Carnia: Il caso del comandante “Arturo”, Aulo Magrini e le nuove risultanze

di Pieri Stefanutti Alesso

Non dev’essere semplice essere la vedova di un comandante partigiano morto in combattimento e sentirsi dire per decenni che «tuo marito l’hanno ammazzato i suoi compagni». Margherita Cecchetti non potrà più sentire gli echi del dibattito legato al caso della morte del marito, il comandante “Arturo”, Aulo Magrini, avvenuta il 15 luglio 1944 al ponte di Nojariis, in Carnia, poiché se ne è andata, novantasettenne, lo scorso 16 ottobre. Ha fatto però in tempo a vedere l’esito di un procedimento avviato dal figlio Giulio che aveva detto basta e si era rivolto alla magistratura  che, nel luglio scorso, ha condannato Gianni Conedera, autore di un libro in cui era riproposta la tesi del comandante “Arturo” ucciso dai suoi compagni partigiani. La sentenza, supportata da un parere “pro veritate” di Gianpaolo Gri e Marcello Flores, ha messo un importante punto fisso, ma non chiude completamente il discorso. In tribunale si è infatti discusso di un libro, uscito nel 2006, ma questo è in fondo “figlio” del lavoro di tanti autori che, prima di Conedera, hanno raccolto e spesso sostenuto la tesi dell’uccisione per mano partigiana; la sentenza, inoltre, non pare abbia preso in esame l’evoluzione successiva delle ricerche (in primo luogo dello stesso Conedera che, nel 2009, ha pubblicato un altro libro in cui parecchie delle motivazioni e delle critiche mossegli sul piano processuale hanno trovato parziale accoglimento). Come poter giungere a qualche maggiore elemento circostanziato? Innanzi tutto attraverso la raccolta delle testimonianze orali dei protagonisti, inevitabilmente sempre più ridotte (e qui Conedera ha fornito un contributo apprezzabile, riportando svariate testimonianze che hanno consentito di chiarire tanti episodi di microstoria della guerra in Carnia). È parimenti necessario proseguire nel lavoro di ricerca archivistica, anche all’estero (e i documenti individuati da Carlo Gentile e da Stefano Di Giusto al Bundesarchiv di Berlino nel fondo Italien Aktenband, hanno consentito, per esempio, di determinare come l’assalto del 15 luglio 1944 alla colonna tedesca al ponte di Nojariis sia stato percepito e valutato dall’altra parte, col suo rilevante numero di feriti e di vittime fra i soldati tedeschi). È possibile ragionare ancora sul caso Magrini alla luce delle ultime acquisizioni? Provo a farlo, citando soprattutto gli elementi concreti emersi e incrociando le testimonianze (i partigiani sono indicati col solo nome di battaglia, ma i nominativi effettivi, a chi lo desideri, sono facilmente desumibili). Il primo elemento su cui riflettere, vista la diceria che i suoi compagni lo avrebbero ammazzato per impadronirsi dei valori che egli aveva con sé, è sapere se Arturo avesse avuto effettivamente con sé, quel giorno, un’ingente somma di denaro, giacché si è anche ironizzato su quale comandante partigiano si portasse dietro in battaglia la cassa del battaglione. Ora dei soldi, effettivamente, Arturo li aveva: il denaro che aveva con sé era stato chiesto alla famiglia di possidenti e imprenditori boschivi De Antoni di Comeglians per finanziare la Resistenza: «Fui io stesso a mandare Magrini a prendere quei soldi dai De Antoni, il giorno prima dell’attacco», disse in un’intervista il comandante garibaldino Marco, ed è un elemento confermato in più occasioni, sulla base di ricerche personali, dallo stesso Giulio Magrini. Ma la voce malvagia di Arturo ucciso dai compagni per impossessarsi del denaro è, nei fatti, smentita dallo stesso Conedera nel secondo libro, quando riporta l’importante testimonianza di uno dei tedeschi della colonna, Alois Innerhofer, il quale ha affermato: «Il primo ad arrivare (accanto al corpo di Arturo) fu Cristian Bister, un tedesco di Colonia, che trovò addosso a un cadavere molti soldi, ben 67.000 lire. In Alto Adige, a quel tempo, con una cifra del genere, si poteva comperare un’azienda agricola. Era usanza delle SS perquisire gli uccisi per controllare se avevano documenti, soldi o oggetti di valore. (…) Bister consegnò i soldi al Comando tedesco a Udine, ricevendo come premio 3.100 lire che spese in giro per la città di Udine con dei camerati. Era una bella cifra, se si considera che io, come caporale, percepivo 11 lire al giorno». Relativamente alla dinamica dei fatti della morte di Arturo, disponiamo delle testimonianze di alcuni dei presenti: quelle dei partigiani Morgan e Tempesta e quelle dei due comandanti indicati inizialmente da Conedera semplicemente con le lettere C e Y. Tale scarna indicazione, probabilmente, ha pesato sulla formulazione della sentenza del Tribunale di Tolmezzo, dal momento che non consentiva l’individuazione delle fonti. Nel secondo libro di Conedera par di capire che C sia il già citato Marco, mentre Y sarebbe Senio. Le testimonianze dei presenti descrivono Arturo colpito, mentre guidava l’attacco verso la colonna tedesca, da pochi colpi partiti dal basso (e lo confermò, in una lettera al Messaggero Veneto nel 2005, Diana Fabian, «colei che ha tolto dalla testa del dottor Magrini le due pallottole, che si vedeva benissimo entrate sotto gli occhi, dove la fine pelle rientrava»). Conedera mostra di ritenere maggiormente valida la unica, discordante testimonianza di Senio («A colpirlo fu un colpo di fucile, uno solo, proveniente dalla mia destra, dalla zona dove si erano posizionati i partigiani di Prato Carnico») e a ritenere fondati i sospetti caduti sul partigiano Olmo. Ma se Olmo era alla destra di Magrini, e Magrini stesso è stato colpito frontalmente, da colpi partiti dal basso, rimane maggiormente probabile la versione, ribadita anche recentemente dal partigiano Kent che vide il corpo di Magrini appena recuperato («Lo vidi a non più di un metro. Lo guardai con assoluta coscienza, così come me lo rivedo ora nella memoria: il corpo era adagiato sullo schienale del calesse con le braccia e le gambe abbandonate, con il viso rivolto in avanti. In quell’istante potei vedere un foro in mezzo alla fronte, netto e unico…») e, sulla base di una serrata analisi delle testimonianze, ha concluso che «è dimostrato, razionalmente, applicando la logica ai fatti come accaduti e credibilmente ricostruiti, che escludono ogni possibile coinvolgimento di “fuoco amico”, che rimane in causa una sola possibilità, cioè quella del piombo nemico. In tal caso l’ipotesi, la sola possibile, è quella di un cecchino tedesco che nell’immediatezza dall’inizio della battaglia ha sparato con il fucile appostato sul camion». Kent ha anche da poco pubblicato, su Youtube, una ricostruzione filmata dell’episodio che consente di chiarire la sua opinione sulla dinamica dei fatti. Per giustificare le accuse a Olmo, Conedera parla di un complotto addirittura attribuendo a Olmo anche l’uccisione del comandante Aso morto nell’assalto alla gendarmeria tedesca di Sappada, il 26 luglio 1944. Ora di quell’episodio è disponibile (anche on-line, sul sito Carnia Libera 1944) il diario del partigiano Checco che fu a fianco di Aso durante l’assalto e per poco non fu falciato dalla raffica di mitra partita dall’interno della gendarmeria che uccise Aso: una testimonianza diretta, precisa e dettagliata che esclude la verosimiglianza della ricostruzione di Conedera, che riferisce poi che Olmo fu arrestato, imprigionato e infine fucilato dai suoi compagni garibaldini il 28 novembre 1944, precisando che «Motivazione dell’arresto e della degradazione fu l’accusa formale di aver ucciso il dottor Aulo Magrini e il comandante Italo Cristofoli Aso (testualmente ripreso da un documento conservato nell’Archivio della Osoppo)». Ora, se ci si può permettere un suggerimento: perché Conedera non pubblica integralmente tale documento, indicando fondo e collocazione, per consentire a tutti i ricercatori di verificare se si tratta di una chiacchiera d’osteria o se viceversa questo può rappresentare un elemento documentario capace di riscrivere la storia della Resistenza carnica? Ma il punto riguarda il silenzio di molti. Anche la sentenza del Tribunale di Tolmezzo non ha suscitato particolari discussioni o commenti. È comunque necessario che le vicende della guerra siano rilette con serietà e metodo, in primo luogo grazie all’impegno di quanti sono istituzionalmente deputati a tale compito, ma anche con l’appoggio e il sostegno a quanti, pur con scarsi mezzi, si muovono con impegno e serietà.<br />

