Sotto hanno luogo annualmente delle campagne di scavo nei siti di Sacuidic e di Cuol di Cjastiel, presso Andrazza (Forni di Sopra) e di Pra di Got (Forni di Sotto). Nel caso di Sacuidic, le ricerche hanno verificato che si tratta di un sito fortificato con una vita piuttosto breve, dal XII alla fine del XIII secolo. Verso gli ultimi decenni di questo secolo il piccolo castello, entro il quale era attiva una zecca clandestina, è stato distrutto da un incendio e mai più ricostruito. Le sue strutture sono oggetto di un attento restauro conservativo. Il sito di Cuol di Cjastiel è un castrum tardoantico che termina la sua esistenza verso la fine del V secolo. E’ ubicato sulla cima di un rilievo anticamente circondato da una cinta muraria munita di torrette quadrangolari, due delle quali sono state messe in luce. Anche il colle di Pra di Got era sede di una struttura fortificata, per il momento databile a cavallo del X secolo, anche se alcuni reperti permettono di ipotizzare una presenza più antica.

A partire dal 1991, una scoperta casuale nei pressi della chiesa di San Martino di Ovaro, sita lungo il torrente Degano, ha permesso di portare alla luce un’area cimiteriale antica databile tra il V e l’inizio dell’XI secolo dopo Cristo. In seguito a sistematiche campagne di scavo, effettuate tra il 2000 ed il 2006, è stato possibile individuare i resti di un grandioso complesso di culto paleocristiano, costituito da una basilica di oltre quattrocento metri quadrati, con edificio battesimale antistante. Si è trattato di un ritrovamento di altissimo rilievo, in quanto fino a quel momento in Carnia erano note solo le basiliche paleocristiane di Zuglio e di Invillino.La vasca battesimale, in muratura e di forma esagonale, è stata scoperta sotto il pavimento della chiesa di San Martino. Rientra in una forma assai diffusa nei battisteri paleocristiani di area nord-adriatica, quali Parenzo, Grado e la stessa Aquileia. In base ai caratteri architettonici generali ed ai reperti rinvenuti, la basilica di Ovaro sembra sia stata edificata nella metà del V secolo dopo Cristo. L’area archeologica è stata recentemente musealizzata e inserita in un circuito di visite guidate.

A Illegio, frazione di Tolmezzo, sono stati eseguiti scavi nelle chiese di San Paolo Vecchia e di San Vito, nella Pieve di San Floriano ed in alcuni siti fortificati. L’indagine del deposito stratigrafico della chiesa di San Paolo Vecchia è iniziata nel 2003 ed è stata conclusa nel 2006. Il luogo di culto, ubicato fino al XVIII secolo fuori del paese di Illegio, è stato poi abbandonato e riedificato nel centro del paese. I dati archeologici hanno evidenziato che sotto la chiesa si sono succeduti, a breve distanza di tempo, due edifici rettangolari eretti tra la fine del IV ed il V secolo dopo Cristo, per i quali si può sostenere una funzione legata al culto cristiano e, molto probabilmente, al battesimo. Si tratta del più antico luogo di culto di ambito rurale, indice di una precoce cristianizzazione del territorio carnico. Dopo un momento di defunzionalizzazione della chiesa paleocristiana, avvenuto tra VI e VII secolo e protrattosi fino al X-XI secolo, una nuova chiesa, con funzione cimiteriale, è stata edificata in posizione sommitale ed arroccata sul monte di San Floriano. Le ricerche archeologiche nella chiesa di San Vito, luogo di culto di modeste dimensioni, localizzato presso San Floriano, si sono svolte tra il 2003 e il 2005 e hanno evidenziato un’origine dell’edificio in età altomedievale (tra VIII e IX secolo) come oratorio privato. La fase più antica è rappresentata, infatti, da una sepoltura ad inumazione datata fra il 775 e l’874 dopo Cristo.

Risultati di grande interesse sono emersi dagli scavi tuttora in corso nella località Broili, posta ai margini occidentali del pianoro di Illegio, in corrispondenza dell’unico sentiero di accesso alla sottostante valle del But, dove sono stati individuati resti di strutture fortificate. Rilevante è risultato lo scavo di un grande torrione, distrutto ed abbandonato tra 1022 e 1156: ciò dimostra che la costruzione ed i vari usi della torre sono tutti anteriori a tale periodo.

La più recente novità dell’archeologia carnica è localizzata ad Arta. Presso la chiesa di San Nicolò degli Alzeri, a Piano d’Arta nel 2007 sono state avviate indagini archeologiche che hanno confermato l’esistenza di un ospizio medievale, sicuramente appartenuto ai Cavalieri Ospitalieri. Si tratta di un ampio complesso abitativo (entro il quale era ubicata la chiesa di San Nicolò), costituito da molti vani adibiti a ospitale per viandanti e pellegrini che transitavano lungo l’importante arteria che, dal Norico, proseguiva verso Aquileia e, quindi, verso i porti d’imbarco per la Terrasanta.