Friuli: il bullismo “psicologico” è tutto femminile

Ornella Macorig del LICEO EUROPEO UCCELLIS

Intenzionalità. Persistenza nel tempo. Prevalenza del più forte sul più debole. Queste sono le caratteristiche di un fenomeno tanto diffuso quanto pericoloso: il bullismo. Il bullismo è «il fenomeno delle prepotenze perpetrate da bambini e ragazzi nei confronti dei loro coetanei soprattutto in ambito scolastico», come scrive la psicologa Serenella Pisciotta. Tale comportamento è più dannoso di quanto si possa pensare e, nonostante la poca importanza attribuitagli, costituisce uno dei maggiori problemi della società. Chi subisce molestie in ambito scolastico, infatti, è più propenso a sviluppare insicurezze, difficoltà nel rapportarsi con gli altri e timore nei confronti della collettività. Crescendo, questi problemi si acuiscono e difficilmente verranno dimenticati del tutto, in particolare dalle persone già fragili per natura. Il bullismo può essere distinto in due tipologie: bullismo diretto e bullismo indiretto. Il bullismo diretto può essere praticato nei confronti della “vittima” con violenza sia fisica (percosse, spintoni, pestaggi in gruppo), sia verbale (insulti, minacce, prese in giro). Non è da escludere, però, anche una violenza di tipo psicologico (il “bullo” esclude la “vittima” dal gruppo facendola sentire inferiore) e, nei casi più gravi, elettronico (il “bullo” molesta la “vittima” tramite sms o chat e ne diffonde fotografie diffamanti ). Il bullismo indiretto, invece, è meno evidente di quello diretto, e per questo più pericoloso. Si tratta, più che altro, di bullismo psicologico: la “vittima” viene danneggiata nelle sue relazioni con altre persone a causa delle calunnie raccontate sul suo conto dal “bullo”. Tale forma di bullismo viene di solito praticata dalle femmine, poiché la maggior parte delle volte non sarebbero in grado di compiere un approccio di forza. Questo fenomeno, nocivo per bambini e adolescenti, è destinato ad aumentare se non controllato. Ancor più pericolosa del bullismo, infatti, può essere considerata l’indifferenza di alcuni docenti e dei genitori. Questi ultimi, infatti, spesso tendono a minimizzare gli atti dannosi dei ragazzi nei confronti dei coetanei, declassandoli a semplici bravate. Molti studi sono stati condotti sul fenomeno – i primi risalgono agli anni Settanta ad opera dello psicologo norvegese Dan Olweus – ed è scientificamente provato che il bullismo è dannoso per i soggetti in fase di sviluppo e che i suoi effetti si protraggono nel lungo periodo. Inoltre, un gruppo di ricerca guidato ha Ada Fonzi – docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Firenze – ha sottolineato il fatto che in Italia il bullismo è più frequente rispetto agli altri Paesi europei e che la forma più diffusa è quella che prevede la violenza verbale. Un’ altra notizia allarmante è che fino a pochi anni fa il bullismo veniva praticato da ragazzi di età compresa tra i 14 e i 18 anni, ma di recente l’età media si è abbassata a 11 anni. Ciò è dovuto non solo alla scarsa educazione che i ragazzi ricevono dai genitori, ma anche dall’incapacità di alcuni docenti di prendere provvedimenti. “Minimizzare” non è la soluzione: è fondamentale che l’opinione pubblica conosca e riconosca la gravità del bullismo nelle scuole, sia per prevenire il più possibile episodi del genere, sia per educare i ragazzi al rispetto reciproco.