Carnia: a 10 anni della scomparsa del senatore Bruno Lepre, un socialista della montagna

Carnia in Parlamento

Di Ermes Dorigo.

Prima, ora un po’ meno, del regime del Baffiarca, rimasto comunque coerentemente un Girella – “Viva Arlecchini/ E burattini;/ Viva i quattrini…” – la nostra terra era chiamata la “Carnia rossa”, più socialista, che comunista, comunque ‘rossa’ – non tricolore, azzurra, diciamo grigia? -, al punto che il senatore Bruno Lepre (1920-2006) viene eletto con la più alta percentuale di voti di tutta Italia all’interno del PSI – non ricordo bene se nella VI, VII o VIII legislatura. Può indubbiamente essere considerato un Padre della Carnia, come Gortani, Marchetti – aggiungerei Dalla Marta, in fin dei conti la Seima l’ha portata lui a Tolmezzo -. Nato ad Ovaro, ma residente a Tolmezzo, iscritto al P.S.I. dal 1946 proveniente dal P.d.A. ha fatto parte del C.L.N. della Carnia, ambiente dove bisognava lottare per il riscatto dei montanari attraverso concrete iniziative di sviluppo socio economico. Molta parte della sua produzione legislativa nasce da questo difficile ambiente: la riforma delle servitù militari,

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la nuova legge della montagna del 1972, le leggi per la ricostruzione e lo svilup­po del Friuli terremotato e quelle per le grandi infrastrutture, che hanno contribuito a liberare dall’emarginazione queste terre e le loro genti. Direttore del settimanale Lavoro, che dal numero 14 sostituì Carnia e uscì fino al 1° giugno1946.

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Dalle prime elezioni amministrative Consigliere Comunale e Vice Presi­dente della prima Giunta della Comunità Carnica. Dal 1960 Consigliere Provinciale, Assessore e Vice Presidente della Provincia di Udine dal 1964 al 1968, quando è stato eletto Deputato e dal 1972 Senatore; dal 1988 al 1993 Consigliere della Regione Friuli‑Venezia Giulia. Sottosegretario all’Interno nel IV e V Governo Rumor, presidente della Commissione Difesa del Senato dal 1980 al 1983. Presentatore di varie leggi tra le quali quella del 1975, legata al suo nome, che ha concesso la maggiore età ed il diritto di voto ai diciottenni, e quelle che hanno concesso l’esonero militare ai gio­vani terremotati del Friuli ed il servizio civile sostitutivo.

Ma seguiamo la sua intensa attività, soprattutto nelle Commissioni, legislativa attraverso le sue parole (Memorie di un socialista della Montagna, Campanotto), iniziando dalla

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ISTITUZIONE DELLE COMUNITÀ MONTANE:

 Durante l’inverno del 1970 fino alla primavera del 1971 fui fortemente impegnato nella Commissione competente a predisporre una nuova legge della montagna; legge che era fortemente sentita, in particolare nella mia Carnia, dove sull’esempio dell’autogoverno della Zona Libera, avevamo dato vita alla Comunità Carnica, che fu, con mio grande orgoglio e soddisfazione, il modello di riferimento per l’organizzazione amministrativa dei territori montani con la costituzione delle Comunità Montane. Mi impegnai insieme ad altri amici deputati con grande determinazione per questa nuova legge, che doveva sanare le gravi insufficienze della Legge 991/1952, che pur aveva avuto il merito di porre il problema della montagna come problema nazionale.

La legge – una legge all’avanguardia a livello europeo ‑ dopo un iter travagliato, fu approvata, realizzando gli obiettivi dell’autogoverno attraverso un Ente o un Consorzio di Comuni in grado di programmare le necessità delle vallate ed i relativi piani, anche se la parte finanziaria rimaneva quasi tutta da scrivere.

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 Ebbi l’onore di aprire la discussione generale in Aula:

 PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale. Il primo iscritto a parlare è l’onorevole Lepre. Ne ha facoltà.

 LEPRE. Signor Presidente, onorevoli colleghi, onorevole ministro, la nuova legge della montagna che, la Camera si accinge a votare e che il gruppo socialista confida sia ulteriormente migliorata, è uno strumento da tempo atteso dalle popolazioni montanare afflitte dallo spopolamento e dal fenomeno dell’emigrazione, e condannate, se non si pongono urgenti rimedi, al loro definitivo svuotamento come entità socio‑economiche. Non starò a dire dei sacrifici che questa gente ha affrontato in pace e in guerra, gente sobria che finora però ha ottenuto solo l’elogio dei governanti e non una politica di salvaguardia di quei grandi valori umani che proprio la montagna raccoglie; né dirò che questa brava gente ha fatto le barricate a difesa della patria nelle guerre del Risorgimento, nella grande guerra, in Grecia, in Russia, nella lotta di Liberazione, sacrificando quasi tutta la sua gioventù: forse ha il torto di avere silenziosamente taciuto e sofferto anche quando la dimenticanza dello Stato ha assunto atteggiamenti veramente provocatori. Dirò soltanto che quando si difende la montagna si difende anche il suolo attraverso la vigile sopravvivenza delle sue popolazioni e si difende quindi l’intero territorio dello Stato.