 

4 Risposte a “Carnia: Il caso del comandante “Arturo”, Aulo Magrini e le nuove risultanze”

  1. leggiti l mio libretto e guardati il mio filmato. i resto son chiacchiere, come quelle di Tempesta. Quanto alla borsa dei soldi, Artura l’aveva sin dal mese d giugno ed era effettivamente la cassa. Poi quella che ha estratto la palottola dalla testa è una buffola pazzesca. A tale proposito chiedera al giornalista Filiputti il mio commento.
    La verità è sempre una, cioè la verità. Fate tesoro della mia testimonianza ho da poco compiuto 87 anni e ogni giorno è buono per il trapasso. Cordialmente Kent

    1. Ok allora facciamo così: per l’articolo qui sopra non posso fare niente dato che è firmato da di Pieri Stefanutti Alesso.
      Invece ti invito (se hai voglia) a inviarmi la tua ricostruzione dei fatti che pubblicherò ben volentieri.

      Grazie e mandi
      AR

  2. Caro Kent

    uno come te che a 87 anni è così lucido e puntuale e sa usare anche Internet, be credo proprio che ci farà … trapassare noi molto prima di lui.

    Mandi
    AR

  3. ti ringrazio per “l’augurio” ma il problema rimame. Consiglerei di “rottamare” l’articolo che è pieno d’invenzioni e falsità. P<articolarmente quellsa relativa all'operazione chirurgica dell'esttrazione delle "due palottole", non fosse altro che il foro era uno solo. Così l'ho visto e l'ho ancora davantr agli occhi appena sdraiato sul calesse. Non ho visto il dietro della testa, ma posso immaginare che la palottola sia passta da parte a parte attraversado la testa con violenza. Era sicuramente un colpo di fucile Mauser che non poteva essere fermato dal cranio. Leggi sul mio sito http://www.paluzza.net il mio libretto che rcostruisce la morte di Arturo, che conoscevo molt bene e che ho visto per l'ultima volta.

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