Friuli: in febbraio giardinieri a caccia di primavera

di CRISTINA BURCHERI
Cosa fa il giardiniere in febbraio? Va a caccia dei primi segni di primavera. Ce lo conferma Karel Capek (1890 – 1938) che, nel libello “L’anno del giardiniere” (Sellerio Editore), scrive: «Il giardiniere non fa caso al primo maggiolino o alla prima farfalla, che di solito nei giornali danno inizio alla primavera; in primo luogo non gli importa di nessun maggiolino e, in secondo luogo, la prima farfalla è di solito l’ultima dell’anno appena trascorso che ha dimenticato di morire».<br />
«I primi segni della primavera che il giardiniere ricerca sono più sicuri»  aggiunge l’emblematico protagonista del Novecento letterario praghese elencando: «E sono: i crochi, che gli spuntano nell’erba come punte gonfie e tozze; un giorno la punta scoppia (fenomeno a cui ancora non ha mai assistito nessuno) e produce una spazzola di foglie di un bel verde; questo è il primo segno della primavera».
Altri segni, per Capek, sono: i listini dei prezzi dei vivai che arrivano per posta, i bucaneve e i vicini che «si affrettano in giardino con vanga e zappa». In Friuli un altro simbolo della nuova stagione sono le violette. Ne avevamo già parlato diffusamente, ma la loro storia è così affascinante che val la pena ricordarla.
La violetta fu una pianta amatissima da Maria Luigia, figlia di Francesco I d’Austria, seconda moglie di Napoleone Buonaparte, duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla dal 1816 al 1847, che ne lanciò una vera e propria moda. Gli echi della fama goduta da questa rustica perenne arrivarono, a metà Ottocento, fino in Friuli. In particolare se ne interessò Filippo Savorgnan di Brazzà, nobiluomo udinese, botanico fine e appassionato il quale iniziò a coltivare la “viola di Parma” nelle serre delle ville di famiglia, a Brazzacco e a Soleschiano.
«Con un paziente lavoro di moltiplicazione e selezione il conte di Brazzà riuscì a ottenere degli esemplari stradoppi e intensamente profumati dal colore blu zaffiro con il centro bianco»: spiegano Gianni e Suzanne Geotti del vivaio Susigarden di Aiello che ha una delle più ricche e belle collezioni di viole antiche (e moderne) di tutta Europa e che il 6 marzo apre per la tradizione “festa di primavera”. «È probabile che nelle coltivazioni del conte di Brazzà ci sia stata una mutazione spontanea – così ipotizzano Gianni e Suzanne aggiungendo – e che egli, avendola individuata e riconosciuta come tale, abbia prontamente cominciato a moltiplicarla». Ma il capolavoro del conte di Brazzà fu nell’incrociare una viola bianca spontanea, raccolta in Maremma, con una “viola di Parma” ottenendo l’unico ibrido tuttora conosciuto di una viola doppia profumata dal colore bianco puro.
Le varietà di violette autoctone sono diverse. La “viola di Udine”, dal fiore grande e doppio, viola e profumato, conobbe invece il suo momento di gloria a cavallo tra Otto e Novecento quando veniva esportata in tutta Europa. Di “viola odorata” c’è poi la “Merlo” a fiore doppio, mentre quelle a fiore singolo sono la viola “di Aiello”, “di Fagagna”, “di Ruda”, “di Monfalcone”, “di Crauglio”, “di Tarcento” e così via.