E’ necessaria una legge che affronti il problema della montagna in tutta la sua interezza. Si tratta, ripeto, soprattutto di un problema di contenimento dell’esodo emigratorio interno ed estero che, in chiave programmatoria, vada a rimuovere le cause di questo spopolamento.

Nella mia terra, la Carnia pur confinante con il terzo Reich, nel 1944, in una terra circondata dal ferro e dal fuoco nemico si è saputa creare una zona libera, dandosi un proprio governo della Carnia libera, il cui tribunale ha pronunciato, in territorio occupato, la prima sentenza con la formula: “In nome del popolo italiano”. Questa Carnia, che aveva eletto le prime giunte comunali democratiche, forte di questa esperienza, ha creato nel 1945‑46, ad iniziativa del CLN carnico, la Comunità Carnica, primo esperimento in Italia di consorzio di tutti i comuni della montagna friulana, creato proprio al fine di unire tutti gli sforzi per tentare una concreta rinascita della montagna friulana. Direi che il tipo di comunità montana prospettato dal disegno di legge oggi al nostro esame, trova il suo modello nello statuto e nell’organizza­zione della comunità carnica. Se ciò è motivo di orgoglio per questa gente, resta l’amara constatazione che questa comunità ha condotto una battaglia generosa sì, ma anche contro i mulini a vento, perché priva di riconosci­mento, di attribuzioni e poteri, non concessi dalla legislazione dello Stato. Ecco l’esigenza di valorizzare, le Comunità Montane.

 

LA LEGGE PER LA MAGGIORE ETA’ E IL DIRITTO DI VOTO AI DICIOTTENNI

 Bruno Lepre, che sempre nella sua attività politica ha rivelato una grande sensibilità ed attenzione per i giovani, ricorda ancora nelle sue Memorie:

 Dopo sette anni si profilava un ulteriore tentativo di rinvio, questa volta a mezzo di una proposta democristiana, che chiedeva l’assorbimento della normativa approvata nel contesto del diritto di famiglia, il cui iter parlamentare era ormai alle ultime battute.

Io reagii a questo tentativo con una dura risposta sulla stampa, che fu particolarmente evidenziata dal Corriere della sera, quotidiano che riportò con un evidente interesse i vari passaggi della proposta alla Camera prima e al Senato poi, schierandosi apertamente a favore dell’approvazione della legge. Diversi servizi, sempre sul diritto di voto ai diciottenni, apparvero su L’Espresso; questo settimanale seguiva con favore tale iniziativa e con costanza anche per la cortesia del suo direttore, Eugenio Scalfari, che era stato deputato del PSI con me nella legislatura 1968/72 e che mi aveva fatto un’intervista sull’argomento, quando rivestivo la carica di Sottosegretario all’Interno.

La stampa nazionale era ormai dall’estate del ’74, dopo il referendum del 12 maggio sul divorzio, che seguiva e dava ampio spazio a questa proposta di legge; e i giovani, confermando che ormai i tempi erano maturi per una sua rapida approvazione, scendevano nelle piazze a reclamare questo che consideravano un loro sacrosanto diritto; di queste manifestazioni cercarono di approfittare politicamente gli attivisti radicali e comunisti, ma si mossero strumentalmente e troppo tardi, quando ormai la Commissione Giustizia aveva già licenziato il provvedimento per il dibattito in Aula.

 

Si arrivò finalmente in Aula ed il 18 gennaio 1975 Lepre pronunciò un breve intervento sulla sua proposta di legge:

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione del disegno di legge nel suo complesso. E’ iscritto a parlare per dichiarazione di voto il senatore Lepre. Ne ha facoltà.

LEPRE. Signor Presidente, signori Ministri, onorevoli senatori, il mio breve intervento è per motivare il voto favorevole del Gruppo del PSI al disegno di legge che, modificando l’articolo 2 del codice civile, abbassa da 21 a 18 anni l’età utile per conseguire la maggiore età e con essa la capacità di esercitare tutti i diritti civili; per riflesso essa attribuisce ai giovani diciottenni anche il diritto di voto, poiché l’articolo 48 della Costituzione riconosce un tale diritto a tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età.

Il disegno di legge è nella sostanza quello che proposi, a nome del PSI, il 14 novembre 1968 alla Camera e che ottenne, in sede referente, l’approvazione unanime della Commissione giustizia di quel ramo del nostro Parlamento nell’aprile 1971 e che fu presentato all’esame dell’Assemblea di Montecitorio nel luglio 1971, da una relazione di completa adesione stilata dall’onorevole Maria Eletta Martini.

Ed è lo stesso testo che ho riproposto al Senato nel giorno inaugurale di questa legislatura.

