Carnia: un’edizione rinnovata dei “Racconti di ragazzi in guerra”, Carnia/Kosakenland /Kazackaja Zemlja

di GIANPAOLO CARBONETTO

In un periodo in cui la memoria storica è considerata inutile, se non addirittura fastidiosa, Leonardo Zanier appare come uno di quegli “accumulatori di memorie” che custodivano nel loro cervello i contenuti di quei libri che erano proibiti nella società disegnata da Ray Bradbury in Fahrenheit 451.

Ma, attenzione! Il poeta di Maranzanis dà il giusto peso ai propri ricordi, non li mitizza: «Questa storia – dice – è memoria incarnita. Esatta e approssimativa come ogni memoria. Mai spenta e riattizzata oggi. Portata appresso, acquattata per cinquant’anni, e poi messa su carta» <br />
La memoria di cui parliamo in queste righe si riferisce a Carnia / Kosakenland /Kazackaja Zemlja, libro edito da Forum (134 pagine, 14.50 euro) che ha avuto una prima versione nel 1995 e che ora esce arricchito da una postfazione del compianto Mario Rigoni Stern. Ed è una memoria che si solidifica anche per mezzo dell’orgoglio di essere nato in una terra che per un breve, ma fulgido periodo è stata quasi l’unica isola a sbucare da quella marea nera e bruna che stava sommergendo l’Europa, opponendosi a una barbarie di forze preponderanti, con una magistratura non diretta dall’alto, con una scuola pubblica, con un suffragio davvero universale e con l’abolizione della pena di morte.
E questa memoria è filtrata dalla coscienza civile di Zanier che, ben conscio della sua condizione di emigrante inizialmente emarginato dagli svizzeri, si rifiuta di massificare interi popoli sotto definizioni di comodo, ma ingiuste. “Tedeschi”, per lui, non vuol dire automaticamente “nazisti”, né “cosacchi” è sinonimo di invasori. «Semplificare in quel modo – scrive nell’introduzione – sarebbe come dire che gli alpini della Julia erano tutti fascisti». E il libro tenta proprio di rievocare il periodo dei cosacchi in Carnia: cacciati dai sovietici dalla loro terra e cooptati dai nazisti con la promessa di dare loro una nuova patria: la Carnia, appunto.
È un compito difficile quello di dare giudizi sereni su fatti e persone immersi in una guerra che, come tutte, si è distinta per spietatezza. E Zanier sceglie genialmente l’unico metodo possibile: quello di scavare nell’innocenza dei suoi ricordi di ragazzino il cui animo non era già incrostato di rancori e pregiudizi, di odi e di paure di perdere ciò che era suo, anche perché di suo non c’era niente.
E ripropone queste sue testimonianze dal “basso“ di un bimbo – che in realtà sono “dall’altissimo” dell’imparzialità – in cinque racconti, scritti in carnico e poi tradotti in italiano, dedicati a mamma Lisuta, al partigiano garibaldino Gori, al cosacco Ivan, al compagno di classe Chila e all’altro cosacco più giovane, Givi.
Sono cinque storie piccole, ma densissime capaci di restituirci anche le più minuscole sfaccettature di quel complicatissimo corpo estraneo che è stato la guerra.
Poi Leo Zanier si è messo sulle strade del mondo per lavorare, faticando e talora soffendo, ma trascinando sempre con sé l’ideale, più che l’idea, che anima questo libro e che al meglio si estrinseca nel finale del terzo racconto. «Quando Ivan prese la strada della tragica ritirata, quel 2 maggio 1945, e ci salutò, parabello a tracolla e colbacco in mano, stava quasi per piangere. Nessuno parlò perché così doveva essere, ma se avesse detto: “Nascondetemi, voglio restare qui”, credo che avremmo risposto: “Resta”».

Una risposta a “Carnia: un’edizione rinnovata dei “Racconti di ragazzi in guerra”, Carnia/Kosakenland /Kazackaja Zemlja”

  1. Dare credito a Zanier?

    Sia la sua poesia che i suoi scritti  sono inzuppati di sindacalismo acuto e invenzioni che spesso finisce per credere che sia la verità.

    Esempio raccontato da lui in un suo libretto: a 20 anni arriva in Svizzera. Un inviato della società che lo impiegherà viene a prenderlo alla stazione per portarlo al posto dove avrà una camera. La camera, non gli piace, come l'addetto della ditta che vestito con  un impermeabile di cuoio sembra a un nazista delle SS. Allora và in albergo, dice lui, e chiede un alloggio più decente al padrone. Chi ci crederebbe a questa storia? Siamo negli anni 50 e Zanier dopo due anni in Africa come manovale và in Svizzera tedesca a lavorare in una fabbrica. Se avesse veramente fatto cosí, lo avrebbero mandato indietro subito per prendere uno dei tanti operai che facevano la fila per avere un posto di lavoro.

    L'impermeabile di cuoio degli SS l'avrà di sicuro visto nei film degli anni sessanta più tardi, e l'idea di farsi un passato di rivoluzionario gli é venuta appena s'é trovato il tempo per scrivere. Questo l'ha ottenuto diventando delegato sindacale, e cioé appena ha potuto.Come fanno molti per far credere che sono importanti.

    Chi l'ha conosciuto dirà di sicuro che ha cercato di faticarsi il meno possibile, cercando di scansare le fatiche con la scusa di essere un delegato sindacale. Se ha sofferto, é solo di non aver potuto avere un posto di lavoro dove poteva essere pagato senza fare niente.

    Questo l'aveva quasi ottenuto al sindacato a Roma ma di sicuro voleva di più ed é stato dolcemente rimandato a casa.

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