Friuli: nello sport si educa, non solo si vince o si perde

di LUCA MORUTTO Latisana

Partite giovanili: risse, bestemmie, offese gratuite, perenni conflitti tra arbitri e genitori con questi ultimi che non si rassegnano al ruolo di spettatori e che, addirittura, ripudiano quello di educatori. Il fenomeno dei genitori-tifosi, che spesso oltrepassano il limite della decenza, è in crescita esponenziale. Molti genitori non riescono ad accettare che i loro figli si divertano, si confrontino correttamente e, perché no, che a volte perdano. Lo sport serve perché si impara, oltre che a vincere, anche e soprattutto a perdere; e vincere vuol dire impegnarsi al meglio, affrontare le difficoltà impreviste. Una sana cultura della sconfitta ha dentro di sé valori formativi. Lealtà, solidarietà, sacrificio, rispetto delle regole e dell’avversario, accettazione della sconfitta sono valori che stimolano e regolano il proprio comportamento, che insegnano a gestire emozioni e affettività, che contribuiscono a migliorare la relazione con se stessi e con gli altri, aiutano la costruzione dell’autostima. Come allenatori, educatori, genitori, maestri dobbiamo dare una direzione a questi ragazzi che spesso non sanno più dove andare e a chi dar retta. Ancor prima di allevare bravi calciatori ci preme di far crescere bravi ragazzi. Perché i tesserati di oggi per i quali lo sport diventerà un mestiere si contano sulle dita di una mano. Ma tutti gli altri confluiranno nella società e se avranno ricevuto una sana educazione sportiva domani non andranno in curva a far sospendere le partite o a urlare agli arbitri dei propri figli. Nello sport si educa, non solo si vince o si perde. Anzi vincere o perdere è in funzione dell’educazione. Questa sta alla base per avviare relazioni di reciprocità, fondamentali per ogni attività sportiva ma anche per ogni convivenza civile. L’altro si presenta con il volto dell’avversario, in campo e sugli spalti, ma resta pur sempre un soggetto capace di portare la sua novità e verità, e permette a me di essere me stesso. L’altro è anche una persona umana che ha diritto di esistere per aiutare me a essere me stesso. È la risorsa più preziosa per la crescita umana di ogni soggetto e della sua identità. È lui che tira fuori dall’egocentrismo e sollecita ad un’avventura. Un ragazzo che sa di vivere con gli altri matura un senso di solidarietà, di cooperazione e non soltanto di competizione, mentre nella nostra società echeggia l’osanna della competitività, del privato e della libertà. Ed è proprio nel mio continuo peregrinare nella vasta “comunità” del mondo dei ragazzi che un giorno mi è capitato di assistere a un particolare ed esaustivo siparietto tra padre e figlio. «Caro papà, lo sai che quasi mi mettevo a piangere dalla rabbia, quando oggi ti sei arrampicato sulla rete di recinzione, urlando contro l’arbitro? Io non ti avevo mai visto così arrabbiato! Forse sarà anche vero che lui (l’arbitro) ha sbagliato; ma quante volte io ho fatto degli errori senza che tu mi dicessi niente. Anche se ho perso la partita “per colpa dell’arbitro”, come dici tu mi sono divertito lo stesso. Ho ancora molte gare da giocare e sono sicuro che se non griderai più, l’arbitro sbaglierà di meno… Papà, capisci, io voglio solo giocare, ti prego, lasciamela questa gioia, non darmi suggerimenti che mi fanno solo innervosire. Un’altra cosa, papà: quando il mister mi sostituisce o non mi fa giocare, non arrabbiarti. Io mi diverto anche a guardare i miei amici, stando seduto in panchina. Siamo in tanti ed è giusto far giocare tutti (come dice il mio mister). E per piacere insegnami a pulire le mie scarpe da calcio. Non è bello che tu lo faccia al posto mio, ti pare? Scusami, papà, ma non dire alla mamma al ritorno dalla partita: “oggi ha vinto” o “ha perso”; dille solo che mi sono divertito tante e basta. E poi non raccontare, ti prego, che ho vinto perché ho fatto un goal bellissimo: non è vero papà! Ho buttato il pallone dentro la porta perché il mio amico mi ha fatto un bel passaggio, il mio portiere ha parato tutto, perché assieme agli altri miei amici, ci siamo impegnati moltissimo: per questo abbiamo vinto (ce l’ha detto il mister). E ascoltami papà: al termine della partita, non venire nello spogliatoio per vedere se faccio la doccia o se so vestirmi. Che importanza ha se mi metto la maglietta storta? Papà devo imparare da solo! Sta sicuro che diventerò grande anche se avrò la maglietta rovescia. E lascia portare a me il borsone. Non prendertela papà se ti dico queste cose, lo sai che ti voglio tanto bene… ma adesso è già tardi. Devo correre al campo per l’allenamento. Se arrivo tardi il mio mister non mi farà giocare la prossima volta». Non è semplice, ma nemmeno così complicato, se vogliamo bene ai nostri figli.