Pur conscio delle difficoltà che si incontrano nel nostro paese quando si portano avanti problemi come questo, che sono i problemi delle libertà civili e dell’ammodernamento della nostra società, ero convinto che i tempi della loro proposizione fossero più che maturi, quasi venticinque anni dopo la Liberazione dell’Italia.

Confortava questa mia tesi il fatto che già all’epoca della Resistenza, quando eleggemmo le giunte comunali nel territorio amministrato dal governo della Carnia libera, sorta per eroico sacrificio dei partigiani delle divisioni Garibaldi e Osoppo e delle sue valorose popolazioni, fu pacifico che ai giovani diciottenni competesse e il diritto di votare e il diritto di essere candidati ed eletti.

Ora alla mia parte politica pare che il nostro disegno di legge, integrato dall’utile apporto della analoga proposta presentata nel luglio scorso dal senatore Petrella e da altri colleghi del Gruppo del PCI, realizzi con maggiore completezza anche i contenuti della proposta di legge costituzionale già approvata dalla Camera per la quale noi riconfermiamo il voto positivo, proposta che tende un po’ a svecchiare i quadri dell’elettorato attivo e passivo, in adeguamento alla crescita culturale del paese, che ha trovato verifica positiva nelle generose battaglie di civiltà portate avanti in questi anni proprio dai giovani operai e studenti nella fabbrica, nella scuola e nella società: nel senso che il cittadino può essere elettore ed essere anche eletto solo se allo stesso si riconosce la piena maturità e la completa disposizione di tutti i diritti civili e non solo di quelli politici ed elettorali.

Mi pare questo il messaggio della Costituzione che, indicando nell’articolo 48 il requisito della maggiore età per avere diritto al voto, ha sanzionato la non divisibilità della maturità civile da quella politica, messaggio confortato, dal 1969 in poi, dalla analoga strada scelta dalla Germania Federale, dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti, dalla Repubblica di Francia.

E bene si è detto qui che queste iniziative non vanno considerate e interpretate come un dono ai giovani, ma come presa d’atto della comunità che il suffragio universale è carente nella storia d’oggi, se si escludono i giovani diciottenni dalla partecipazione e dal voto.

I giovani che, oltre ad essere l’eterno volano dinamico del progresso sociale fuori di ogni compromesso, hanno anche il merito di aver ideato una società più civile, ci hanno dato la visione di una scuola sempre più vicina interprete della domanda del paese reale e di un sindacato che, uscito dal ghetto della mera rivendicazione contrattuale, prospetta tutte le esigenze dei lavoratori che sono sì di salario decente, ma che sono anche di scuola aperta, di servizi sociali adeguati, di cultura e informazione volte ad accrescere la libertà dei cittadini.

Sono queste squisite conquiste dei giovani nelle generose battaglie di questi anni, conquiste e prospettazioni con le quali la democrazia e le stesse forze politiche devono fare i conti, se vogliono marciare coi tempi, che legittimano il riconoscimento della loro maturità e il dovere della comunità di arricchirsi del loro apporto generoso e puro che reclama un nuovo modo di essere e di esprimersi della società e dei suoi quadri dirigenti.

La partecipazione giovanile impone anche un modo di essere più serio, un metodo meno levantino di affrontare i problemi della nostra società e rappresenta una condizione moralizzatrice e per il paese e per gli stessi partiti politici.

E la valutazione della ricchezza del loro contributo ci deve spingere a fare una politica per i giovani, soprattutto per quelli che fuggono dal meridione e dalle montagne del nord. Ciò significa soprattutto il posto di lavoro vicino a casa, per dare modo alla loro presenza di garantire la crescita libertaria e democratica del paese. Bisogna pensare anche a quella grossa bomba che potrebbe scoppiarci tra le mani e che è rappresentata dalla paurosa disoccupazione intellettuale, se è necessario anche rivedendo la politica della scuola e dell’università di questi ultimi anni.

 

E quando finalmente il 6 marzo 1975 la legge viene approvata, confessa:

 

Ritornai commosso col pensiero alle elezioni comunali nella Zona Libera della Carnia, quando erano stati elettori anche i giovani e le donne carniche, che godettero nel 1944 di quel diritto di voto che le donne italiane ebbero solo il 2 giugno del 1946; a quella domenica 12 maggio 1968, quando ad Ampezzo, già capitale della Repubblica Partigiana, nella sala grande di un albergo mi ero impegnato a tanto di fronte ad una piccola folla di giovani entusiasti; e dedicai dentro di me questo ideale monumento alla memoria di tanti giovani, alpini e partigiani caduti per la libertà e la democrazia.

Nel 1998, invitato in Istituto superiore di Tolmezzo a parlare, tra l’altro, della riforma del diritto di famiglia, dopo avere illustrato il percorso di questa legge, alla domanda: “Guardando ai giovani di oggi, lo rifarebbe?”, ha risposto: “Senz’altro, anche se un maggior spirito di sacrificio ed un maggior impegno e responsabilità civile da parte dei giovani non guasterebbero”.