Carnia: la Carnia e la resistenza europea al nazi-fascismo

di Leonardo Zanier

Un grido forte di libertà si è materializzato proprio qui, in Carnia. Non una parentesi, ma uno dei capitoli più densi della Resistenza europea al nazi-fascismo, un grido di libertà, che ancora rimbomba e che ancora orienta.
Ma perché proprio qui? Non scoppia all’improvviso: nel 1943, e già da tempo, lavora sotto traccia e nel ’44 controlla tutto il territorio e oltre.
Quello che preme dentro e dietro è un patrimonio enorme. Le sue manifestazioni visibili si possono chiamare segni premonitori? Non tutti sono ancora presenti nella memoria collettiva. Anche perché vengono schivati e rimossi. Con più fatica si cercò di farlo da subito. Oggi si preferisce inventare e predicare un’identità basata non sul patrimonio, che è stato costruito, ma piuttosto sul diffidente e rancoroso egoismo verso il diverso. Non credo si consoliderà: aldilà dell’effimero… che dura quel che dura. Meno se lo si contrasta.
Patrimonio enorme. Senza farne tutto l’elenco, senza scomodare kramârs e luterani, che pure anche su questo contano, ma restando più vicini: il grande numero di cooperative di produzione e lavoro, avviate già prima del ’14 e allargato dopo il ’19; la fitta rete di latterie e sale sociali, costruite in quasi ogni frazione, per lo più con lavoro volontario; l’altrettanto fitta rete, ancora presente, della COOPCA, la cooperativa carnica di consumo e le Casse rurali e le Mutue.
C’era più prampolinismo, che arrivava visitato e predicato dal sud, o più austro-marxismo, portato nella memoria e nelle valigie, dai pendolari col nord? Comunque c’era un progetto di società: internazionalista, aperto, solidale, civilissimo.
Le Cooperative, salvo quella di consumo, che venne addomesticata, furono fatte morire d’inedia. Chiuse o “incamerate“ le Mutue e le Casse Rurali. Una delle cooperative edili, se ricordo bene, già nel ’23, emigrò, armi e bagagli in Francia.
Ma neppure dopo era salutare, per le squadracce fasciste, e ben oltre il ’23, avventurarsi lungo la Val Pesarina.
Nel ’33, nel pieno del trionfo imperiale, il grande funerale a Prato Carnico a Giovanni Casali, anarchico, emigrante, la sua casa era rifugio di fuoriusciti, morto in Francia. Vi partecipa tutta, ma proprio tutta, la popolazione. Anche i fascisti. Un avvenimento-riconoscimento corale. Represso poi duramente: tutti i protagonisti vengono condannati al confino, ma resta come uno spartiacque. Saranno loro i primi comandanti partigiani.
E subito dopo: i volontari in Spagna a combattere per la Repubblica. Anche quei nomi si troveranno nella Resistenza.
Scrive, nel 1946, con esattezza Gortani, in Il martirio della Carnia (a parte il “patriottico“ tedeschi, anziché nazisti…), che: «La mancata resistenza ai tedeschi, dopo l’armistizio dell’8 settembre, era stata troppo amara per i nostri alpini: diremo meglio, per quelli che rimanevano del glorioso Ottavo, dopo il sacrificio senza pari che, in punizione allo scarso consenso friulano al partito fascista, si era fatta dei nostri sulle montagne albanesi, nei flutti adriatici e nelle steppe ucraine».
Una legittimazione senza pari per considerarsi ed essere Comunità, con quei valori, con una concentrazione di impegno, di vissuto e di storia tra le più ricche; anche se le Comunità Montane, oggi, secondo una modaiola tendenza “riformista“ e suicida, con vari pretesti compreso quello della crisi, si tende a distruggerle.
Allora avevo 9 anni, così vissi e ricordo la Resistenza…